Dopo aver attraversato uno dei posti di blocco nella capitale divisa di Cipro per raggiungere il nord dell'isola, le piccole cappelle ortodosse lasciate in rovina e disseminate lungo la strada testimoniano un passato oscuro e turbolento. A più di due ore di distanza, c’è il villaggio di Rizokarpaso, ribattezzato Dipkarpaz in turco quasi 49 anni fa. Situato nella remota penisola di Karpas, ospita una piccola comunità di greco-ciprioti, sotto il controllo della "Repubblica turca di Cipro del Nord" (TRNC), autoproclamata nel 1983 e riconosciuta solo da Ankara.

Nel cuore del villaggio, c’è la chiesa di San Sinesio, che sorge di fronte alla statua di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Repubblica turca. L'unico caffè con insegna greca accoglie i clienti dei villaggi circostanti. Fedeli greco-ciprioti di ogni età affollano la piazza della parrocchia per partecipare alla messa domenicale sotto l'occhio delle autorità della TRNC.

A differenza dei 160mila membri della comunità greca fuggiti a sud, le persone di questa "enclave" hanno scelto di rimanere nella regione, nonostante la presenza di forze militari dopo l'invasione turca del 1974. Oggi a Rizokarpaso vivono circa 245 greco-ciprioti, rispetto ai 2mila di prima del conflitto.

Sono isolati dal resto di Cipro, tra i coloni venuti dalla Turchia che negli ultimi anni si sono trasferiti in massa nella zona. «Sono cresciuto in questo villaggio e per me è una gioia poter cantare qui. Ringrazio anche i leader turco-ciprioti che sono impeccabili e discreti con noi», dice padre Christodoulou dopo la messa, che nella parte occupata non si svolge mai senza l'approvazione delle autorità della TRNC. Per il religioso, come per il resto degli abitanti dell'enclave, la parrocchia di San Sinesio, che prende il nome da un ex vescovo e protettore della regione del Karpas, aiuta a mantenere lo spirito comunitario.

Un patrimonio senza confini

La situazione politica ha reso difficile l'accesso anche alla comunità internazionale per molti anni, e l'edificio, costruito tra l'XI° e il XII° secolo, ha subito danni, soprattutto a causa della mancanza di manutenzione. Nel 2020, tuttavia, sono stati spesi circa 500mila euro per la conservazione dell'iconostasi - la parete divisoria di icone che separa la navata dal santuario - e per la struttura della chiesa. «Il lavoro di conservazione è fatto in nome della cultura, che non conosce limiti o confini, e non per una particolare comunità», predica padre Christodoulou. Il completamento dei lavori è previsto per luglio 2023. Il restauro è gestito dal Comitato tecnico bicomunitario per il patrimonio culturale dell'isola, guidato da Sotos Ktoris, greco-cipriota, e Ali Tuncay, turco-cipriota.

Il patrimonio culturale di Cipro, frammentatosi con la divisione dell'isola, è stato una vittima collaterale degli eventi del 1974. Ancora oggi, nella parte settentrionale occupata, sono visibili molti siti culturali danneggiati. Le forze turche hanno utilizzato edifici storici e religiosi come basi militari. Un gran numero di opere d'arte e di manufatti è stato venduto anche sul mercato nero, lontano da occhi indiscreti nel sud e dalle autorità turche nel nord.

«A Cipro ci sono due versioni della storia: quella degli eventi del 1974 per la comunità greco-cipriota e quella degli eventi del 1963 per quella turco-cipriota (violente tensioni intercomunitarie che causarono 134 morti e l'intervento dei Caschi Blu, ndr). Da allora, i monumenti ne hanno sofferto. La nostra missione, senza politicizzare la questione, è di dire che questi edifici sono per le generazioni future, per l'umanità e per tutti», dice Ali Tuncay, a 100 chilometri di distanza, seduto in un caffè della capitale cipriota. «Uno dei principali risultati di questa commissione è che abbiamo abbandonato il gioco delle colpe tra le due comunità per quanto riguarda il passato. Stiamo cercando di depoliticizzare per costruire ponti», aggiunge Sotos Ktoris, anch'egli presente al tavolo e capo del comitato.

