Mi chiamo Irene Marinucci, sono incinta di 8 mesi e sono una logopedista libera professionista iscritta alla Gestione separata Inpd e mi rivolgo a voi per denunciare una situazione che reputo inaccettabile e che coinvolge migliaia di donne come me: il trattamento della maternità per le partite Iva.

Inizio con una premessa necessaria. Noi professionisti in regime forfettario versiamo tasse e contributi in due momenti dell'anno: a fine giugno e a fine novembre. Questi pagamenti riguardano sia il saldo dell'anno precedente sia gli acconti per l'anno in corso. Per esempio, a fine giugno 2025 dovrò pagare il saldo del 2024 e i primi acconti del 2025, mentre i secondi acconti del 2025 li pagherò a novembre.

Tuttavia, i saldi del 2025 arriveranno solo a giugno 2026. Questo sistema è cruciale per comprendere l'assurdità del calcolo della maternità per una partita Iva.

La maternità calcolata sul reddito che si abbassa 

La maternità per noi viene conteggiata sul reddito dei dodici mesi precedenti alla richiesta di congedo, che generalmente si può presentare al settimo mese di gravidanza. Questo significa che ben sette dei dodici mesi presi in considerazione si svolgono durante la gravidanza, periodo in cui il reddito può essere significativamente influenzato da visite mediche, malesseri o altri imprevisti.

Inoltre, considerando il funzionamento del sistema fiscale, l'Inps ha contezza del nostro reddito reale con un ritardo che può arrivare a quasi due anni. Nel mio caso specifico, partorirò a fine luglio 2025 e la mia maternità terminerà a ottobre 2025, ma l'Inps avrà un quadro completo del mio reddito solo a giugno 2026.

Questo ritardo si traduce in un calcolo della maternità basato su dati parziali e penalizzanti. Nel mio caso, a giugno 2025 riceverò il primo assegno di maternità calcolato solo su sei mesi del 2024, cioè su meno della metà del reddito totale su cui dovrebbe basarsi. A questo si aggiunge un trattamento economico già di per sé discriminatorio rispetto alle lavoratrici dipendenti, che ricevono il 100 per cento dello stipendio per i cinque mesi di maternità obbligatoria. Noi partite Iva riceviamo invece l'80 per cento del reddito giornaliero medio (1/365 del reddito annuale) moltiplicato per 150 giorni, un valore già sensibilmente inferiore.

Per rendere la situazione ancora più chiara, vi fornisco il mio esempio concreto: nel 2024 ho fatturato più di 20mila euro ma l'Inps lo saprà solo a luglio 2025. Nel 2025 sto ancora fatturando, e l'Inps ne sarà a conoscenza solo a giugno 2026.

Nonostante io abbia sempre versato puntualmente tasse e contributi, il sistema attuale considera meno della metà del mio reddito annuale per il calcolo della maternità. Questo si traduce in un assegno mensile di soli 181 euro da giugno a ottobre 2025. Questi importi verranno poi conguagliati, ma solo se avrò versato la bellezza di più di 8mila euro entro luglio 2026. In pratica, dovrò attendere anni per ricevere una somma già di per sé insufficiente.

Partite iva senza diritto alla maternità

Mi chiedo e vi chiedo: è accettabile? Possiamo realmente definire questo trattamento come un “diritto” alla maternità? È dignitoso per una donna essere costretta a scegliere tra il diventare madre e il mantenere una minima stabilità economica? È normale che lo stato mi costringa a diventare un’evasora fiscale, come posso pagare le tasse e i contributi che l’Inps mi richiede e che ho accantonato durante l’anno se praticamente sarò a reddito zero (181 euro non coprono nemmeno l’affitto che pago per il mio studio) per i mesi che sarò a casa per la maternità, dovrei andare a chiedere il pacco alla Caritas per mangiare?

L’unica soluzione che trovo per poter sopravvivere è mantenere nei miei conti i soldi destinati a pagare tasse e contributi e campare con quelli, ma poi? Cosa mi succederà? Riceverò una cartella esattoriale?

Non pagare le tasse o non mangiare?

Diventerò una delinquente, come quelli che ho sempre combattuto e criticato, ma in questo caso, come fare il contrario e garantire la sussistenza alla mia famiglia? È normale tutto questo dopo 10 anni di contribuzione regolare?

Non credo. E penso che sia nostro dovere sollevare la questione, sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere un cambiamento urgente e radicale. Chiedo a voi, come organo di informazione, di dare voce a questa denuncia, di mettere in luce l’ingiustizia che viviamo e di sostenere la richiesta di un sistema più equo, che garantisca a tutte le madri il diritto alla maternità con dignità e rispetto.

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