«Un Monopoly truccato». Una «macchina che trasferisce soldi da chi ne ha di meno a chi ne ha di più». Con queste parole il ricercatore dell’Instituto de Investigación Urbana di Barcelona Jaime Palomera ha definito il mercato degli affitti in Spagna lo scorso novembre, durante il suo intervento di fronte al parlamento.

Una visione che è condivisa da sempre più cittadini e associazioni, che negli ultimi anni hanno organizzato un numero crescente di manifestazioni contro la crisi abitativa. L’ultima si è tenuta lo scorso 5 aprile in 40 città diverse: era la prima protesta nazionale sul tema dell’abitare dal 2008.

Tra i principali responsabili dell’aumento del costo degli affitti (che sono cresciuti del 78 per cento negli ultimi dieci anni), c’è il fenomeno degli affitti brevi: secondo uno studio di Exceltur, nelle 25 città spagnole più grandi il numero di appartamenti affittati ai turisti sarebbero circa 345mila, in aumento del 17,5 per cento rispetto all’anno scorso.

Per limitare l’impatto di questa forma di locazione sul mercato immobiliare, negli ultimi dieci anni la Spagna ha sperimentato varie soluzioni, prima a livello locale e, dal 2023, con l’approvazione della “Ley de Vivienda”, anche a livello nazionale.

Barcellona apripista

In Spagna, il diritto all’abitare inizia a diventare un tema sensibile dopo la crisi economica del 2008, quando migliaia di famiglie faticano a pagare i mutui stipulati negli anni precedenti, e prende forza nel 2011, grazie alle numerose manifestazioni organizzate dal movimento degli Indignados.

La città che per prima diventa un simbolo della lotta alla crisi abitativa è Barcellona, dove nel 2015 viene sospesa la concessione di nuove licenze turistiche in tutta la città. A promuovere questa misura è l’ex sindaca Ada Colau, attiva in numerosi movimenti sociali cittadini coinvolta nella creazione della Plataforma de Afectados por la Hipoteca, avviata nel 2009 per aiutare le persone che rischiavano di essere sfrattate a causa della crisi immobiliare. Nei due mandati successivi, Colau vieta anche l’apertura di nuovi hotel nel centro storico e istituisce un corpo di circa 10mila ispettori per individuare e sanzionare gli appartamenti turistici illegali.

Nel 2024 è stato eletto un nuovo sindaco, il socialista Jaume Collboni (Colau faceva parte di una lista civica, Barcelona en Comú), che ha già annunciato che a partire dal 2028 la città non rinnoverà le licenze degli oltre 10mila appartamenti che vengono affittati a breve termine ai turisti.

La decisione è stata contestata dall’Asociación de Apartamentos Turísticos de Barcelona (associazione degli appartamenti turistici di Barcellona), che chiede al governo regionale danni per 4 milioni di euro. Una via che potrebbe percorrere a breve anche un’organizzazione simile che ha sede a Valencia e che ultimamente è riuscita a far annullare un piano urbanistico che impediva la creazione di nuovi appartamenti turistici in numerosi quartieri del centro città.

Come Valencia, anche altre città spagnole hanno iniziato a seguire l’esempio di Barcellona, con più o meno successo. Una delle ultime misure è stata adottata a metà maggio a Madrid e prevede che i nuovi alloggi turistici non potranno essere costruiti in qualsiasi zona della città, ma solo in condomini appositi.

La normativa, promossa dal sindaco di centrodestra José Luis Martínez-Almeida, è stata criticata dai socialisti, che hanno sottolineato che il piano non prevede provvedimenti per limitare la diffusione degli appartamenti non in regola (che secondo il ministero del Consumo nella città sarebbero 15.200 su un totale di 16.400) e che solo i fondi di investimento dispongono di risorse economiche per costruire interi condomini destinati alla locazione turistica.

Negli anni, anche la maggioranza delle regioni spagnole, che godono di maggiore autonomia rispetto a quelle italiane e in spagnolo vengono appunto chiamate Comunidades Autónomas, hanno approvato leggi per limitare la crisi abitativa (fanno eccezione di Asturie, Aragona, Cantabria, Cantabria, Castiglia-La Mancia e Madrid).

E in Italia?

Anche in Italia le prime iniziative per limitare gli affitti brevi sono nate a livello locale, anche se in maniera molto timida. Una delle più ambiziose è stata la proposta introdotta dall’ex sindaco di Firenze Dario Nardella per bloccare la possibilità di affittare per brevi periodi gli immobili del centro storico del capoluogo toscano.

