In Italia non esiste una legge che vieti le terapie riparative. Ovvero tutti quei percorsi psicologici che non si basano su nessun dato scientifico ma vengono «suggeriti» alle persone omosessuali all’interno degli ambienti religiosi per «curare» la propria identità.

Dai seminari alle fraternità come Comunione e Liberazione o Azione Cattolica. È successo in passato e succede ancora oggi, nonostante l’Unione Europea le vieti e già nel 2020 le Nazioni Unite abbiano bandito queste pratiche definendole «torture». Ed è di questo che si tratta, come raccontano Rosario Lo Negro, Maria Silvia Vaccarezza e Luca Bocchi, nel documentario Riparati-La Chiesa, l’omosessualità, la violenza delle terapie riparative, prodotto da Domani e disponibile sul sito del quotidiano da oggi 15 settembre.

«Se abbiamo fatto del male a qualcuno dobbiamo avere quella disponibilità a chiedere scusa. Un perdono che sia generativo e quindi riparativo», ha sottolineato Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, durante le riprese del documentario. Un perdono che nessuna delle vittime che abbiamo incontrato ha ricevuto dalla Chiesa, semplicemente per avere dichiarato la propria omosessualità.

«Quando ho capito quanto male mi era stato fatto ho pensato a togliermi la vita», racconta Rosario Lo Negro, ex seminarista ad Agrigento, negli anni in cui il rettore era don Baldo Reina, oggi cardinale vicario della Diocesi di Roma, nominato nel 2024 responsabile del Servizio Diocesano per la Tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Dopo aver risposto una prima volta alle domande di Domani sulle terapie riparative e aver confermato che a tutti i seminaristi «vengono proposti percorsi per raggiungere l’obiettivo di una scelta di vita consapevole», il cardinale si è negato a qualsiasi altro confronto sul tema delle terapie di conversione.

A Rosario Lo Negro il percorso di terapia è stato proposto dal seminario dopo avere dichiarato la sua bisessualità durante un incontro con la psicologa. «Mi è stato presentato un ragazzo che stava seguendo un percorso per “curare le ferite” e tornare eterosessuale. Così all’interno del seminario ho iniziato a seguire gli incontri che organizzava il gruppo Verdad y Libertad». L’associazione faceva capo a Miguel Anghel Cordon, pediatra, guru delle terapie riparative, che raccontava di essere lui stesso guarito dall’omosessualità. Nel 2021 il Vaticano ha preso le distanze da questo gruppo, bocciando i percorsi che proponeva, purtroppo con molto ritardo rispetto al numero di ragazzi che, come Rosario, ne sono stati vittime negli anni, proprio su indicazione dei seminari stessi. «Si proponevano esercizi come l’abbraccioterapia, costretti a stare nudi in piscina, oppure nudi davanti allo specchio a ripetersi frasi come “non sono omosessuale”. L’obiettivo principale era desessualizzare il corpo». Tutto questo per Rosario Lo Negro ha preso nel tempo la forma di un profondo malessere psicologico, che a lungo gli ha impedito di vivere serenamente il rapporto con l’amore e con sé stesso. Solo nel 2024 è riuscito a parlarne in famiglia.

Il dolore

«C’è un ago che sta ricucendo i brandelli di quello che sono stato» racconta l’ex seminarista che oggi è studente di Filosofia all’università San Raffaele di Milano e membro del Comitato nazionale del cammino sinodale e dell’associazione Progetto Giovani Cristiani Lgbtq+. «Fa male ma mi ha permesso di ricostruire quell’identità che stavo per perdere».

Quella stessa identità che Maria Silvia Vaccarezza, docente di Filosofia Morale all’università di Genova, cresciuta all’interno di Comunione e Liberazione, ha messo a lungo in discussione dopo essersi sentita «marcia, sbagliata» perché innamorata di una donna e quindi, secondo le indicazioni del suo padre spirituale, uno dei principali referenti di CL, «costretta alla castità, perché la chiamata era tatuata sul mio corpo e stava nel mio orientamento sessuale».

Così Maria Silvia è stata indirizzata all’interno di un percorso che si chiama «la verifica» e di cui CL chiede ai partecipanti di non parlare con nessuno.

«Sono incontri per i quali viene richiesta segretezza, un po’ come succede nelle sette. Facevamo letture sulla verginità. Il passo successivo per molti partecipanti era il sacerdozio, io da subito capii che non avevo nessuna motivazione per stare lì dentro», racconta la docente che dopo oltre quindici anni all’interno della fraternità, ha deciso di uscirne quando il suo padre spirituale l’ha stretta a sé con violenza gridando che non poteva essere lesbica. «“Non ti piace sentirmelo duro? ” Mi ha detto dopo avermi dato un bacio sulla bocca».

Stigmate

Dopo la denuncia fatta da Maria Silvia Vaccarezza nell’inchiesta pubblicata su Domani sulle terapie riparative, CL ha avviato un’indagine interna attraverso la Commissione abusi e ha sospeso in via precauzionale il sacerdote da ogni incarico educazionale. «Non so come mi sono salvata dalla pentola nera in cui ero finita», racconta Maria Silvia, che ha affrontato un lungo percorso di psicoterapia per rimettersi in piedi dopo anni di violenza psicologica. «Avevo deciso di rinchiudermi in monastero per non affrontare la vita e per fortuna la maestra delle novizie me lo ha impedito. Mi sono innamorata di nuovo e ho accolto le parole di quella persona che mi diceva di smettere di scappare. Le ho dato fiducia in nome dell’amore che mi legava a lei. L’amore salva».

Anche Luca Bocchi, cresciuto in Azione Cattolica e arrivato alle terapie riparative dopo essere stato consigliato dal suo parroco, ha denunciato.

«Ho chiamato l’ufficio abusi della mia diocesi e ho detto tutto. Adesso il mio caso è passato agli avvocati della Curia ma è bloccato a causa del diritto canonico». Nel momento più buio della storia Luca aveva trovato il modo per togliersi la vita con un’iniezione. A salvarlo sono state le parole di un’amica. «Dopo quei mesi di colloqui con lo psicologo, che era un diacono e mi consigliava di vedere una sex worker per “guarire” dalla mia omosessualità, avevo perso ogni rispetto verso me stesso. E anche quando non ho più seguito quegli incontri avevo sempre una voce dentro che mi diceva “ma se invece quelle terapie funzionavano? ”; “e se hanno ragione loro? ”». Le ferite non si possono cancellare. «Restano come stigmate», ha ribadito Monsignor Francesco Savino durante la messa per il pellegrinaggio delle persone lgbtq+ dello scorso 6 settembre.

Per loro, che nel calendario giubilare non vengono nemmeno nominate, Papa Leone XIV non ha speso una parola.

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