Dalla sua creazione nel 2008, a seguito di un accordo tra i leader delle due comunità, il comitato ha ricevuto più di 20 milioni di euro nel quadro della politica regionale dell'Unione europea e del suo programma di aiuti alla comunità turco-cipriota. Per Sotos Ktoris «ogni impronta culturale lasciata sull'isola da tutte le civiltà e i popoli che sono passati per Cipro deve essere presa in considerazione».

«Abbiamo deciso che tutti i monumenti di tutte le civiltà fanno parte del nostro patrimonio comune», riassume tra un sorso e l'altro di caffè. Come San Sinesio, 122 siti in tutta l'isola sono stati restaurati o sono in fase di restauro con il sostegno del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP).

Nel sud dell'isola, la città portuale di Larnaca è piena di edifici risalenti al periodo ottomano. Tuncer Bagiskan, che vive nel nord dell'isola, esplora per la prima volta la ristrutturazione, che sta per essere completata, del complesso della moschea “Zouhouri Tekke”, risalente al diciottesimo secolo. Insieme alla Hala Sultan Tekke e alla Turabi Tekke, questo sito era uno dei tre principali luoghi di culto della comunità turco-cipriota di Larnaca prima del 1974. «Sono abbastanza soddisfatto dei lavori, sapendo che prima c’era un parcheggio, che alcune famiglie si erano stabilite lì e ci stendevano il bucato», dice l'archeologo 75enne. «A causa della guerra e dello sfollamento della popolazione, la Zouhouri Tekke non aveva più visitatori», spiega. Mentre continua a ispezionare l'opera finita, sospira: «Prima della guerra, i rappresentanti delle due religioni, il prete ortodosso e l'imam, si incontravano. Ma questo legame si è interrotto, è un peccato».

Per questo appassionato, che nel tempo libero sta scrivendo un libro sui monumenti ottomani di Cipro, la divisione dell'isola ha avuto enormi conseguenze anche sugli scavi archeologici nel nord. «Per un certo periodo gli archeologi stranieri erano banditi da Cipro. Il patrimonio culturale dell'isola sarebbe stato molto meglio se avessimo avuto un contributo anche da esperti stranieri», si rammarica Bagiskan, che elogia il lavoro della commissione ma non si fa illusioni. «Ancora oggi non c'è alcun collegamento tra i dipartimenti di antichità delle due sponde dell'isola, devono unirsi, ma non ho speranze che questo accada nel prossimo futuro».

In una strada contornata da alberi e fiori di Rizokarpaso, a pochi metri dalla chiesa restaurata, dopo la messa, Demetris Giorgallis, 44 anni, ha altri pensieri. Sta preparando un memoriale per suo padre, morto nel 2005, nel giardino della sua piccola e accogliente casa di famiglia. Demetris vive da solo, circondato dai suoi numerosi parenti, come testimoniano i moltissimi ritratti appesi alle pareti. «Dopo la guerra del 1974, i miei genitori hanno deciso di restare e hanno fatto la cosa giusta. Non me ne andrò mai da qui, resterò fino alla fine, se tutto va bene», dice convintamente l’agricoltore. «Per i giovani non c'è futuro qui, non c'è lavoro e purtroppo la Repubblica di Cipro non ha aumentato l'indennità per chi vive nell’enclave, che da anni è di 370 euro», commenta dispiaciuto.

Foto Iakovos Hatzistavrou

Tuttavia, la situazione precaria non ha impedito ad alcuni giovani che vivono nelle zone controllate dalla Repubblica di Cipro di trasferirsi nell'enclave. È il caso di Kyriaki Dimitriou, 26 anni, una lavoratrice domestica che ha deciso di raggiungere il suo compagno, originario di Rizokarpaso, quando aveva 18 anni. Insieme gestiscono una fattoria e hanno tre figli. Ma per arrivare a fine mese, ogni mercoledì, questa coppia, come altre persone dell’enclave, riceve il cibo somministrato dalle Nazioni Unite. «All'inizio era difficile vivere qui. Non ci è permesso celebrare le feste nazionali. Non possiamo esporre le nostre bandiere... ma con il passare del tempo ci siamo abituati», dice Kyriaki tenendo la figlia in braccio. «Dall'apertura dei checkpoint nel 2003, la tensione è diminuita, rispetto ai miei genitori che vivevano con il coprifuoco», spiega. L'apertura dei checkpoint lungo la Linea Verde Nord/Sud ha permesso alle due comunità dell'isola di avvicinarsi dopo 30 anni di isolamento reciproco.

