La vicenda del decesso di Igor Squeo durante un intervento di polizia a Milano, raccontata su Domani, finisce in Parlamento. Ilaria Cucchi, senatrice di Avs, ha annunciato un’interrogazione urgente ai ministri dell’Interno, della Salute e della Difesa perché facciano chiarezza sui tanti punti oscuri che ancora circondano la morte del 33enne. Anche Amnesty International sta seguendo da vicino la questione, come spiega il portavoce italiano Riccardo Noury.

Noury, che idea si è fatto sulla morte di Igor Squeo durante un intervento di polizia a Milano?

Molte cose non tornano. Ci sono ricostruzioni e testimonianze che si contraddicono, la scheda elettronica de taser che si è rotta e “di conseguenza” è stata distrutta, azioni discutibili sul trattamento sanitario, come la somministrazione di un potente sedativo nonostante il livello di ossigenazione di Squeo fosse sopra il livello di guardia. E ora anche immagini che raccontano una verità diversa da quella delle ferite auto-inflitte. Il tutto pare funzionale a un obiettivo: archiviare. Dunque evitare un dibattimento processuale sull’accertamento di eventuali responsabilità lasciando le famiglie senza una risposta alla domanda: “Perché?”. C’è poi una pericolosa narrazione che accompagna storie come questa e che chiama in causa anche parte dell’informazione. La distinzione tra “vittime buone” e “vittime cattive”, alle quali viene attribuita una responsabilità per la propria morte. Questa distinzione, che nasce nel 2001 con l’uccisione di Carlo Giuliani, sposta l’attenzione sull’operato della vittima e non sul presunto comportamento illegale da parte delle forze di polizia.

Nella ricostruzione dei medici si parla di soffocamento sotto il peso degli agenti. È una storia già vista?

Sì, è la storia di Riccardo Magherini, deceduto a Firenze il 3 marzo 2014 a seguito di una tecnica d’immobilizzazione poi nota al mondo a seguito della morte negli Usa di George Floyd: la famosa manovra di fermo che comprime il torace e produce soffocamento. Quella che, per ricordare un altro caso, ha determinato la morte di Andrea Soldi a Torino, il 5 agosto 2015, per inciso anche destinatario di un Tso del tutto illegale. Dopo la morte di Magherini si era detto che quella manovra sarebbe stata vietata: un anno e mezzo dopo è stata usata contro Soldi, otto anni dopo contro Squeo.

In Italia non ci sono dati ufficiali sulle morti durante fermi di polizia. Perché così poca trasparenza?

Perché c’è un’abitudine a non rendere conto. Al parlamento, all’informazione, all’opinione pubblica. C’è la narrazione delle “vittime cattive”, per cui “qualcosa avranno pur fatto”. C’è, soprattutto da parte di alcuni sindacati di polizia, la stigmatizzazione come “partito dell’antipolizia” di coloro che chiedono unicamente che si accertino le responsabilità di singoli funzionari dello stato, tutelando la reputazione dei corpi di appartenenza.

Tutto ciò fa sì, per esempio, che l’Italia sia uno dei pochissimi stati dell’Unione europea a non avere ancora una norma che preveda i codici identificativi per le forze di polizia. Amnesty International ha lanciato questa campagna nel 2011. Da allora, si sono dati il cambio parlamenti e governi di segno diverso ma siamo ancora al punto di partenza.

Come si possono evitare decessi come quelli di Igor Squeo?

Attraverso la formazione delle forze di polizia sugli standard internazionali sull’uso della forza, tecniche di immobilizzazione e taser comprese. A quest’ultimo proposito, dopo i cinque morti del 2025, quattro dei quali nell’ultimo mese e mezzo, viene da chiedersi da cosa dipenda l’aumento del numero delle vittime: dalla maggiore diffusione di queste armi? Dalla errata definizione di “armi non letali” o “meno letali”, che ne favorisce la normalizzazione e un uso più disinvolto?

La famiglia ha deciso di affidare a Domani la pubblicazione delle foto del corpo del ragazzo. Qual è il potere delle immagini in casi come questo?

In un paese dove le istituzioni avessero davvero a cuore la ricerca della verità e della giustizia e dunque fossero accanto ai familiari di vittime di violazioni dei diritti umani, i parenti di queste ultime non dovrebbero mai essere costretti ad arrivare al punto di rendere pubbliche immagini del genere per dare stimolo alle indagini o, come in questo caso, evitare il secondo tentativo di archiviazione.

La foto che la famiglia di Igor Squeo ha dato a Domani

Eppure è successo, più volte, così come è successo che – anche senza diffondere le immagini – le famiglie abbiano dovuto rinunciare al lutto per diventare attiviste per i diritti umani. Si tratta in larghissima parte di sorelle, madri, mogli, ex mogli, figlie e nipoti, che hanno sfidato lo stereotipo della “donna silente e piangente” e sono diventate promotrici di campagne per la verità e la giustizia.

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