La scorsa estate, tuttavia, il Tribunale amministrativo regionale ha decretato la decadenza del provvedimento in seguito all’approvazione di un nuovo Piano operativo per la città. A inizio maggio il consiglio comunale di Firenze ha approvato un regolamento sugli affitti brevi in città che contiene la proposta di Nardella e altre misure relative agli standard qualitativi degli alloggi, le autorizzazioni da ottenere per affittare un appartamento, le sanzioni e i controlli. A promuoverlo è stata la nuova sindaca, Sara Funaro, che ha reso il contrasto al turismo massivo uno dei punti più importanti del suo mandato.

Negli ultimi mesi sono poi arrivati i primi passi sul piano nazionale, prima con l’introduzione del codice identificativo nazionale (CIN) per censire e tracciare gli alloggi in affitto per meno di 30 giorni, e poi con il divieto dell’uso delle key box (le cassette in cui i proprietari di casa lasciano le chiavi ai turisti), introdotto dal governo a inizio anno. Queste misure risultano comunque molto insufficienti rispetto sia alle iniziative locali che quelle nazionali approvate in Spagna.

La Ley de Vivienda e le nuove misure previste per il 2025

Nel 2023, il governo del primo ministro socialista Pedro Sánchez ha approvato la “Ley de Vivienda” (Legge sulla casa), la prima legge nazionale completa che include misure per aumentare l'offerta di appartamenti a prezzi accessibili, limitare la tensione nel mercato degli affitti e sostenere i giovani e i gruppi vulnerabili nell'accesso alla casa.

Inoltre, offre alle regioni e ai comuni diversi strumenti per aumentare il numero di alloggi pubblici e contenere o ridurre il prezzo degli affitti. Tra questi, un indice che regola i canoni di affitto nelle zone definite “ad alta tensione”, dove esiste un intervallo di prezzi entro i quali le abitazioni possono essere affittate.

L’applicazione di questa norma, tuttavia, dipende dalle singole regioni: al momento, hanno aderito Catalogna, Paesi Baschi, Navarra e Asturias, mentre tutte le altre comunità, governate dal centrodestra, oppongono resistenza (unica eccezione: la città di La Coruña, il cui sindaco socialista è riuscito a convincere la giunta regionale).

In Catalogna, nel primo anno di applicazione della normativa, il prezzo degli affitti è sceso del 5 per cento (mentre nel resto della regione, l'abbassamento è stato dello 0,6 per cento). Allo stesso tempo, il numero di contratti di affitto è diminuito del 17,2 per cento, suggerendo che per evitare la legge alcuni proprietari hanno iniziato ad affittare senza contratto o con alquileres de temporada (un tipo di contratto di media durata, a metà tra un affitto breve e uno a lungo termine, spesso usato per le vacanze estive o dagli studenti).

Per ovviare anche a questo problema, a inizio mese il parlamento catalano ha imposto nuove regole anche su questo tipo di contratti. Il Sindicat de Llogateres (sindacato delle inquiline), la principale organizzazione per il diritto all’abitare della regione, ha commentato che la misura è arrivata «in ritardo di due anni», dato che avrebbe dovuto essere approvata insieme alla “Ley de Vivienda”.

«Se oggi le autorità sono state costrette a muoversi, è grazie alle mobilitazioni di massa nelle due grandi manifestazioni e allo sgombero di Casa Orsola», ha aggiunto in Sindicat, in riferimento al movimento di resistenza per evitare lo sgombero di un edificio acquistato dal fondo di investimenti Lioness Inversiones SL nel centro di Barcellona (il governo regionale ha messo fine alla disputa lo scorso febbraio acquistando l’intero condominio).

A inizio 2025, Sanchez ha proposto un insieme di 12 nuove misure per favorire quello che ha definito «una delle principali sfide delle società europee e di quella spagnola: l’accesso alla casa». Tra queste, quelle su cui il governo è tornato a insistere nelle ultime settimane sono l'introduzione dell'IVA sugli affitti brevi inferiori a 30 notti, pari al 21 per cento e con un'esenzione per i comuni sotto i 10.000 abitanti, e la creazione di un’imposta aggiuntiva per gli acquirenti di case non residenti nell’Unione europea, con l’obiettivo di contenere la pressione turistica e l’impatto della domanda straniera sul mercato immobiliare.

A fine maggio l’esecutivo ha anche chiesto la rimozione di circa 66mila annunci su Airbnb perché non conformi alle normative sugli affitti turistici. Una sentenza ha già imposto il ritiro immediato di quasi 5.000 alloggi a Madrid, mentre Airbnb ha annunciato ricorso, sostenendo di essere solo un intermediario e non responsabile per le informazioni fornite dagli host.

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