Il Partito democratico deve cambiare se vuole allearsi con la federazione di +Europa e Azione. Questo il messaggio lanciato al segretario Enrico Letta da Emma Bonino e Carlo Calenda. Sono giorni di intense trattative, e con una legge elettorale che sfavorisce le coalizioni più piccole, i centristi sentono di avere il coltello dalla parte del manico.

Calenda detta condizioni: il Pd deve «aderire» al suo programma, deve rifiutare alleanze con la sinistra e i verdi, deve candidare Draghi o lui stesso alla presidenza del consiglio e in ogni caso non deve puntare sul segretario Letta. Bonino, dal canto suo rimprovera al Pd il flirt con il Movimento. «Vediamo, in questi anni il Pd ha preferito altri interlocutori», punzecchia quando le chiedono delle prospettive dell’alleanza.

Con un parlamento dimezzato e una potenziale sconfitta storica alle porte, le trattative per assegnare posti e collegi sicuri sono intense e in politica ogni tattica è lecita. Ma i centristi – e i radicali in particolare – sembrano dimenticare che è da quasi un quindicennio che se entrano in parlamento lo devono soprattutto alle favorevoli condizioni offerte loro dal Pd. E che loro stessi sono stati spesso piuttosto infedeli nella scelta degli alleati.

Politiche ed Europe

Non bisogna andare molto indietro nel tempo per trovare un Pd più che disponibile a farsi rampa di lancio per i centristi. Alle elezioni del 2018, Bonino è stata eletta con la coalizione di centrosinistra nel blindatissimo collegio di Roma centro insieme al suo compagno di partito Riccardo Magi, mentre Bruno Tabacci, sempre candidato dal centrosinistra, ha conquistato l’altrettanto blindato collegio di Milano centro. Nel proporzionale, invece, +Europa non ha superato la soglia di sbarramento del 3 per cento: senza i posti nei collegi uninominali, quindi, non avrebbe eletto nessuno parlamentare.

Il caso di Calenda è ancora più macroscopico. Non candidatosi alle elezioni 2018 per ragioni personali, Calenda entra nel Pd e ottiene in breve tempo non solo di farsi candidare come capolista alle Europee nella circoscrizione nord-est, quella dove si trova il serbatoio di voti dell’Emilia-Romagna, ma – caso senza precedenti – riesce a ottenere che metà del simbolo elettorale venga occupato da “Siamo europei”, una sorta di movimento personale che Calenda guida pur essendo formalmente tesserato del Pd.

Le malelingue dicono che Calenda è già pronto a trasformare Siamo europei in movimento politico subito dopo le elezioni. La cosa si verifica puntualmente, anche se non subito, ma soltanto dopo il Pd forma un governo con il Movimento 5 stelle quell’estate.

Vocazione maggioritaria, ma anche...

Il corteggiamento dei centristi, e dei radicali in particolare, da parte del Pd coincide con la storia stessa del partito. Nato con la famosa “vocazione maggioritaria” del suo primo segretario, Walter Veltroni, il Pd fa subito un’eccezione alla regola. Alle prime elezioni a cui partecipa dopo la fondazione, quelle del 2008, si allea con l’Italia dei valori dell’ex magistrato Antonio Di Pietro e inserisce, dopo una lunga trattativa, nove candidati radicali, tra cui Emma Bonino, in posizioni blindate (saranno in effetti tutti quanti eletti). Sempre con il sostegno del Pd, quell’anno Bonino viene eletta vicepresidente del Senato.

Alle Europee dell’anno dopo, che si disputano con un sistema puramente proporzionale, Pd e Radicali corrono da soli, ma nel 2010 Bonino viene candidata dal Pd alla presidenza della regione Lazio, elezione che perde contro la candidata di destra Renata Polverini.

Nel Pd nel frattempo Pierluigi Bersani viene eletto segretario. Considerato di impostazione più socialdemocratica dei suoi due predecessori, Veltroni e Franceschini, Bersani nondimeno apre di nuovo ai centristi. Non ai radicali veri e propri, che, in un periodo di profondi tumulti interni, si presenteranno con una lista autonoma, ma al Centro democratico di Bruno Tabacci (che negli anni successivi diventerà una colonna portante di +Europa).

Fedeltà elettorali

Con la crisi del governo Draghi e la rottura del campo largo con il Movimento 5 stelle, attaccare il Pd per il suo tentativo di alleanza con Conte è certamente un terreno fruttuoso. Ma né Azione né i Radicali possono rispondere alle incertezze del Pd offrendo una storia di tetragona coerenza.

Caso emblematico è di nuovo quello del 2008. Mentre il Pd candida nove radicali in posizioni blindate, Benedetto Della Vedova, storico dirigente del partito e attuale segretario di +Europa, si candida con Forza Italia. I più cinici potrebbero anche ricordare il tentativo di Pannella di appoggiare la destra di Francesco Storace alle elezioni in Lazio del 2013 (tentativo, a onor del vero, stoppato proprio da Bonino).

Alle critiche di incoerenza, i radicali in genere rispondono che Pannella ha sempre fatto della trasversalità un punto di forza del partito, i cui membri sono capaci di candidarsi con chiunque pur di portare avanti i loro obiettivi. Ma d’altro canto questa pur legittima strategia non lascia molto spazio per ergersi a giudici della coerenza altrui. 

Calenda, invece, non ha mai fatto della trasversalità il suo punto di forza. Rivendica invece la sua coerenza centrata su un punto fondamentale: mai alleanze con i 5 stelle. Sulla base di questo principio ha strizzato l’occhio alla ricandidatura del sindaco Marco Bucci a Genova, sostenuto da tutto il centrosinistra, ma senza concretizzare il suo sostegno in un appoggio politico alle elezioni. 

D’altro canto, dalle europee 2019 ad oggi, Calenda si è schierato contro il Pd in quasi tutte le principali elezioni locali e amministrative: da Roma a Palermo, passando per L’Aquila e Catanzaro. Anche sul suo sacro principio, “mai con il Movimento”, Calenda ha comunque fatto delle eccezioni. Il principio è divenuto “mai con il simbolo” del Movimento, così Calenda ha appoggiato gli stessi sindaci del Movimento a Padova, Verona e Viterbo.

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