Igor Squeo non è morto per overdose da cocaina. Ne sono convinti i familiari e ne sono convinti i medici che hanno redatto l’ultima relazione tecnica sulle cause del suo decesso. La storia risale al 12 giugno 2022 e riguarda un 33enne che morì per arresto cardiocircolatorio nel corso di un intervento di polizia nel suo appartamento di Milano.

Sin dall’inizio il pm ha sposato la tesi dell’intossicazione da sostanza stupefacente e per questo ha chiesto l’archiviazione, a cui la legale della famiglia, Ilaria Urzini, ha fatto opposizione. Ora è arrivata una nuova richiesta di archiviazione, nonostante i molti punti che non tornano in questa storia.

Dalle testimonianze dei sanitari che differiscono da quelle degli agenti di polizia agli errori temporali contenuti nella ricostruzione dei consulenti del pm, fino all’uso del taser e alle numerose lesioni e fratture rinvenute sul corpo del ragazzo. «Igor Squeo è morto per insufficienza respiratoria causata dalla contenzione messa in atto dagli agenti di polizia», denunciano i medici nella relazione.

Squeo aveva 33 anni e un trascorso tra l’Australia e Londra. Era tornato a Milano da poco tempo, faceva il fattorino e di sera dava una mano in pizzeria. Il 12 giugno 2022 è morto nel corso di un intervento di polizia nel suo appartamento.

Squeo era rincasato in tarda serata insieme a un ragazzo conosciuto per strada. Secondo la testimonianza di quest’ultimo, avevano iniziato a consumare cocaina. Dopo la mezzanotte tra i due è scoppiata una lite che ha indotto il coinquilino di Squeo, in un’altra stanza con un’amica, a chiamare la polizia. Alle 2.45 la volante del commissariato di via Mecenate è intervenuta.

Gli agenti hanno detto di aver trovato Squeo in stato di agitazione mentre l’altro ragazzo presentava una piccola ferita in volto. Hanno chiamato i rinforzi e il personale sanitario. Sono così arrivate diverse volanti, per un totale di almeno una dozzina di agenti di polizia. Questi dicono che Squeo brandiva un coltello e perseverava in uno stato di alterazione psicofisica. È stato estratto un taser per avvertimento, poi il ragazzo è stato bloccato e ammanettato in posizione laterale di sicurezza, le caviglie legate dai laccetti in velcro. I sanitari gli hanno somministrato un calmante, il Propofol. Pochi minuti dopo, alle 4.15, è arrivato il primo arresto cardiaco, poi un secondo e un terzo tra il trasporto e il ricovero all’ospedale Policlinico, con il decesso constatato alle 6.45.

Versioni discordanti

Secondo il referto del personale ospedaliero del Policlinico, Squeo è morto per «arresto cardiaco in sospetto abuso di sostanze». Anche i consulenti nominati dal pm, che hanno eseguito l’autopsia giudiziaria sulla salma, hanno ricondotto il decesso a un’assunzione letale della sostanza stupefacente. Da qui è arrivata la doppia richiesta di archiviazione, che però poggia su basi molto fragili.

Intanto non tornano i tempi. I consulenti del pm dicono che Squeo ha assunto la dose letale di cocaina in un periodo non superiore a 60-90 minuti dal decesso, dunque tra le 5.15 e le 5.45. Un’ipotesi irreale: in quel lasso di tempo era già al secondo arresto cardiaco, e la polizia era arrivata in casa da diverse ore. Poi ci sono incongruenze tra le testimonianze della polizia e quelle dei soccorritori.

Questi smentiscono che il ragazzo fosse tenuto in posizione laterale di sicurezza e parlano invece di posizione prona. «I poliziotti erano in tanti, quindi alcuni lo bloccavano a terra, alcuni con le mani, alcuni con il corpo e altri con il ginocchio», dice una soccorritrice, che parla di una scena andata avanti per «10-15 minuti». Un altro punto oscuro riguarda la somministrazione del Propofol, che da linee guida deve essere preceduta dal monitoraggio dei parametri vitali e che può causare depressione cardiorespiratoria. Il monitor in dotazione ai sanitari risulta attivato successivamente alla somministrazione e non prima.

«Quando ho visto il corpo di mio figlio in ospedale era conciato da buttar via, naso rotto, testa rotta, mani rotte, buchi strani, lividi ovunque», denuncia Franca Pisano, madre di Igor Squeo. Gli agenti nel loro verbale, e in seconda battuta i consulenti del pm, parlano di atti di autolesionismo, con il ragazzo che si lanciava contro i muri e le finestre in uno stato di alterazione che avrebbe poi condotto al decesso.

Il cosiddetto «excited delirium», una condizione medica non riconosciuta e molto criticata secondo cui da agitazione, delirio e aggressività può derivare il decesso. E che puntualmente viene tirata fuori quando si verifica una morte durante un intervento di polizia.

Il giallo del taser

È stato così anche per Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Riccardo Magherini e numerose altre vittime di abusi delle forze dell’ordine.

La relazione tecnica dei medici nominati dalla famiglia di Squeo smentisce la versione delle lesioni autoindotte. Le ferite sul capo, così come la frattura del naso, sono riconducibili alla faccia compressa a lungo sul pavimento. Altre lesioni sul corpo rimandano alla pressione effettuata con avambracci e ginocchia per tenere l’uomo schiacciato per terra. Il corpo in generale è viola, ricoperto di lividi e lesioni diffuse impossibili da procurarsi da solo.

A questo si somma la presenza di strani buchi, che, secondo la famiglia, sono riconducibili all’uso del taser. Gli agenti dicono che è stato puntato due volte contro Squeo con i led rossi di avvertimento, l’avvocata Urzini ha chiesto di visionare la scheda di memoria per capire se è stato usato, la relazione della questura di parecchi mesi dopo dice che non è stato possibile verificare perché quel taser era ormai rotto.

La conclusione dei medici, nella loro relazione tecnica, è chiara: «Squeo fu mantenuto con forza in posizione prona, con la faccia schiacciata contro il pavimento; detta condizione di immobilizzazione ha interferito con la normale dinamica ventilatoria per impossibilità della gabbia toracica di espandersi adeguatamente; ha creato uno stato di ulteriore stress e paura del soggetto; ha aggravato un disagio respiratorio laddove presente anche la frattura delle ossa nasali».

Il rinvenimento delle cosiddette petecchie nel sacco pericardico è un'ulteriore prova di uno stato di ipossia, lo stesso che portò alla morte di Aldrovandi. La somministrazione finale del Propofol potrebbe aver dato il colpo di grazia in una situazione già compromessa. Per i medici, insomma, il decesso di Squeo deve essere ascritto a un arresto cardiocircolatorio per insufficienza respiratoria causata dalla contenzione degli agenti di polizia e dalla successiva somministrazione del Propofol. Per il magistrato, Squeo, schiacciato sul pavimento da numerosi agenti per lungo tempo e ricoperto di lesioni e fratture, è invece morto per overdose di cocaina.

La famiglia ora farà opposizione alla seconda richiesta di archiviazione. Anche l’associazione A buon diritto presieduta da Luigi Manconi sta seguendo la questione.

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