Nella zona cuscinetto

A Nicosia, nella buffer-zone controllata dalla forza Onu che, a distanza di due decenni, separa ancora la capitale in due, Andromachi Sophocleous, 34 anni, e Kemal Baykalli, 47 anni, si sono trovati al loro solito punto di incontro, tra i caschi blu. Co-fondatorɜ della piattaforma bicomunitaria "Unite Cyprus Now" (UCN), si battono dal 2017 per la riunificazione dell'isola. Per questɜ attivistɜ, il programma di aiuti europei alla comunità turco-cipriota e la conservazione del patrimonio culturale cipriota sono di fondamentale importanza per il riavvicinamento delle due parti. «Il sostegno dell'Ue è essenziale.

Ma la sua prospettiva politica è assente», lamenta Andromachi tra un abbraccio e l'altro. «Gli aiuti alla comunità turco-cipriota sono una delle risorse più promettenti, ma devono essere rafforzati per raggiungere il maggior numero possibile di persone», afferma l'analista politico.

«Sostenere i turco-ciprioti e il loro sviluppo significa anche prepararli alla riunificazione dell'isola», sottolinea Kemal, che come la sua collega ha sempre vissuto in un paese diviso dalla linea verde.

Mentre sull'isola si accendeva la speranza, l'UCN è stata fondata nelle strade per esortare gli allora leader di entrambe le parti, Mustafa Akinci e Nicos Anastasiades, a intraprendere un'azione decisiva nei colloqui di riunificazione dell'isola che si sono svolti nel 2017 a Crans Montana, in Svizzera.

Ma i colloqui sponsorizzati dalle Nazioni unite si sono arenati e bloccati da sei anni a questa parte. Andromachi vede questa stagnazione come «terreno fertile per le tendenze nazionaliste».

Svolte elettorali

Kemal, che quando non fa l’attivista balla il tango - l'arte del muoversi in coppia con grazia, seguendo la stessa direzione - nota con dispiacere il susseguirsi di passi falsi nel processo: «Dopo il fallimento a Crans Montana, le cose hanno iniziato a deteriorarsi. Non siamo riusciti a mantenere al potere Akinci, un sostenitore della riconciliazione con i greco-ciprioti». Il Nord e la Turchia hanno cambiato radicalmente il loro approccio dopo l'elezione nel 2020 del leader Ersin Tatar.

Sostenuto dal presidente turco Recep Tayip Erdogan, il leader non vuole più sentir parlare della soluzione federale sostenuta da Onu e Ue. Ora sta mettendo sul tavolo dei negoziati uno scenario a due Stati, che riconoscerebbe de facto la sovranità della TRNC. Dall'altra parte della linea verde, il presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Christodoulides, eletto lo scorso febbraio, durante la campagna elettorale si è dimostrato più rigido dei suoi avversari sulla questione della ripresa dei colloqui.

Pur volendo rilanciare i colloqui dopo le prossime elezioni presidenziali turche di maggio e pur invitando l'Ue a svolgere un ruolo più attivo, la sua candidatura alla guida della Repubblica di Cipro è stata sostenuta da partiti che vogliono un modello diverso da quello federativo. «Non abbiamo visto alcun segno di apertura nei confronti della comunità turco-cipriota da parte sua», aggiunge Andromachi di fronte al filo spinato della buffer-zone.

