Questo è il sesto di una serie di reportage in cui raccontiamo cosa succede in Estonia, Lettonia e Lituania, i paesi europei e membri della Nato che dopo l’invasione dell’Ucraina temono di essere i prossimi. Qui potete leggere gli altri reportage della serie.


In un tratto della campagna della Lituania c’è una collina: poco più di un dosso che in circostanze normali non meriterebbe nemmeno un nome. Sulla cima di questo rilievo per il resto identico a mille altri generazioni di lituani hanno piantato migliaia e migliaia di croci. Oggi ce ne sono centomila, una foresta. Da qui il nome di questo luogo: Kryžių kalnas, la collina delle croci.

«Nemmeno i lituani conoscono qual è l’origine di questa tradizione», dice Carlo Bertagnin, uno dei tre frati francescani che abita nel vicino convento. Originario di Verona, è stato uno dei primi sacerdoti ad arrivare in Lituania negli anni Novanta, dopo l’indipendenza dall’Unione sovietica.

«Era un paese affamato di religiosità dopo mezzo secolo di distacco dalla chiesa universale», racconta oggi, dopo quindici anni trascorsi a vivere nel convento accanto al santuario. Qui chiunque ha il diritto di piantare una croce alta fino a tre metri, ma la maggior parte dei visitatori si accontenta di lasciare piccoli crocifissi e rosari. Le occasioni sono quasi tutte liete: matrimoni e battesimi, ma anche grazie, preghiere, implorazioni.

La tradizione di piantare croci è iniziata a metà dell’Ottocento, probabilmente dopo le grandi rivolte contro il dominio dello zar russo e ortodosso, che non vedeva di buon occhio il cattolicesimo dei lituani. La fama della collina è cresciuta negli anni dell’occupazione sovietica, quando la chiesa cattolica rappresentava la principale opposizione al regime. «Essere lituano all’epoca – dice Bertagnin – significava essere cattolico: era parte dell’identità, come la cultura e la lingua».

Per quattro volte le autorità comuniste cercarono di rimuovere le croci dalla collina. Arrivarono a scavarci un fossato intorno, ma le croci tornavano sempre. Oggi la collina continua a essere centrale nell’identità del paese. L’ultima domenica di luglio, ospita una cerimonia a cui partecipano politici, prelati, migliaia di fedeli e che viene trasmessa in diretta dalla televisione nazionale.

I battaglioni della forza internazionale Nato, che si alternano nel paese fin dall’occupazione russa della Crimea nel 2014, vengono quasi sempre a visitare la collina con i loro cappellani militari. Bertagnin dice che il giorno dopo l’intervista è prevista la visita di un contingente tedesco e di uno britannico provenienti dalla vicina base aerea di Šiauliai: un filo rosso che collega la storia di questo luogo e di questo popolo con le recenti tensioni riesplose in Ucraina.

La Collina delle croci si trova a pochi chilometri dalla città di Šiauliai (Foto Davide Maria de Luca)

Un passato imperiale

Il patriottismo è una caratteristica condivisa da tutte e tre le repubbliche baltiche ed è diventato sempre più forte negli ultimi anni, anche in risposta al nuovo espansionismo russo. Ma nel caso della Lituania ha una coloritura particolare. Il ducato di Lituania, fondato nel XIII secolo, fu l’unico stato baltico a ottenere l’indipendenza prima dell’epoca contemporanea. Quando nel XV secolo il duca di Lituania sposò la regina di Polonia formando un’unione personale tra le due monarchie, quella che ne uscì fu per oltre due secoli la potenza dominante dell’Europa orientale. Nel 1618, le armate polacco-lituane arrivarono alle porte di Mosca e misero la città sotto assedio, un episodio che ricorda ancora ai lituani che è esistito un tempo in cui era la Russia a vivere sotto la loro minaccia e non viceversa.

Il prezzo del consenso

All’epoca, la Polonia-Lituania si estendeva dalle coste del mar Baltico a quelle del mar Nero, «da mare a mare» come si dice in un’espressione che i bambini lituani imparano alle elementari.

