Per andare da Maratea a Scanzano, che sarà mai, quanto ci vorrà. Bisogna solo tagliare la valle del Sinni, un posto di leggende e di misteri, apparizioni, fantasmi. Si passa dal Tirreno allo Ionio attraversando la Basilicata, coast to coast come diceva quel film del 2010, quando Rocco Papaleo da regista prometteva di raccontare «un Meridione fatto di sogni, lontano dal campanilismo».

Mise i suoi personaggi in viaggio lungo un centinaio di chilometri, strada statale 653, era una band fatta di un nome improbabile – Le pale eoliche – e di anime sottili, stropicciate: Nicola insegnante di matematica, Salvatore studente di medicina, Franco falegname pescatore, Rocco play-boy televisivo disoccupato.

Certe volte nel cuore degli sceneggiatori si nascondono profeti, così Papaleo organizzò la storia in modo che da un mare all’altro si potesse andare solo in macchina (mmm, banale, scartiamola) oppure a piedi, ecco, a piedi, dieci giorni di cammino, un’impresa che aveva al seguito la televisione di una parrocchia. Ora. A parte l’appendice religiosa, nella vita reale della Basilicata 2023 le cose stanno proprio così. Per andare da Maratea a Scanzano, che sarà mai, o prendi un mezzo su quattro gomme o devi metterti un paio di scarpe comode.

La regione è rimasta senza treni, fantasmi pure loro, in pieno agosto e chissà fino a quando. Le due linee che collegano la città di Potenza a Foggia e a Napoli sono sospese per dei lavori di ristrutturazione. La terza ferrovia che porta a Taranto è stata messa fuori uso da una frana.

Dovrebbe essere uno scandalo nazionale. Dovrebbe. Le cronache ci hanno consegnato le reazioni di qualche sindacalista («Il punto più buio da oltre cento anni», Luigi Di Tella, Cgil) e un’interrogazione in commissione parlamentare del democratico Enzo Amendola.

Domanda al ministro delle infrastrutture se è a conoscenza di questo cedimento della massicciata verso valle tra Grassano e Salandra, se gli è giunta voce dello scivolamento di 150 metri di binario tra Vaglio e Trivigno, con il crollo di un ponticello, se casomai gli dice qualcosa il nome di Melfi, dove il treno da Potenza non arriverà fino al prossimo autunno.

Dopo trent’anni di leghismo, tra un flirt per la secessione e un innamoramento per l’autonomia differenziata, già i nomi di Grassano e Salandra, di Vaglio e di Trivigno, rischiano di essere oscuri al ministro. Salvini prese una sbandata elettorale per la Basilicata prima delle regionali di quattro anni fa. Si fece vedere a Tolve con una felpa su cui c’era scritto Tolve, poi a Melfi con una sciarpa ultrà dove c’era scritto Melfi, infine d’estate a Policoro, su una canoa dove però non c’era scritto Policoro.

Ormai le elezioni le aveva vinte: con il suo candidato, con la Lega primo partito. Così, oggi il governatore Vito Bardi vive il disagio di non poter nemmeno alzare la voce, non potersela prendere col governo, non con questo almeno, al massimo alla sua popolazione va dicendo che capisce il disagio, certo, ma in fondo «la Basilicata ha un gap infrastrutturale notevole, frutto di un ritardo secolare e mancanze del passato». Proprio adesso la volete cambiare? Deve fare tutto lui?

Un set a cielo aperto

Nei cassetti di chi governa, l’eredità del passato è sempre una buona giustifica. Come a scuola la nonna che ieri s’è sentita male, prof, non ho potuto studiare. Al sud, poi. Figuriamoci. L’altrove degli irredimibili. Quando arrivò per girare il film con Papaleo, Alessandro Gassman disse che la Basilicata gli sembrava il Klondike o il deserto di Gobi.

