Sono contraria alla lettera di Volodymyr Zelensky a Sanremo perché voglio salvare il presidente da sé stesso. So che sarà difficile argomentare la mia contrarietà in un paese nel quale ormai il dibattito è asfittico: mi sarà consentito di esprimere qualche perplessità senza per questo essere appaiata con il nostro ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che da Vladimir Putin ha ricevuto regali e che su di lui ha espresso farneticherie?

Posso essere contro, ma con una prospettiva diametralmente opposta ai censori di Zelensky, che vorrebbero passarne in rassegna ogni riga di discorso?

Io sono contro Zelensky a Sanremo perché penso che non esista pericolo peggiore della banalizzazione della guerra. Perché credo ancora che l’antidoto alla violenza sia la democrazia, e la democrazia non si nutre di spettacoli, non rincorre l’audience, ma si basa sulla possibilità di ragionare e di esercitare la propria facoltà critica.

Volodymyr Zelensky è apparso a Cannes, ai Grammy, in festival svariati, e anche quando ha parlato davanti ai nostri parlamenti, lo ha fatto cercando il punto esatto sul quale intercettare il suo pubblico. Ai cineasti ha citato Chaplin, all’Assemblée nationale ha evocato il ritornello di libertà, uguaglianza e fratellanza. Se al nostro parlamento non ha citato esplicitamente la resistenza è solo perché da stratega della comunicazione e della politica qual è, Zelensky sa che purtroppo in Italia il tema risulta ancora (e assurdamente) divisivo.

Il presidente ucraino ostenta una campagna di persuasione, batte gli schermi come si conquistano trincee, e la ragione di tutto questo la spiega bene il politologo Ivan Krastev, quando - nell’intervista a Domani - spiega che la guerra in Ucraina si combatte anzitutto sul terreno dell’opinione.

La guerra e l’opinione

Senza il supporto dell’opinione pubblica, non esiste né sussiste l’aiuto militare, quello finanziario, e più in generale la costruzione identitaria che ci vuole accomunati in un unico destino. Il punto che sollevo è però: quale opinione vogliamo essere? Davvero un tema così serio, importante, grave come la guerra può essere trattato alla stregua delle canzonette?

Io penso che per l’opinione pubblica europea sia fondamentale avere rispetto della sofferenza della popolazione ucraina, e mi chiedo fino a che punto un video durante un festival della canzone contribuisca a questo scopo. Mi piacerebbe piuttosto vedere Zelensky intervistato da Fabio Fazio, restituire alla questione il giusto contesto: non penso che il problema sia elaborare collettivamente la guerra, anzi.

Il punto è che la guerra non è uno spettacolo. Un presidente non è un media strategist. L’opinione pubblica non è un’audience di prima serata. Un videomessaggio alle famiglie, se porta la voce di un popolo che soffre, merita attenzione ed empatia. Con la guerra in Ucraina abbiamo visto il premier polacco, l’ultraconservatore Mateusz Morawiecki, concepire campagne pubblicitarie con tanto di Colosseo nei manifesti. Una popolazione non la si motiva con artifici e spettacolarizzazioni. Non è questa la via.

Troppo rumore alla fine non fa più sentire nulla.

La più grande sfida in tempi di guerra è conservare la ragione, oltre che il cuore. Diamo al presidente ucraino spazio per portarci le sue ragioni, e per trascinare i nostri cuori: lo spazio giusto è uno spazio ampio, di confronto, non un videomessaggio sparato ai festival delle canzoni. Anche perché finisce che così Zelensky mi costringe a guardarli.

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