C’è molto di più, dietro il «punto sulla situazione politica» che Giorgia Meloni ha provato a far passare in sordina, mentre Matteo Salvini – che interpreta la riservatezza a modo suo – si è fatto scappare un selfie. Lo scambio approfondito che si è svolto questo mercoledì mattina tra la premier e il leader leghista, e che era stato anticipato in via esclusiva da Domani, costituiva in realtà una riunione strategica congegnata da tempo e focalizzata sulle europee di giugno 2024.

Temporalmente l’appuntamento si è tenuto non a caso subito dopo le tensioni nella coalizione di governo e il fallimento fiorentino di Salvini. E sempre non per caso, si è svolto immediatamente prima di un altro incontro: quello fra Meloni e la popolare Roberta Metsola, la cui elezione a presidente dell’Europarlamento ha rappresentato l’avvio dell’alleanza tattica tra Ppe e meloniani.

Il confronto fra la premier e il leader della Lega è stato, in sostanza, un tentativo meloniano di arginare i gesti politicamente scomposti di Salvini, che si agita per evitare il proprio isolamento in Europa. Per decifrare la triangolazione Salvini-Meloni-Metsola bisogna comprendere quali siano i timori di ciascuno dei tre.

Niente di casuale

Anzitutto non è come sembra.

Depennato fino all’ultimo dalle agende ufficiali dei due leader, l’incontro Meloni-Salvini è stato fatto passare il più possibile sotto traccia, dopodiché alle agenzie di stampa è stata data in pasto una versione a dir poco vaga: oltre un’ora di colloquio fra i due presentata come «punto sulla situazione politica» e «sui principali dossier», in un clima «amichevole» e con la «piena sintonia programmatica».

Per certi versi è vero che l’incontro riguardava anche la tenuta del governo, ma c’è molto di più. Come anticipato da Domani, i due leader hanno definito le regole del duello per giugno 2024: fino a che punto l’uno può affondare contro l’altro senza incrinare la tenuta dell’alleanza di governo, e su cosa agire in sinergia.

Inoltre hanno partecipato a questo versante negoziale europeo anche le figure chiave di Fratelli d’Italia e della Lega all’Europarlamento, a cominciare dai capidelegazione. Non era tra gli invitati, e infatti era impegnato altrove, Antonio Tajani, il leader di Forza Italia: vista la sua vicinanza alla premier, i meloniani non lo considerano come agente di fibrillazioni politiche.

Il redde rationem era in realtà programmato da tempo, il che deve far intendere la lettera di Salvini al Corriere di mercoledì come una mossa calcolata in vista del negoziato che si sarebbe svolto poco dopo.

Nuovi equilibri

Anche se grida all’«inciucio coi socialisti», il leader della Lega è mosso anzitutto da una paura: quella di restare ai margini, mentre Meloni intensifica il suo processo di assimilazione ai popolari. Salvini si è presentato all’incontro definendosi «pragmatico» e facendo presente all’alleata che Silvio Berlusconi «non ha mai posto veti», come a dire che se Berlusconi ha sdoganato i postfascisti in Italia, Meloni può sdoganare i leghisti in Ue.

Al polo opposto, nel triangolo di incontri, si posiziona Roberta Metsola in quanto creatura politica di Manfred Weber, il plenipotenziario dei popolari nonché artefice della normalizzazione di Meloni in Ue. Il Ppe ha dapprima usato Meloni per scardinare una possibile unione tra conservatori e sovranisti, e ora che Weber punta a fare da ago della bilancia nel 2024, Metsola non a caso si fa portavoce di una alleanza coi socialisti ibridata coi suoi amici di FdI, ed esibisce sintonia e apprezzamento per Meloni. Finché è il Ppe ad assimilare pian piano destre estreme, può mantenere il controllo del processo.

Salvini vuol entrare nel gioco, Metsola (e il Ppe) vuole attrarre Meloni restando azionista di maggioranza. E la premier? All’incontro doveva anzitutto disinnescare la mina salviniana: l’accusa nei suoi confronti di fare inciuci; lo ha fatto sostenendo che «una maggioranza più compatibile in termini di visioni» alle destre, e «un’Italia che conta di più», saranno utili all’intera maggioranza «a difesa degli interessi».

In sintesi, conviene anche a Salvini avere un gancio meloniano nel cuore del potere, mentre non conviene a Meloni perdere potere negoziale col Ppe abbandonando i contatti con le altre destre. La premier si è messa al centro delle triangolazioni.

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