In effetti i registi ci vengono quando cercano panorami immobili come un binario morto. Ops. Cominciò Pasolini per il Vangelo secondo Matteo e hanno continuato gli americani, una volta Mel Gibson per La Passione, un’altra Timur Bekmambetov per il remake di Ben Hur, infine Garth Davis per Maria Maddalena. Curioso: c’entra sempre Dio. Tranne quella volta con la DC Comics che trascinò tra i Sassi Wonder Woman.

Anche Papaleo cercava nella sua terra un posto che fosse sganciato dal mondo e dal tempo, immaginava – disse – «una Basilicata Beat generation, anni Settanta, Easy Rider». Come in un gioco di specchi e di rimandi, di evocazioni, suggestioni, due delle attrici del film portavano la missione nel nome, Claudia Potenza e Giovanna Mezzogiorno.

Come poteva immaginare, Papaleo, che gli anni Settanta sarebbero durati fino all’estate del 2023? In coda a quel decennio, Francesco Rosi era venuto a girare Cristo si è fermato a Eboli, dal libro di Carlo Levi, altro titolo che qui ha come scolpito un destino, che condanna a guardarsi allo specchio. Sapersi nuovi, cambiati, in movimento, con Matera capitale della cultura, con 100mila turisti in più in un anno, con il boom dell’export agro-alimentare, può non bastare. Specialmente se tagliano i treni.

Qualche anno fa parve beffarda la notizia che a buttar giù l’ultimo diaframma di roccia sotto le gallerie tra Bologna e Firenze, per fare l’alta velocità del nord, fosse stato un operaio di nome Angelo, da Lauria, provincia di Potenza. Lo scrittore viaggiatore Paolo Rumiz andò a vedere le scavatrici che avanzavano di sette metri al giorno e disse che le spingevano Angelo e gli altri figli di un'Italia minore, «come Pinocchio nella trachea di una balena che rumina, sfiata, rutta, nuota nel mare».

La Lucania manda braccia a costruire infrastrutture altrove, aspettando che prima o poi Eboli smetta di essere il limes del progresso. Solo tre regioni italiane non hanno mai avuto una squadra di calcio in serie A. Sono la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata: tre regioni che non hanno un aeroporto. Se gli togliete pure i treni, nel mese del turismo che va coast to coast, non resta che sperare l’arrivo delle prossime regionali. Le elezioni, non le ferrovie.

Ai tempi di Francesco Rosi e della sua troupe in Lucania (1979), si accese un dibattito sul presente e le prospettive della regione. I giornali dell’epoca si chiedevano se il Sud più nascosto e il mondo contadino fossero rimasti quelli descritti da Carlo Levi. L’allora sindaco di Potenza, Raffaello Mecca, aveva del risentimento verso lo scrittore, disse che «Carlo Levi non aveva capito nulla, aveva mitizzato un mondo di contadini pietrificato e magico. Vogliamo dire che non ci sono marxisti in Lucania?».

Di certo c’erano dei democristiani. Emilio Colombo, per esempio. Le opere di bonifica s’erano fatte grazie a lui. Metaponto era diventata un giardino. Venne eletto al parlamento europeo e si spezzò una trama di collaborazione con Roma.

Cristo continuava a fermarsi a Eboli, lui se n’era andato a Strasburgo. L’anno dopo, il terremoto che diciamo d’Irpinia distrusse pure Aliano, il paese dove Levi si era rifugiato e dove aveva ambientato il romanzo. La figlioccia di donna Cristina faceva la farmacista a Gorgoglione, lì vicino, ed era diventata sindaco comunista del paese.

Raccontava che tante ragazze erano costrette ad alzarsi di notte per andare nel Metapontino alla coltivazione di primizie. Senza mezzi pubblici. Il noleggiatore privato faceva due viaggi in una mattina per andare e due la sera per tornare. Stavano diminuendo le nascite, ma era soddisfatta, era aumentato l’asfalto sulle strade. Meno male. Così da Maratea a Scanzano almeno adesso ci possiamo andare a piedi.

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