Mentre i socialisti rimpiangono David Sassoli e i tempi passati, Giorgia Meloni riempie il vuoto di iniziativa e si prende il futuro. Da almeno due anni la leader di Fratelli d’Italia – o il suo regista in Europa, Raffaele Fitto – interloquisce col centrodestra europeo assiduamente. Tutto questo le è servito a smantellare ogni residuo di cordone sanitario, a scompaginare il quadro politico europeo, a costruire col Ppe una alleanza tattica che la proietti saldamente nelle istituzioni. E soprattutto, a «non sembrare marziana»: era questa la sua principale aspirazione, come ha detto lei stessa a novembre, nel primo viaggio da premier a Bruxelles. Ma ora che il governo ha preso il via, Meloni punta al 2024 delle elezioni europee. L’incontro di questo lunedì con Ursula von der Leyen a palazzo Chigi mostra quanto Meloni stia ibridando la destra e la politica europee.

Meloni e von der Leyen

Partiamo da un presupposto: von der Leyen fa parte della famiglia politica popolare, ma le sue strategie non coincidono del tutto con quelle del principale interlocutore di Fratelli d’Italia, Manfred Weber. Silurato nel 2019 quando ambiva alla guida della Commissione Ue – e rimpiazzato proprio da von der Leyen – Weber ha reagito con una scalata al potere: ora ha la presidenza sia del partito europeo che del gruppo popolare; l’elezione di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento Ue è un prodotto suo e della sua sintonia coi conservatori meloniani. Weber pianifica il 2024 e stringe con Meloni, ma non certo per garantire un secondo mandato all’attuale presidente di Commissione. Anzi: tra i punti sui quali destra moderata ed estrema vanno già d’accordo, e in aula votano insieme, c’è l’indebolimento dell’agenda climatica di von der Leyen. Sia per tutto questo, che per ragioni di grammatica istituzionale, a dettagliare l’alleanza tra popolari e meloniani – con tanto di incontri romani – è il leader del Ppe, non la presidente di Commissione. Ma von der Leyen ha sicuramente preso atto dei buoni rapporti tra Ppe e Fratelli d’Italia, come conferma la sua nota: «Un piacere incontrare Giorgia Meloni!». I punti di sintonia non mancano: «Continueremo a supportare l’Ucraina».

Migranti e voti

Ovviamente Meloni e von der Leyen hanno discusso anche del Pnrr, in un bilaterale fra leader che in realtà era a tre: c’era anche Fitto. Da capogruppo dei conservatori, aveva intavolato lui l’alleanza con Weber, e ora che è ministro degli Affari europei assicura alla premier mosse non scomposte sui dossier delicati come la gestione dei fondi Ue. Ma oltre a questo livello, restano i temi identitari sui quali FdI ha gonfiato il consenso elettorale, e che spiegano anche il rapporto di mutuo soccorso col Ppe: mentre il quadro politico si polarizza e il centro da solo non regge, i popolari guardano alla destra estrema come a un elisir di lunga vita elettorale. Questo lunedì Meloni ha voluto «uno scambio di vedute in vista del Consiglio europeo di febbraio su economia e migrazione»: ha bisogno di accelerare sul dossier immigrazione. Il timore è che si arrivi all’estate, con l’aumento degli sbarchi, senza bandierine da sventolare, o peggio ancora con uno smacco. Perciò i meloniani insistono con Bruxelles sui tempi: ritengono che finora la Commissione sia andata al traino dei governi e delle loro titubanze, più che dare il suo impulso.

Progressisti infragiliti

Mentre la galassia sovranista infiltra sempre più l’agenda dell’Ue e il suo humus culturale, il controcanto progressista è sempre più fragile; lo scandalo Qatar è solo l’ultimo colpo. Questo lunedì mattina al teatro Quirino, durante l’evento dedicato a Sassoli, l’involuzione è apparsa evidente. Per contrasto: von der Leyen ha ricordato la spinta che Sassoli ha dato sulla solidarietà (con Next Generation Eu), sul clima (con «il suo supporto chiave al Green Deal»), sui diritti (per «trattare i migranti con dignità e solidarietà»). Dopo la morte del presidente socialista, una destra europea sempre più aggressiva – il Ppe in sintonia coi Meloniani – spinge l’Ue nella direzione contraria: vota contro il pacchetto climatico, vuole indurire le frontiere, considera la solidarietà solo se è in funzione dell’interesse nazionale. Anche sul fronte geopolitico, l’afflato europeista si incrina: «La polarizzazione si sta acuendo», ha detto Romano Prodi dal Quirino, facendo notare che l’Europa rischia di restarne schiacciata mentre «il suo compito sarebbe creare regole e mediazioni». Più esplicito ancora Paolo Rumiz: «Come mi diceva Sassoli, dovremmo mettere un po’ di Europa nel nostro atlantismo».

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