Nella mia vita ho avuto problemi col regime comunista, sono stata in prigione, sono stata costretta a emigrare. Ma non avevo mai subìto niente di simile», dice Agnieszka Holland. «Neppure la campagna contro ebrei e intellettuali che si è sviluppata in Polonia nel 1968; e mi creda, fu terribile». La regista polacca ha vinto il premio speciale della giuria al festival di Venezia con The Green Border, “Il confine verde”, che racconta le crudeltà perpetrate al confine tra Polonia e Bielorussia. Su quel film, gli ultraconservatori al governo in Polonia, e alleati di Giorgia Meloni in Europa, hanno «orchestrato una imponente campagna d’odio contro di me».

Può ricostruire la dinamica degli attacchi governativi nei suoi confronti?

Il primo attacco è partito dal ministro della Giustizia. Zbigniew Ziobro mi ha, nell’ordine: accusata di essere una propagandista nazista…

Lei ha radici ebraiche. E le dicono che fa propaganda nazista?

Folle, lo so. Ma non è l’unica accusa. Sempre Ziobro mi ha poi accusata di fare propaganda staliniana. La terza accusa? Io sarei come Putin. Il quarto affondo del ministro era riferito a mio padre, che durante la seconda guerra mondiale era nell’armata sovietica: a quel punto per Ziobro io sono diventata «la erede di un traditore comunista», e a suo dire odio la Polonia, agisco contro la Polonia.

Tutto ciò perché lei ha denunciato quel che la destra polacca ha fatto alla frontiera. Sa che anche Meloni spesso presenta chi critica il suo operato come un nemico dell’Italia?

Sì. Ti presentano come nemico della patria. Sanno che c’è chi è suscettibile a questo tipo di propaganda nazionalista. Ad ogni modo Ziobro è stato solo il primo. Poi si sono aggiunti alla campagna d’odio contro di me anche il premier in persona, Mateusz Morawiecki, i ministri della Difesa e degli Interni. Poteva mancare all’appello Jaroslaw Kaczynski? Il leader del Pis, l’uomo che davvero tira le fila del governo in Polonia, mi ha attaccata più volte.

Il governo ha imposto la proiezione di uno spot propagandistico che attacca il film, subito prima della proiezione del film stesso. Chi ha avuto l’idea? E come sta andando?

Non ricordo, né importa, quale membro abbia lanciato l’iniziativa: è chiaro che è Kaczysnki a dare la linea. Sa come è andata? Tutti i cinema si sono rifiutati! Anche quelli sotto giurisdizione delle autorità locali del Pis non hanno proiettato lo spot. In un multisala, è arrivato un esponente del posto e ha detto alla direttrice che doveva mandarlo in sala perché altrimenti non avrebbe ricevuto i finanziamenti. La manager ha detto: ok, lo proiettiamo, ma mandiamo in sovraimpressione una scritta per dire che tutti i soldi che riceviamo per la proiezione dello spot saranno devoluti a una ong che aiuta i rifugiati. Insomma, il popolo del cinema ha mostrato coraggio: temevo che la gente avrebbe avuto paura di andare a vedere il film, e che i direttori di sala si facessero scoraggiare per il timore di violenze. Invece la rabbia esibita dalla classe politica non ha attecchito. Non vuol dire che io non abbia dovuto prendere precauzioni, essendo stata trasformata in un bersaglio: ho dovuto abbreviare la mia permanenza in Polonia e quando mi trovo nel paese devo dotarmi di misure di sicurezza.

Se avesse saputo di questi attacchi, avrebbe comunque scelto di fare questo film?

Sì. Avevo messo in conto che sarei stata attaccata. Certo non mi aspettavo un simile tsunami, una tale brutalità, ma a breve in Polonia si vota: la destra vuol coprire tutto sotto una valanga di nazionalismo, xenofobia e approccio militaresco.

Il governo polacco ha creato alla frontiera una zona cieca alla quale né i media né le ong potevano accedere. Come si racconta per immagini ciò che è vietato guardare?

Vede, mi ha motivata a fare questo film proprio aver capito che era un laboratorio di violenza. Quando è stato vietato l’ingresso alle videocamere, ai giornalisti, ai dottori, a chi voleva prestare assistenza umanitaria, io mi sono detta: non vogliono lasciare tracce del loro comportamento criminale, e allora a maggior ragione è cruciale documentarlo.

