- Le due parole che prometto di non scrivere nei prossimi dodici mesi sono “pace” e “libertà”.
- Lo so, le cose che le due parole designano sono come la salute, diventano importanti solo quando vengono a mancare; ma il discorso che le usa, in quanto motore di affetti, è ormai falsificante al punto che tutti se ne possono impadronire svendendolo al mercato dell’ovvio.
- La prima soprattutto, di questi tempi, non può non essere la protagonista della cronaca: siamo tutti in attesa spasmodica di qualche spiraglio di pace, auspichiamo un mediatore e speriamo in una conferenza di pace il più presto possibile.
Frecciarossa Roma-Milano, più o meno all’altezza di Orvieto; case coloniche dal finestrino, dolci colline, tempo grigio. Nel mio scompartimento sono in corso tre call: tutte power point, «abbiamo chiuso a quaranta», brochure, «non siamo strutturati per questo trend» eccetera. Ho in testa l’immagine di due nastri trasportatori che slittano l’uno sull’altro senza toccarsi, senza che politica ed economia riescano a trovare dei perni per collegare i due inconciliabili orizzonti. Paesini raggomi



