La morte dell'ambasciatore Luca Attanasio ha riportato alla ribalta l’importanza della diplomazia, una attività mediaticamente sottovalutata eppure fondamentale per prevenire i conflitti. Oggi, giornata europea dei Giusti dell’umanità, potrebbe essere una buona occasione per rimarcarne l’importanza. Si tratta di una festività promossa dal Parlamento europeo che dal 2017 è solennità civile anche in Italia. Si ricordano i Giusti del passato e del presente che hanno diffuso i valori della responsabilità, della tolleranza, della solidarietà.

Generalmente ci si concentra su figure eroiche che attraverso gesti eclatanti hanno salvato vite umane durante la Shoah e altri genocidi. Eppure varrebbe la pena soffermarsi maggiormente anche su quelle figure che, come Attanasio, hanno dedicato la loro vita a tessere la pace attraverso la cooperazione. 

Il suo sacrificio non può non riportare alla mente l’uccisione di un altro diplomatico: lo svedese premio Nobel per la pace Dag Hammarskjöld, definito da John Fitzgerald Kennedy «il più grande statista del nostro secolo». Il 18 settembre 1961 l’aereo di linea sul quale volava il presidente della Nazioni unite Dag Hammarskjöld si schiantò nei pressi di Ndola, nella Rhodesia settentrionale (l’attuale Zambia). Avrebbe dovuto raggiungere il Congo, dove era in corso la crisi del Katanga tra il governo centrale e gli indipendentisti guidati dal generale Moise Tshombe e sostenuti dalla compagnia anglo-belga Union Minière du Haut Katanga.

Dopo sessant’anni le circostanze della morte di Hammarskjöld non sono ancora del tutto chiare anche se è quasi sicuro il coinvolgimento dei servizi segreti di più paesi (si veda a tal proposito il documentario Cold Case Hammarskjöld del danese Mads Brügger). Ciò che è certo è che si trattava di un personaggio scomodo. Durante i suoi due mandati come massimo funzionario internazionale del mondo, Hammarskjöld cercò di ristrutturare le Nazioni Unite per renderle più efficaci e garantire l’indipendenza del suo lavoro rispetto alle super potenze. Implementò con successo la strategia della “diplomazia preventiva”, con lo scopo di attenuare le tensioni prima che queste sfociassero in conflitti.

«Dag Hammarskjöld ha dimostrato che lo Statuto delle Nazioni Uniti può essere applicato in maniera innovativa per consentire la creazione di nuovi strumenti e nuove azioni per affrontare e mitigare più efficacemente i conflitti», spiega Henrik Hammargren, direttore della Fondazione Hammarskjöld. «Ma era anche profondamente consapevole dei limiti e della necessità di pragmatismo nel perseguimento delle riforme».

L’Onu di Hammarskjöld era estremamente debole e nata solo pochi anni prima, con l’idea di prevenire una futura apocalisse dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, dell'Olocausto e dell'introduzione di armi atomiche. Tra i suoi più grandi successi diplomatici ci sono sicuramente il rilascio dei soldati americani catturati dai cinesi durante la guerra di Corea, la risoluzione della crisi del Canale di Suez del 1956 e il ritiro delle truppe americane e britanniche in Libano e in Giordania nel 1958.

Da oggi Dag Hammarskjöld è onorato come Giusto dell’umanità nel Giardino dei Giusti di Milano, dove ogni anno vengono dedicati dei cippi e delle targhe a figure che un comitato di garanti composto da storici, filosofi ed esperti di genocidi ratifica come Giusti. Il messaggio è chiaro: la prevenzione dei genocidi dipende anche da figure come Hammarskjöld e Attanasio. I Giusti della diplomazia sono tanti, ma purtroppo vengono dimenticati.

Come il console Giuseppe Castruccio, che nel luglio del 1943 organizzò il “treno della salvezza”, un convoglio che trasportò più di cento ebrei con passaporto italiano destinati ai campi di sterminio da Salonicco ad Atene, nella zona di occupazione italiana. O Giacomo Torrini, console a Trebisonda dal 1911 al 1915 e testimone oculare della deportazione e dei massacri degli armeni, che denunciò il genocidio perpetuato da turchi e contribuì alla salvezza di diversi deportati. O ancora Pierantonio Costa, morto lo scorso 2 gennaio, definito il “Perlasca del Ruanda” per aver usato i suoi privilegi diplomatici e il suo denaro per  ottenere visti di uscita dal paese durante i tre mesi di massacri verso i tutsi. L’elenco è lunghissimo e ci siamo limitati a citare solo pochi casi italiani.

L’ambasciatore Emilio Barbarani, consigliere presso l’ambasciata italiana a Santiago del Cile negli anni della dittatura militare di Augusto Pinochet dove contribuì a mettere in salvo 750 rifugiati politici, è promotore insieme alla Fondazione Gariwo di una proposta per far nascere un giardino dei Giusti nel viale del Ministero degli Esteri, che a quel punto verrebbe rinominato Viale dei Giusti della Farnesina.

Un iter complesso, che ha tuttavia trovato i primi pareri positivi nel Comune di Roma e nel Ministero degli Esteri. L’obiettivo, è evidente, non è legato solo alla toponomastica ma permetterebbe al nostro Paese di essere in prima fila nella diffusione delle storie di coloro che attraverso la diplomazia salvano vite umane e promuovono l’idea di un mondo basato sul dialogo e l’interdipendenza.

Del resto, diceva Hammarskjöld, «la debolezza di uno è la debolezza di tutti, e la forza di uno - non la forza militare, ma la forza reale, la forza economica e sociale, la felicità delle persone - è indirettamente la forza di tutti».

Joshua Evangelista è membro dell’ufficio comunicazione della Fondazione Gariwo, la foresta dei Giusti

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