Questo mercoledì la presidente presenta un piano che sulla carta renderà l’Unione più resistente agli urti globali. Ma di fatto smantellerà le regole che la rendono speciale
Lo considera il piatto forte dei primi cento giorni di mandato e ne ha rinviato la presentazione a questo mercoledì per poter essere lei in persona a presentarlo: Ursula von der Leyen sta per alzare il sipario sul Competitiveness Compass, la bussola per la competitività; a detta della presidente ci orienterà «per i prossimi 5 anni».
Presentata come uno scintillante marchingegno che irrobustirà l’Ue in un’epoca di «dura competizione globale» (parole di von der Leyen a Davos), la Bussola si preannuncia in realtà con molte ombre. Una su tutte: l’imperativo della «semplificazione» – che ispirerà anche un pacchetto apposito, l’Omnibus Simplification Package, ufficiale dal 26 febbraio – maschera un piano di deregolamentazione. A parole Bruxelles aveva promesso che semplificare non avrebbe significato sregolare, ma i fatti suggeriscono altro.
La Commissione Ue sta per assecondare le spinte delle imprese, e di alcuni leader come Macron, per smantellare le poche e faticose conquiste dello scorso mandato sulla responsabilità socio-ambientale delle imprese, e, piuttosto che salvaguardare il ricco tessuto imprenditoriale europeo che brulica di piccole e medie imprese, introdurrà nuove leve per favorire (anche con soldi pubblici) i grandi colossi. Una lettura incrociata dei documenti prodotti dagli stati membri più attivi sul dossier (Francia per prima), dalla lobby europea delle imprese (Business Europe) e da centinaia di organizzazioni della società civile (allarmate) fa capire come mai il testo che von der Leyen presenterà come viatico per magnifiche sorti e progressive rischia in realtà di far fare un balzo all’indietro all’Ue.
«Stop alle regole»
«L’Ue ha troppe regole»: è il mantra ripetuto sia da Trump che da Musk e Zuckerberg, l’uno pronto a lamentarsi su quanto sia stato complicato aprire un impianto in Germania, l’altro corso a dichiarare guerra alle leggi europee. In realtà la capacità di tutelare i diritti e di imporre standard globali è stata finora un punto di forza dell’Ue (siamo «potenza normativa», diceva in tempi non lontani Anu Bradford, giurista della Columbia). Al contempo, la concorrenza equa all’interno del mercato unico aveva orientato finora l’antitrust dell’Ue. Con la Bussola, von der Leyen prende tutt’altro orientamento: sulla scia di Draghi (e Macron), vuole promuovere i «grandi campioni» spostando la concorrenza su scala globale. E sotto la veste della semplificazione intacca le regole conquistate finora.
Alla vigilia dell’annuncio della Bussola, questo martedì la presidente è da Macron, non per caso; così come sarà il macroniano Stéphane Séjourné, commissario per la Strategia industriale, e non la socialista con delega alla Competitività Teresa Ribera, ad affiancare von der Leyen nella presentazione della Bussola. In una lettera che precede di circa una settimana l’annuncio, le autorità francesi hanno elencato i desiderata, tra i quali un’ennesima richiesta – su cui Berlino e Parigi fanno asse e incassano da tempo – di rendere le deroghe sugli aiuti di stato qualcosa di ordinario. «Siamo noi i primi ad aver avviato già tempo fa i lavori sulla competitività», hanno rivendicato la scorsa settimana – fianco a fianco all’Eliseo – Macron e Scholz. Proprio come i piani per aumentare i finanziamenti all’industria militare, anche l’agenda sulla competitività – per la quale von der Leyen fa appello al rapporto Draghi – nasce da spinte antecedenti alla vittoria di Trump, il cui insediamento diventa l’occasione perfetta per giustificare con un’allerta esterna l’agenda stessa.
Addio potenza dei diritti
Tra le richieste francesi sulle quali Bruxelles è ricettiva, quella di prevedere una fascia di imprese più grandi delle pmi ma che possano comunque beneficiare di alleggerimento normativo. E poi la richiesta di una «massiccia pausa regolamentaria» (non sorprende: già mesi fa Macron aveva chiesto di sospendere i provvedimenti ambientali). Fa il paio con quanto elaborato da Business Europe nel documento “Ridurre il fardello di regole per restituire mordente competitivo all’Ue” (le regole come burden, fardello: una versione europea del meloniano «non disturbare chi produce»). La lobby europea delle imprese presenta una lunga lista di richieste tra le quali fanno capolino tentativi di rendere meno stringenti la tassonomia verde, la direttiva sulla responsabilità socio-ambientale delle corporation (Directive on Corporate Sustainability Due Diligence) e le iniziative per la decarbonizzazione.
Insomma quei provvedimenti che nel primo mandato von der Leyen era stato più difficile mettere a segno per gli spintoni di governi e lobby finiscono di nuovo nel mirino sotto lo slogan della competitività. «Altro che semplificazione: chiediamo alla Commissione di resistere alle spinte per fare passi indietro su salute, clima e giustizia sociale, compresi i diritti dei lavoratori, perché l’interesse pubblico viene prima di quello di certe imprese», scrivono a von der Leyen la Confederazione europea dei sindacati e quasi trecento organizzazioni della società civile (da Oxfam al Wwf passando per Ceo), che argomentano anche quanto le tutele sociali, ambientali e in sostanza democratiche siano in realtà un ottimo investimento (anche economico).
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