Raramente il panorama politico italiano è stato così ricco di formazioni, medie e piccole, che si definiscono o sono definite “centriste”, ossia al “centro” dello spettro politico, "moderate”, almeno in teoria, e capaci di trovare alleanze e affinità tanto a destra quanto a sinistra.

Le ragioni di questa proliferazione sono numerose, dallo sfaldamento parlamentare del Movimento 5 stelle e Forza Italia, alla forza attrattiva verso il “moderatismo” esercitata dal governo Draghi. Quali che siano le cause, però, i centristi sono al centro della cronaca politica di questi giorni.

Con una legge elettorale che penalizza pesantemente le coalizioni più piccole e meno inclusive, si è aperta una vera e propria “caccia ai centristi”. Soprattutto il Pd, che per il momento sembra intenzionato a non allearsi con il Movimento 5 stelle, ha un disperato bisogno di trovare alleati con cui contestare i preziosi collegi uninominali al centrodestra.

Ecco quindi una mappa delle principali formazioni del campo centrista e delle loro possibili alleanze, partendo, orientativamente, da chi è più a destra e spostandoci verso sinistra.

Italia al centro e Coraggio Italia

Sono i due piccoli partiti del presidente della Liguria Giovanni Toti e del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Formalmente alleati fino alle scorse elezioni amministrative, si sono divisi in seguito a una serie di dissapori interni. 

Tra le varie formazioni centriste, queste due sono le più apertamente schierate. Tanto Toti quanto Brugnaro governano con maggioranze di centrodestra e il loro personale politico proviene quasi tutto da Forza Italia e Lega. Si sono però distaccati dai loro alleati quanto questi ultimi hanno abbandonato il governo Draghi.

Sembra difficile però che porteranno le loro obiezioni fino al punto da correre da soli (mentre è pressoché impossibile un’alleanza con il centrosinistra). È invece probabile una collocazione come “gamba centrista” di una coalizione spostata molto a destra, raccogliendo magari alcuni fuoriusciti da Forza Italia e frenando così l’espansione verso il centro dell’alleanza di centrosinistra.

I fuoriusciti da Forza Italia

Non sono ancora un partito, né una lista ma i ministri e gli altri parlamentari usciti da Forza Italia potrebbero costituire la loro formazione o andare a rafforzare le altre formazioni centriste. I personaggi più noti di questo gruppo sono gli ex ministri Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, oltre al senatore Andrea Cangini, ex Forza Italia. Anche la ministra per il Sud Mara Carfagna, ha annunciato le sue dimissioni dal partito, ma senza indicare quale percorso intende intraprendere.

Difficilmente questi fuoriusciti muoveranno moltissimi voti, ma le loro decisioni potrebbero essere spia di uno smottamento più ampio di elettori e di personale politico verso lidi centristi. Gelmini al momento appare la più convinta ed è in aperta trattative con Carlo Calenda e il suo partito Azione, mentre Brunetta al momento non ha dato indicazioni chiare.

Una possibilità è un ritorno all’ovile di centrodestra, magari partecipando alla possibile “gamba centrista” del centrodestra che vorrebbero incarnare Toti e Brugnaro. Ma è possibile anche che quella strada sia sbarrata e che invece i fuorusciti scelgano di correre con qualche aggregazione centrista indipendente che, con grande soddisfazione del centrosinistra, potrebbe contribuire a togliere qualche voto ai loro avversari in collegi chiave.

Insieme per il futuro

La nuova formazione creata da Luigi Di Maio con la sua scissione dal Movimento 5 stelle sembra avere già un percorso chiaro, anche se non ancora formalizzato. Trattative sono in corso da tempo con il sindaco di Milano Beppe Sala per la creazione di una lista centrista di orientamento ambientalista che possa andare a sostegno della coalizione di centrosinistra.

Né Di Maio stesso né il Pd hanno escluso questa ipotesi. Ai suoi alleati Di Maio può offrire un forte radicamento territoriale nella provincia di Napoli, un fatto che può aiutare molto nella conquista del relativo collegio uninominale. Ma nell’attuale situazione nulla è definito e le trattative, tanto quelle con Sala quanto quelle con il Pd, potrebbero non portare a nulla.

Se l’alleanza con il Pd non dovesse partire, Di Maio e la sua lista si troverebbero in una situazione complicata. La soglia di sbarramento della legge elettorale è al 3 per cento e difficilmente il neonato Insieme per il futuro potrebbe raggiungere da solo questa soglia.

Italia viva

Situazione non molto diversa per il partito di Matteo Renzi, Italia viva. Dato dai sondaggi stabilmente sotto il 3 per cento, Renzi può contare su un discreto radicamento territoriale nell’area di Firenze. Alleandosi con il Pd può garantire la conquista del seggio uninominale al centrosinistra, ma potrebbe metterla in dubbio se decidesse di candidarsi da indipendente.

Il percorso che porta all’alleanza con il Pd è però accidentato almeno quanto quello di Insieme per il futuro. Renzi è pur sempre il segretario del Pd che ha fatto fuori l’attuale leader Enrico Letta al tempo del famoso «Enrico stai sereno». Renzi è visto malissimo anche dalla sinistra del Pd e sono in molti a dubitare dell’utilità di imbarcarlo nell’alleanza.

Azione e +Europa

Il partito dell’ex ministro Carlo Calenda e quello guidato dal sottosegretairo Benedetto Della Vedova e di cui fa parte anche Emma Bonino, sono alleati da tempo e, tra tutti i centristi, sono gli unici dati regolarmente sopra il 3 per cento dai sondaggi: nessuno più di loro ha buone possibilità di entrare in parlamento anche correndo da soli.

Allo stesso tempo, sono con ogni probabilità gli alleati più naturali per l’attuale Pd guidato da Enrico Letta. Entrambi hanno fatto un totem della cosiddetta “agenda Draghi”, il vago insieme di politiche che si ritiene rappresenti la continuità con l’attuale governo dimissionario.

Entrambi i partiti, e Calenda in particolare, sono forti negli stessi elettorati da cui attinge il Pd di Letta: i ceti istruiti dei centri urbani. Calenda sembra saperlo perfettamente e mentre in questi giorni, con una mano, apre alla possibile alleanza con il centrosinistra, con l’altra minaccia di candidarsi da indipendente nel collegio di Roma, storico feudo del Pd e uno dei pochi collegi che il partito di Letta può vincere fuori dalle storicamente rosse Toscana ed Emilia Romagna.

Calenda però è un negoziatore irruento con un passato tutt’altro che sereno con il Pd. Entrato nel partito dopo le elezioni 2018, ne è uscito subito dopo essere stato eletto al Parlamento europeo, per poi candidarsi a Roma con una lista rivale del centrosinistra che ha ottenuto un discreto risultato. 

Considerato da molti un pericoloso «piantagrane» che causa più grattacapi che altro ai partiti e alle coalizioni di cui fa parte, in questi giorni Calenda sembra intento ad alzare il prezzo di una sua collaborazione con il centrosinistra, chiedendo ad esempio al Pd di «aderire» al programma che presenterà prossimamente e cercando di imporre la scelta di Mario Draghi come «candidato premier» della coalizione (la legge elettorale, però, non prevede l’indicazione di questa figura) o, in caso di rifiuto, proponendo sé stesso e, in ogni caso, mettendo il veto alla candidatura di Letta.

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