«Mia figlia è nata da una battaglia in tribunale contro un divieto crudele». È il 2017 e Valentina Magnanti, portatrice di una grave malattia genetica, diventa madre dopo sette aborti, grazie a una sentenza della Corte costituzionale che aveva appena demolito uno dei tanti divieti della legge 40: quello che impediva alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche di selezionare l’embrione sano prima dell’impianto.

Fino a quel momento, l’unica possibilità era partorire un bambino con gravi anomalie o ricorrere all’aborto terapeutico. Valentina, nel 2010, fu costretta ad abortire un feto di cinque mesi da sola, in un bagno dell’ospedale Pertini, perché tutti i medici di turno erano obiettori.

Non basta la Corte

Sono passati vent’anni dall’approvazione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma), una norma che nasceva già sbagliata: sbagliata nell’approccio, nel merito, nei princìpi. Una legge che ha prodotto discriminazioni, alimentato tabù, costretto centinaia di persone a cercare all’estero ciò che in Italia era negato.

Una legge che ha umiliato, escluso, reso invisibili. E che nel corso degli anni è stata più volte smontata dalla Corte Costituzionale, che ha eliminato una parte dei divieti più crudeli: quello di fecondazione eterologa, di crioconservazione degli embrioni, di accesso alla diagnosi preimpianto.

Ma non basta. Ancora oggi, in Italia, si registra una forte migrazione sanitaria per poter accedere alla Pma. Le donne single e le coppie dello stesso sesso sono escluse. Gli embrioni in sovrannumero non possono essere donati.

Ecco, dopo due decenni e innumerevoli ferite, è arrivato il momento di voltare pagina.

Infatti, nonostante l'inserimento della Pma nei Livelli essenziali di assistenza dal 2017, oggi l’accesso alla salute riproduttiva in Italia resta una lotteria territoriale. Le diseguaglianze sono drammatiche: mancano i centri, mancano i professionisti, mancano i percorsi. E nel frattempo permane la migrazione sanitaria, soprattutto per l'accesso a tecniche come la fecondazione eterologa o la diagnosi genetica preimpianto. Chi può permetterselo prende un volo. Chi non può, rinuncia.

Le Linee guida aggiornate a marzo 2024 rappresentano un segnale positivo, ma serve fare di più. Perché non si può continuare ad affidare tutto alla giurisprudenza, alle eccezioni, agli spiragli aperti dai tribunali. Serve una legge nuova.

Serve una nuova legge

Una legge capace di mettere al centro la persona e i suoi diritti e non l'ideologia. È in questo contesto che nasce la proposta del Partito democratico per abrogare la legge 40 e riscrivere una nuova norma sulla salute riproduttiva, finalmente giusta, laica, scientifica.

Cosa prevede, nel concreto? L’accesso alla Pma viene garantito a tutte le persone maggiorenni in età fertile, senza discriminazioni basate su stato civile o orientamento sessuale: nessuno deve più essere escluso. Si chiarisce una volta per tutte lo status giuridico del figlio nato da Pma, affermando che è figlio della persona o della coppia che ha scelto quel percorso, senza zone grigie o ambiguità. Si disciplinano in modo trasparente le donazioni di gameti ed embrioni sovrannumerari, permettendo anche la donazione alla ricerca scientifica, ma vietando la produzione di embrioni a fini di ricerca.

Si riconosce e si valorizza il lavoro delle figure professionali coinvolte: ginecologi, andrologi, embriologi, psicologi, genetisti.

Le tecniche e la cultura

Abrogare la legge 40 non è solo un atto tecnico. È una scelta politica e culturale. Significa dire che ogni persona ha diritto a un progetto genitoriale. Significa dire che la scienza conta più dell'ideologia. Significa dire che la salute riproduttiva vale per chiunque, ovunque.

Il parlamento oggi ha l’occasione di colmare un vuoto e di restituire giustizia, dignità, diritti. Dopo vent’anni di attese, e mi rivolgo a chi a parole invoca la “natalità”, è tempo di approvare una legge nuova. Una legge per essere genitori senza paura, senza (pre)giudizi, senza barriere.

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