A chi dobbiamo credere? Dobbiamo credere a tre deputati della Repubblica di tre partiti di maggioranza che fanno parte del comitato parlamentare del controllo dei servizi segreti che ci dicono che la Farnesina, il nostro ministero degli Esteri, non sapeva nulla dell’incontro tra i vertici delle maggiori aziende italiane con il presidente russo Vladimir Putin nelle stesse ore in cui Putin sta schierando le sue truppe ai confini ucraini e valutando se inviare armi ai separatisti?

Oppure dobbiamo credere alla lunga serie di evidenze che ci dicono che l’incontro era programmato e pubblicizzato – il primo riscontro sulle agenzie risale alle 11 di mattina del 17 gennaio – e che lo stato italiano se ne è accorto in ritardo e ha tentato di riparare all’ultimo? E quale delle due ipotesi è più preoccupante per la Repubblica italiana?

Oltre al Quirinale c’è la guerra ma la politica non se ne è accorta

Alle 16 di ieri, ora di Mosca, il Cremlino ha inviato il secondo comunicato ufficiale nel giro di due giorni sull’incontro tra il presidente russo e i dirigenti di 16 società italiane, tra le quali Generali e Intesa San Paolo, Pirelli a Barilla, il gruppo dell’acciaio Danieli e il colosso dell’energia partecipato dallo stato Enel.

Poche righe abbastanza scarne in cui si spiegava che «sono state discusse la cooperazione commerciale, economica e di investimento tra Russia e Italia e le prospettive per un'ulteriore espansione dei legami commerciali», accompagnate dalle foto di ordinanza del presidente russo e dei ministri intervenuti.

Sette ministri più uno

Putin ha schierato ben sette membri del governo, più il potente numero uno del colosso petrolifero Rosneft Igor Sechin. Nei due punti di incontro, il Grand Hotel Saint Regis di Roma e il Principe Savoia di Milano, si sono presentati tutti, a partire dall’organizzatore Vincenzo Trani, presidente della Camera di commercio italo russa, l’officiante Marco Tronchetti Provera, presidente del comitato imprenditoriale italo russo e Antonio Fallico, presidente di Intesa Russia e soprattutto amico personale di Putin che ogni ottobre organizza a Verona il forum euroasiatico.

Non c’erano invece Marco Alverà di Snam che aveva già declinato la partecipazione, Francesco Caio di Saipem, e Ernesto Ferlenghi, vicepresidente di Eni che aveva comunicato l’assenza nella serata del 25 gennaio.

All’ultimo ai piani alti di diverse partecipate di stato è arrivata una telefonata da palazzo Chigi per avere notizie sulla partecipazione o meno all’incontro, una sorta di moral suasion dell’ultimo minuto, che però non ha impedito all’amministratore delegato di Enel Francesco Starace di essere presente all’incontro, al contrario del fratello Giorgio Starace ambasciatore italiano a Mosca il cui nome è stato rimosso dall’ultimo elenco di presenze.

Alla ribalta internazionale

L’incontro, ci spiegano, era previsto già a novembre e poi è slittato, ma era stato pubblicizzato sul sito della Camera di commercio italo russa e annunciato dall’agenzia di stampa Nova già il 17 gennaio. Il 25 gennaio mattina viene citato in un articolo di Repubblica e viene notato dai corrispondenti internazionali, compresi quelli di stanza a Kiev, congelati in un clima di attesa di una guerra definita possibile o imminente a seconda delle notizie di giornata: già alle 9 e 40 di mattina la corrispondente da Kiev Olga Tokariuk, fellow del Center for European Policy Analysis di Washington, descrive l’Italia come «un campo di battaglia» per Putin.

Alle 12.05 del 25 gennaio, mentre sul sito della Nato il segretario generale Jens Stoltenberg ringrazia i paesi europei che hanno inviato mezzi militari in Europa dell’Est, sul portale del Cremlino appare il primo comunicato ufficiale che annuncia l’incontro. Passano poche ore e a sera la notizia è rimbalzata sul Financial Times.

Solo quando l’incontro diventa di dominio internazionale, il governo si muove per dissuadere le aziende di stato a partecipare a un vertice che chiaramente si presta ad essere utilizzato per propaganda, al di là dei contratti e degli accordi commerciali che non siamo certo gli unici a sottoscrivere coi russi.

Si muove direttamente palazzo Chigi, che tra l’altro aveva avuto un colloquio diretto con Biden appena il giorno prima.

Cosa ha fatto nel frattempo la Farnesina del ministro Luigi Di Maio mentre il suo ambasciatore a Mosca si preparava a partecipare all’evento?

Secondo tre deputati membri del Copasir – Enrico Borghi del Partito democratico, Federica Dieni del Movimento 5 stelle e Elio Vito di Forza Italia –, tutto sarebbe avvenuto «all’insaputa» del ministero degli Esteri.

Lo mettono nero su bianco in un comunicato congiunto ipotizzando dunque che l’ambasciatore Starace non abbia informato il ministero degli Esteri e prendendosela con le imprese. Borghi contattato da Domani spiega che «se lo abbiamo scritto è perché abbiamo le nostre fonti». Il presidente del Copasir Adolfo Urso si limita a un no comment sulla versione dei colleghi.

A loro insaputa

Nemmeno il ministero dello Sviluppo economico sembra essere stato informato. La Farnesina alle nostre richieste di spiegazione non risponde, non lo fa nemmeno l’ambasciata italiana in Russia, né quella russa in Italia.

Ci pensa il portavoce di Putin a chiarire la posizione del governo russo che è semplice: Roma non ha mandato alcuna comunicazione ufficiale e l’incontro non c’entra nulla con le sanzioni allo studio di Stati Uniti e Unione europea nei confronti di Putin.

Le aziende private possono valutare autonomamente se un incontro con il presidente russo in questo momento nuoce o non nuoce al loro business. Poi ci sono le aziende che hanno lo stato come principale azionista e gli ambasciatori della Repubblica italiana.

Se l’ambasciatore italiano in Russia non informa il ministero degli Esteri abbiamo un problema grave, ma lo abbiamo anche se i ministeri non sanno quello che tutti sanno. E qualcuno, anche con le trattative sul Quirinale in corso, dovrebbe risponderne.

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