Secondo lei, «dopo il fallimento dei negoziati, le cose sono diventate molto difficili per le attività bicomunitarie interculturali, perché non c'è abbastanza sostegno. Siamo arrivati a una fase in cui abbiamo bisogno di iniziative politiche da parte di chi vuole una soluzione, ma il momento non è propizio». Come per scongiurare il destino, in questo giorno lɜ due attivistɜ assistono alla prima di un documentario sui check point nel 20° anniversario della loro apertura. Perché 20 anni fa «non dobbiamo dimenticare che era impossibile passare da una parte all'altra».

A Rizokarpaso, per le persone più anziane del paese, la questione della convivenza rimane molto spinosa. La memoria è ancora viva e la tensione è ancora oggi palpabile. Eleni Sinainou, 33 anni, si fa avanti quando l'argomento viene sollevato. Con il padre Iosif, questa giovane donna dinamica dai capelli neri gestisce il caffè greco-cipriota di fronte a San Sinesio.

Tra due conversazioni in turco, serve i clienti e la manciata di turisti curiosi che si avvicinano. Con la figlia Melina, di 7 anni, aggrappata al collo, la donna che rifiuta di essere definita "resistente" ricorda gli insegnanti che venivano dalla Repubblica di Cipro, al sud, per insegnare loro di nascosto nel 2003-2004 e i turco-ciprioti che le tiravano pietre quando era piccola. Ma sono «cresciuti insieme» a Rizokarpaso e «oggi la babysitter di Melina è turca», osserva. Una piccola vittoria per le terre occupate.

Beni culturali e conflitti

Sebbene vengano mediatizzati di meno rispetto alle perdite di vite umane, i danni a carico del patrimonio artistico e culturale sono una caratteristica comune dei conflitti armati. Restituzione, ricostruzione, restauro, riabilitazione... Sono spesso previste diverse opzioni legali e politiche per calmare le acque e stabilizzare la situazione. Lungi dall'essere semplici oggetti materiali, i beni culturali sono un vero e proprio vettore di identità.

A Cipro, il processo descritto nell'articolo è stato avviato in un contesto particolare, ancora in tensione, dove convivono comunità di origine turca e greca. Meltem Onurkan Samani, che lavora presso l'Ufficio presidenziale della RTCN, ha spiegato che questi restauri hanno lo scopo di richiudere le "ferite storiche".

Sembra molto utopico detto così, ma il modello pare funzionare. Il restauro congiunto del patrimonio è un modo per recuperare la storia di Cipro per coloro che vi abitano. Queste azioni collettive contribuiscono anche al rispetto di tutte e tutti in una società che vuole essere pacificata nonostante le divisioni politiche ancora esistenti. Una sorta di riconciliazione intorno ai beni comuni della popolazione cipriota.

Al contrario, durante un conflitto, il patrimonio può essere considerato uno strumento politico e strategico, un obiettivo. In questo contesto, tra i vari attacchi ai beni culturali (furti, saccheggi, spoliazioni, confische, distruzioni...), troviamo quelli che potremmo chiamare, per comodità, mutamenti del patrimonio in base alle ideologie politiche: vale a dire, ciò che viene considerato una degradazione del patrimonio per alcuni e che è invece un lavoro di restauro per altri. In altre parole, il cancellare le tracce di una cultura per ripristinarne un'altra.

Questo è, ad esempio, ciò che sta accadendo attualmente nella regione del Nagorno-Karabakh, luogo di scontro tra Armenia e Azerbaigian. Entrambe le parti sono state invitate a rispettare i rispettivi beni culturali. Ma il 3 febbraio 2022, il ministro della Cultura azero, Anar Karimov, ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro per rimuovere «le iscrizioni fittizie lasciate dagli armeni sui templi religiosi»: vuol cancellare le tracce armene dal patrimonio culturale caduto sotto l'autorità azera. 

Prodotto in collaborazione con ereb, media parigino e piattaforma di giornalismo narrativo. Questo articolo fa parte della serie YOUTHopia, una serie sul giornalismo delle soluzioni e la politica di coesione europea. I reportage di ereb sono disponibili in francese, italiano e inglese su www.ereb.eu. Testi e foto, diritti riservati © ereb SAS

© Riproduzione riservata