Siccome un documentario in senso stretto non era possibile, ma io so fare fiction, mi sono detta: ecco, questo è il contributo che io posso dare per aiutare a diffondere la verità. In quei giorni i rifugiati e chi era alla frontiera si trovavano in una trappola; la storia andava raccontata, n on potevo consentire una narrazione a senso unico.

Il laboratorio di cui parla era per testare che cosa?

Penso che il governo volesse testare il grado di accettazione della popolazione nei confronti di privazioni della libertà: la zona al confine è stata chiusa per un anno, l’accesso è stato vietato a tutti tranne che ai residenti, a loro volta controllati. La narrazione unica è dovuta al fatto che il governo spara menzogne, e l’opposizione dal canto suo ha il terrore di affrontare il tema: sta zitta o dice cose simili alla destra ma aggiungendo di voler essere umana. Io sono libera, e ho voluto dire ciò che nessuno osava dire, dare voce a chi non ne aveva.

I metodi della propaganda del Pis sono quelli dei totalitarismi che ho visto, studiato e raccontato nei miei film; ne ho fatti sia sull’olocausto che sui metodi staliniani. Le tappe sono: stigmatizzare, disumanizzare, respingere, annichilire. Alle presidenziali 2020, il Pis ha preso di mira la comunità lgbt; poi, il capro espiatorio sono stati i rifugiati. È come l’uovo di un serpente: vedi quel che sta accadendo, e c’è un momento in cui puoi ancora fare qualcosa, finché non è troppo tardi. Io sono una sentinella, un whistleblower.

Uno dei suoi film più celebri si chiama “Europa Europa”. Sui fatti della frontiera l’Ue si è rivelata inerte, lei ha ancora fiducia che possa fermare le derive che descrive? Meloni e Kaczynski boicotteranno gli ideali europei?

Lo stanno già facendo! Nessuno ha realizzato i sogni disgregatori di Putin meglio di Orbán e Kaczynski. L’Ue è inadeguata rispetto alle sfide, ma resta il miglior progetto e lo supporto. Sul tema delle migrazioni, serve una mobilitazione transnazionale. Invece al momento ci vendono come soluzione di pagare dittatori.

Si riferisce al memorandum Ue-Tunisia propugnato proprio da Meloni?

Certo: la Tunisia ha praticato violenze sui migranti per scoraggiarli, e poi quando il dittatore tunisino ha valutato che voleva più soldi li ha spinti verso l’Italia. Se dai soldi a un dittatore, ti ricatterà: è una storia già vista ed è a dir poco ingenuo ricascarci.

Il governo Meloni chiede 5mila euro ai rifugiati per liberarli. Che ne pensa?

Che il Pis spacciava visti in cambio di mazzette, lo ha fatto su larga scala, e ogni visto costava una tangente di circa 5mila euro: Meloni fa la stessa cosa ma in versione dichiarata e legalizzata.

In tempi non lontani fiumi di donne e giovani sono scesi in piazza per rivendicare il diritto all’aborto, e per esigere un cambiamento. Che per ora non c’è stato. Intanto l’estrema destra di Konfederacja prende spazio. Ripone qualche speranza nel voto di ottobre?

I politici una volta si basavano su quel che succedeva tra un voto e l’altro, oggi tra un sondaggio e l’altro. Il bello del cinema è che ha un altro orizzonte, più duraturo: come diceva Kant, «Il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me». Il mio film sta ricevendo un’accoglienza incredibile.

Purtroppo in questo secolo le proteste popolari, per quanto protratte e organizzate, possono uscire sconfitte dal regime, che le prende per sfinimento: si è visto in Turchia, in Bielorussia, in Ungheria, in Polonia… Chi si era opposto ne esce ancor più frustrato e disilluso.

Nel mio film c’è il monologo di un giovane che finisce dallo psicoterapeuta e gli dice: «Non mangio, non dormo, non scopo, sono disperato perché abbiamo i fascisti al governo». In quel punto esatto del film, il pubblico italiano del festival di Venezia è esploso in un applauso spontaneo. Lì ho capito che viviamo situazioni simili.

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