Questo venerdì cominciano le consultazioni fantoccio imbastite dal Cremlino, ma l’Ue non deve vedersela solo con i referendum fake del presidente russo. Ci sarà pure il referendum fake appena lanciato da Viktor Orbán, e che è un omaggio sempre a Vladimir Putin, visto che mette in discussione le sanzioni contro la Russia.

La Commissione europea non ha fatto in tempo ad annunciare un nuovo pacchetto di sanzioni, la «risposta compatta» dei governi europei, che poche ore dopo il miglior amico di Putin in Ue era già pronto a sganciare la sua bomba politica e retorica.

L’opera di sabotaggio del premier ungherese agisce in più direzioni: rivela, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la sua unica fedeltà è verso i propri interessi pragmatici, con tutte le attenzioni verso il Cremlino che ciò comporta. Serve inoltre a spintonare la Commissione europea, per accertarsi di incassare i fondi europei a dispetto degli obblighi democratici. E ha anche un obiettivo sul fronte interno, visto che in una fase di crisi multipla dirige per l’ennesima volta i malumori dell’opinione pubblica contro uno dei bersagli preferiti della propaganda orbaniana, cioè Bruxelles. Anzi, «la élite di Bruxelles», come ha dichiarato questo giovedì Máté Kocsis, deputato del partito del premier, Fidesz, quando ha annunciato la «consultazione popolare» contro le sanzioni.

I piani di Bruxelles

Dopo il discorso belligerante del Cremlino, l’Ue, che disconosce i referendum putiniani, ha chiarito che gli sviluppi non condizioneranno il suo supporto a Kiev, e anzi ha rinforzato la sua linea sanzionatoria verso la Russia. «Le dichiarazioni di Putin richiedono nuove sanzioni», è la reazione che la presidente della Commissione Ue ha affidato ai microfoni di Christiane Amanpour della Cnn. Nell’intervista, Ursula von der Leyen ha ribadito che «le sanzioni sono state estremamente di successo».

A quale tipo di sanzioni stia lavorando Bruxelles, lo ha fatto intendere Josep Borrell, da New York, dopo il vertice straordinario dei ministri degli Esteri dell’Ue. «Studiamo un nuovo pacchetto che colpirà nuove aree dell’economia russa, in particolare quelle tecnologiche. E ci sarà una nuova lista di persone sottoposte a sanzioni».

L’alto rappresentante Ue ha ostentato fiducia, riguardo alla compattezza dei governi: «Sono certo, che troveremo un accordo unanime». Peccato che il premier ungherese poco dopo abbia destabilizzato il quadro.

Il sabotaggio orbaniano

«I tentativi di indebolire la Russia non hanno funzionato, invece è l’Europa che potrebbe finire in ginocchio per l’inflazione e la crisi energetica provocate dalle sue sanzioni». Non è Putin ad aver detto queste parole – anche se ne ha dette di analoghe – ma Orbán, che attraverso il suo braccio destro della comunicazione, Zoltan Kovacs, e la macchina mediatica filogovernativa, veicola in modo martellante questo messaggio: basta con le sanzioni, causa di ogni male per gli ungheresi.

In tale contesto, questo giovedì dal gruppo parlamentare di Fidesz è uscito l’annuncio di una «consultazione» sulle sanzioni. Non è la prima volta che Orbán catalizza così il malcontento: nel 2016 ci fu il voto anti migranti, lo scorso aprile quello anti lgbt. Entrambi questi referendum identitari, costruiti come sondaggi di opinione, non hanno neppure raggiunto il quorum.

Cosa spera di ottenere ora il premier, a parte omaggiare Putin? Usa questa leva, e la mancata ratifica dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, come strumenti di pressione per sbloccare i fondi Ue; inoltre indirizza contro Bruxelles il disagio che la crisi fa lievitare tra gli elettori.

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