Oggi, invece, la Lituania è un paese con gli abitanti di Roma e una superficie pari a quinto di quella italiana. Ma non ha dimenticato il suo passato. «Scherzando dico che quando un lituano esce con amici stranieri dopo la seconda birra comincerà a spiegare la storia del Granducato», racconta Andrius Kubilius, parlamentare europeo del partito democristiano e per due volte primo ministro della Lituania.

Il suo ufficio si trova nella capitale Vilnius, affacciato sulla Gedimino prospektas, il viale che attraversa il centro della città e che termina con il Palazzo dei Granduchi, un edificio costruito nei primi anni Duemila in un tentativo di emulare la residenza dei principi lituani demolita oltre due secoli prima.

Politico cattolico nella più religiosa delle tre repubbliche baltiche, Kubilius ci tiene a sottolineare le radici del suo paese. «Dico sempre che l’identità lituana è fatta di tre cose: cattolicesimo, basketball e zeppelin», gli gnocchi di patate solitamente riempiti di carne tipici della cucina locale. Eletto per la prima volta nel 1999, all’epoca della crisi del rublo, e poi di nuovo nel 2008, allo scoppio della crisi finanziaria, Kubilius si è fatto promotore di impopolari misure di austerità, ma ha contribuito a rimettere il paese sul sentiero della crescita economica. Nel suo secondo mandato, è stato il primo capo di governo lituano a completare la legislatura. Oggi, si occupa soprattutto di politica internazionale, che in questi giorni significa parlare di Ucraina.

Il bersaglio

«Questa è la nostra guerra – dice – dobbiamo mobilitare tutte le nostre risorse: armi e sanzioni. Non ci sarà mai pace senza una Russia democratica». È la posizione di tutti i governi degli stati baltici, che condividono il timore di diventare il prossimo bersaglio di Putin. Con orgoglio, i baltici rivendicano anche le differenze tra di loro. «Io dico sempre che noi lituani siamo gli italiani del nord Europa – dice Kubilius – rumorosi e creativi. Forse è qualcosa che ha a che fare con la nostra eredità cattolica: lituani ed estoni, che sono luterani, sono più calmi». Ma non c’è solo questa differenza. Forte della sua storia, la Lituania rivendica il ruolo di “potenza regionale” dei baltici, il paese che prende l’iniziativa sulla scena internazionale e che con il suo attivismo riesce a contare molto più di quanto dovrebbe.

«Sentiamo una fratellanza con i popoli che facevano parte del granducato», dice Kubilius, intendendo polacchi, bielorussi e ucraini, il che, in concreto, significa che Vilnius è diventata la città più importante per gli oppositori politici di Putin e dei suoi alleati. Qui vive la leader dell’opposizione bielorussa Svetlana Tikhanovskaya e una lunga lista di oppositori russi.

Difesa, politica estera e identità nazionale sono temi su cui in Lituania c’è grande consenso. La politica nazionale è turbolenta, come quella italiana, a cui spesso i lituani si paragonano, ma sulle grandi scelte c’è totale condivisione. I governi socialdemocratici si alternano a quelli conservatori, ma che si tratti del ripristino della leva obbligatoria o di portare la spesa militare al tre per cento del Pil, l’accordo è trasversale. Con un discorso pubblico che ruota sempre più intorno al patriottismo anti russo, l’asse politico è rimasto orientato a destra anche su altri temi. La Lituania è uno dei paesi europei con la più bassa spesa pubblica e con le diseguaglianze più altre, mentre sui diritti civili e sociali è uno di quelli più conservatori. Ironicamente, la Lituania è l’unico paese in Europa ad aver approvato una legge contro la “propaganda gay”, ricalcata su quella approvata da Putin poco tempo prima. Per la fortuna della comunità Lgbt lituana, però, non è quasi mai stata applicata.

© Riproduzione riservata