Sarà che in sella alla bicicletta troneggia la democrazia. Sarà che spingere sui pedali è un gesto semplice. Sarà che due ruote mosse dai muscoli, sanno di libertà, natura, avventura. Sarà per queste ragioni oppure per le molte altre, scritte nei percorsi che consente di tracciare, se la bici si ritrova ad essere la protagonista, talvolta un po’ magicamente, di storie di rinascita e affermazione.

Carriera e infortuni

Come quella di Jack Burke, diventato una figura piuttosto discussa dopo aver stabilito i primati di ascesa sulle salite più iconiche del ciclismo. Nato a Toronto nel 1995, fin da giovanissimo mostra un grande talento che sembra catapultarlo verso una carriera professionistica. Come spesso accade però, un incidente infrange il sogno. Fratture, emorragia cerebrale e un lungo percorso di riabilitazione non lasciano tanto spazio alla speranza.

I record

Ma Jack non si arrende. Durante la convalescenza, trasforma la sua esperienza in un libro, una specie di guida pratica per aspiranti ciclisti professionisti. L’inatteso successo lo spinge anche a creare un podcast, in cui intervista alcuni dei più grandi nomi delle due ruote tra i quali colui che diventerà il suo attuale allenatore. Nel frattempo conquista una nuova consapevolezza e torna in sella deciso a sfidare sé stesso sulle salite più mitiche delle Alpi; e lo fa stabilendo tempi record su vette leggendarie come Stelvio e Mortirolo. Tutti ne parlano, lui spera di riagganciare il sogno e chiede una chance in un team world tour. Questa però non vuole essere solo la storia di Burke, bensì la favola della bicicletta, del suo potere taumaturgico, del fascino senza tempo e del senso per la sfida.

Cosa fa la bici

Il potere taumaturgico della bicicletta non lo svela per la prima volta la storia di Jack che torna a pedalare dopo aver superato gravi traumi e riesce a farlo meglio di prima. In qualsiasi sport di prestazione, dopo una serie di fratture multiple come le sue, rientrare è difficile, se non impossibile. Talvolta basta la rottura di un tendine per sancire l’addio definitivo. In bicicletta invece sono possibili recuperi straordinari anche perché il mezzo consente un adattamento personalizzato, permette di sopperire a una dismetria tra arti, di convivere con un legamento lesionato o pure peggio.

Perciò la bici è il primo mezzo per riabilitarsi e anche il più trasversale per allenare il sistema cardiovascolare, trasferirlo in altre discipline e viceversa. Non sono pochi i casi di atleti che, dopo aver subìto lesioni che hanno interrotto la carriera, nel ciclismo ritrovano una seconda opportunità C’è anche chi, dopo aver usato la bici per guarire, ritorna e continua nella propria disciplina ma di quell’amore, che lo ha salvato, non riesce più a fare a meno.

Tra tante, una, la storia recente di Aleix Espargaró, pilota della MotoGP, che a partire dal 2025 farà parte della squadra ciclistica Lidl-Trek. In conseguenza ad un serio infortunio alla schiena Aleix si avvicina al ciclismo per recuperare. Gli fa bene, gli piace, continua e lo “usa” come preparazione fisica ma non fa i conti con la passione che cresce e gli impedisce di proseguire sulle due ruote spinte a motore, per preferire quelle spinte dal suo motore. Per Espargaró, il ciclismo è stato il mezzo attraverso cui ritrovare equilibrio e forza, non solo fisica ma anche mentale. «Il ciclismo mi ha dato energia e una nuova prospettiva – dice – ho deciso di lasciare la MotoGP prima del previsto, per inseguire pienamente la mia passione».

Un mezzo di libertà

Il fascino senza tempo della bici affonda le sue radici nell’essere il primo mezzo di emancipazione, autonomia, libertà: lo è stata nella storia dell’umanità e lo è ancora nella nostra storia personale. Pur essendo, l’attuale, una parente lontana del suo prototipo antico, pur avendo sviluppato una seconda personalità con l’avvento della pedalata assistita, pur offrendo componenti e rendimenti inimmaginabili rispetto al passato, mantiene intatti i suoi elementi essenziali. Anche la tecnologia non la stravolge ma si adatta: non la trasforma, non la snatura ma si mette a disposizione per rafforzare l’affascinante senso di libertà e renderlo più fruibile, più versatile mantenendo la sua caratteristica essenziale di mezzo tanto completo quanto puro e semplice.

Che cosa è Strava

Anche ciò che ha permesso alle prodezze di Burke di diventare un fatto di dominio pubblico è un’innovazione tecnologica. Si chiama STRAVA ed è un incrocio tra una piattaforma online e un'applicazione mobile che ha rivoluzionato il modo in cui gli appassionati di ciclismo (e non solo) registrano, analizzano e condividono le proprie attività. Qualcosa che assomiglia a un social network per sportivi ma con un focus molto forte sui dati e sulle prestazioni. Durante la pandemia è stato dato enorme impulso allo studio della tecnologia applicata alla bici per consentire monitoraggi, riproduzioni virtuali dell’esperienza autentica. Da allora ormai tutto si svolge sul doppio binario, on-life, lo vivi e lo condividi. Così è stato possibile per un ciclista, da solo, senza niente altro che la sua bici (e il suo ciclocomputer che ne registrasse l’impresa) battere i primati delle salite più ardite, prima detenuti da campioni pluridecorati e fare in modo che il mondo lo sapesse. Tuttavia, ma questo non ha a che fare solo con la bici, il fatto solleva interrogativi.

Il dibattito

Il senso della sfida, la validità dei record ottenuti in questo modo e la natura stessa della fama, nell'era dei social media, sono argomenti accesi dall’esperienza di Burke e aprono a un nuovo orizzonte di fantasia: uno scenario in cui, paradossalmente, ognuno può inventare la propria sfida e poi condividerla, ispirare o spronare e fare concorrenza a ciò che, fino ad oggi, valeva solo se inquadrato nel sistema sportivo agonistico ufficiale.

Il caso di Burke infatti non è isolato e indica una tendenza che permetterà, sempre più, di far uscire i record dai campi di gara per ridisegnarli, a piacimento, lungo i profili delle montagne, nei deserti più impervi o ovunque uno spazio faccia da sponda a un desiderio di esplorarlo o forse di domarlo (?). Fra i tanti esempi c’è Killian Jornet, il famoso trail runner e alpinista che ha utilizzato Strava per documentare le sue incredibili ascensioni e corse in montagna, guadagnando una vasta popolarità tra gli appassionati di sport outdoor.

Altrettanto può dirsi per Lael Wilcox, ciclista d'avventura statunitense, famosa per le sue traversate continentali in solitaria. Le imprese di Burke e, a cascata, di tutti coloro che nell’outdoor disegnano le proprie sfide, c’è anche un altro messaggio. Se è vero che la qualità della vita passa attraverso il contatto con la natura, pare che pure la longevità nello sport agonistico (così come il successo di quello amatoriale) sia tendenzialmente correlata alla possibilità di mettere alla prova se stessi in contesti naturali di grande bellezza. E la bici, amica di tutti e dell’ambiente, mezzo alla portata di tutti e per ogni ambiente, capace di declinare la sua versatilità alle esigenze dell’agonista più performante come del tranquillo ciclista urbano, si presta e si appresta a conservare inalterato il suo fascino anche di fronte alle nuove personalissime sfide del futuro.

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