In questi mesi è stato più volte sottolineato il passaggio storico che stiamo vivendo. Per la pandemia e le sue drammatiche conseguenze, ovviamente, ma pure per la reazione corale dell’Europa, che, dopo le prime settimane passate all’ombra dell’incertezza, si è dotata di uno spirito unitario e determinato da cui è emersa la scommessa costituita da “Next Generation EU”. Un piano davvero ambizioso e fortemente voluto da diversi governi, tra cui quello italiano, e dal Parlamento europeo.

Le risorse messe in campo, quelle riguardanti il cosiddetto Recovery Fund, sono straordinariamente ingenti e, pur precipitando nei nostri “territori” tra il 2021 e il 2022, rappresenteranno una leva enorme che non si può né si potrà sprecare e che si dovrà essere in grado di spendere, mettendo mano alla pubblica amministrazione (ad oggi palesemente impreparata).

Vedo che dalle parti dei palazzi romani il tema agita la coalizione che sostiene il governo Conte anche se non sempre è chiaro quale sia il reale oggetto del contendere, tra indispensabili richieste di rendere trasparenti i processi decisionali in un momento straordinario e balletti, molto più abituali, legati alle “poltrone”. 

Suggerirei, con molta modestia, di stare al merito e di occuparsi di questioni di “contenuto”. Anche perché non è immediatamente chiaro il messaggio di fondo, “l’orizzonte”, a cui si vuole tendere utilizzando l’enorme leva disponibile.

Sottolineo alcuni aspetti.

La sanità pubblica per tutti

Il primo è quello che riguarda la Sanità e le politiche sulla Salute. Appare davvero incredibile la prima cifra (9 miliardi su quasi 200) annunciata in relazione a un capitolo del genere. Ha perfettamente ragione il ministro Speranza: si deve ricostruire, rigenerare il “sistema”. E lo si deve fare a partire dalle falle maggiori che ha mostrato e che spesso non sono altro che il risultato di decenni di ambiguità e incoerenze.

Abbiamo bisogno di una sanità pubblica per tutti, accessibile anche per chi ha meno (attenzione: non è sempre così, basta osservare la Lombardia, alla faccia del servizio sanitario nazionale), radicata nel territorio e costituita da “presidi” tra loro molto  differenti e considerati, in passato, follemente secondari.

Dico di cose molto concrete. Dalle case della salute ai consultori per la salute della donna, dai centri sulla neuropsichiatria infantile ai poliambulatori territoriali, dai servizi sulla salute mentale a quelli volti alla prevenzione.

Non solo. Questa deve essere pure l’occasione per ricostruire l’offerta complessiva della politica sociale del nostro paese.

Una nuova politica sociale

A vent’anni dall’approvazione di una legge storica per il welfare italiano (la legge  328 sull’assistenza, riforma realizzata innanzitutto da Livia Turco) val la pena ricordare quanto siano necessari nelle nostre città, nelle nostre “comunità”, assistenti sociali riconosciuti e valorizzati, reti di aiuto alle famiglie  fragili, programmi per l’assistenza domiciliare dei non autosufficienti, politiche avanzate per le persone con disabilità.

Di tutto questo non sembra esserci sufficiente traccia, è come se non facessero parte del “messaggio” politico generale. Perfino la sparizione di una politica di welfare nazionale, proprio in un tempo segnato da periodiche e durissime crisi socio-economiche è il racconto di come certi temi fatichino ad entrare nella cosiddetta “agenda” (diventando invece spesso oggetti di laboratori innovativi, e al contempo assolutamente ignorati, nelle città, grazie ad alcuni enti locali e al terzo settore).  

Sono evidentissime, tra le tante, altre enormi necessità che vanno prese di petto ora.

Si deve stabilire, una volta per tutte, che la questione della “casa” non sia un fatto “privato”. La politica pubblica nazionale si deve cimentare su di un terreno che non vuole mai frequentare davvero: garantire un’offerta di abitazioni (pubbliche e non) dignitose per tutti.

Il reddito di cittadinanza

E poi va affrontato quello che è diventato incredibilmente un tabù, per ragioni pateticamente di “palazzo”. Il reddito di cittadinanza.

Si deve avere l’onestà intellettuale di riconoscere che la sua istituzione ha comportato un investimento nella lotta alle povertà mai visto prima e che, però, il risultato è da rivedere con decisione, senza titubanze, proprio, e solo, con l’obbiettivo di una maggiore efficacia e senso di “giustizia”.

Ecco che siamo allora di fronte ad una grandissima responsabilità, in Italia e pure in Europa: quella di rigenerare un nuovo disegno delle politiche per il riscatto dei più fragili e per la promozione della persona. Il momento è questo.

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