Dopo mesi di relativo silenzio il tema dei velivoli a pilotaggio remoto (unmanned aerial vehicles – Uav) e del loro ormai onnipresente uso in Ucraina sembra essere tornato alla ribalta. Questa volta, però, non per merito dei droni turchi usati da Kiev, bensì per quelli di fabbricazione iraniana impiegati dalle truppe russe per colpire obiettivi militari e civili lungo tutta la linea del fronte, dall’Oblast di Kharkiv nell’est fino alla città costiera di Odessa, nell’ucraina sud-occidentale.

Ancora una volta, dunque, le rivelazioni dell’intelligence americana – che in giugno aveva annunciato l’accordo segreto tra Mosca e Teheran per l’acquisizione di droni iraniani da impiegare in Ucraina - si sono rivelate esatte. Questo lo sappiamo grazie alle prove sempre più numerose che arrivano dal fronte, con immagini di componenti recuperati dai soldati ucraini e video dei sistemi iraniani che colpiscono edifici in varie città del paese.

Teheran nega

Nonostante l’ineludibile evidenza, però, fonti iraniane hanno ufficialmente smentito il coinvolgimento di Teheran e negato categoricamente la fornitura di droni alla Russia, affermando che l’Iran è contro la guerra e sostiene attivamente gli sforzi per giungere alla pace. Ciò non ha comunque impedito il peggioramento delle relazioni diplomatiche tra Ucraina e Iran con il recente allontanamento dell’ambasciatore iraniano da parte di Kiev.

Tralasciando il valore e lo scopo di queste dichiarazioni, che giungono, peraltro, in un momento particolarmente delicato per il regime iraniano, alle prese con proteste popolari su vasta scala, l’aspetto interessante di questa vicenda riguarda soprattutto l’ambito militare, e in particolare proprio quello della tecnologia unmanned, cioè “senza pilota”. La prima osservazione concerne il fatto che la Russia sia stata costretta a chiedere aiuto all’Iran. Ciò conferma la sostanziale mediocrità del programma droni russo già emersa nei mesi scorsi e caratterizzata dal numero mediamente limitato di velivoli integrati all’interno delle forze armate, da concetti operativi (concept of operations) ancora embrionali nell’impiego di questi sistemi e da capacità tecnologiche nel complesso modeste.

La scarsa preparazione di Mosca

Le forze di Mosca hanno infatti sofferto parecchio la mancanza di sufficienti droni da ricognizione e attacco lungo una linea del fronte molto vasta, anche considerando la facilità con cui i principali sistemi di cui esse dispongono – tra questi i modelli Orlan-10 e 30 e l’Eleron-3 – vengono persi per mano delle difese antiaeree e di guerra elettronica ucraine. Similmente, gli Uav russi dotati di capacità offensive, come il Forpost-R – di fatto una copia aggiornata del Searcher Mk. II di produzione israeliana - e il più avanzato Orion, costruito localmente dalla Kronstadt, sono stati impiegati su scala limitata per via del loro numero esiguo.

La spiegazione più plausibile non è solo l’aver investito tardivamente in questa tecnologia rispetto ad altri paesi, ma anche l’impatto che le sanzioni occidentali stanno avendo sul settore della difesa russo, che beneficiava in larga misura di componenti e tecnologie europee o americane per fabbricare, tra gli altri, sistemi di guida per munizioni ad alta precisione – inclusi missili da crociera Kh-59 e Kh-101, e processori per il computer di bordo di elicotteri da attacco Ka-52. La crescente carenza di queste tecnologie, essenziali nella guerra moderna, sta progressivamente inficiando le capacità militari russe ed è uno dei fattori che aiutano a spiegare le enormi difficoltà incontrate dai russi in Ucraina.

Uav per compensare i deficit dell’aviazione

Il secondo aspetto degno di nota è l’entrata in scena dell’Iran come fornitore di armamenti alla Russia, in un ruolo paradossalmente ribaltato rispetto al solito. La Russia, infatti, è stata uno dei principali esportatori di armi verso l’Iran durante gli anni novanta, avendo fornito praticamente ogni tipo di capacità militare – dai sistemi di difesa missilistica S-300 ai carri armati T72, fino a elicotteri Mi-17 e sottomarini classe Kilo. Se, da un lato, questo sviluppo può sembrare sorprendente, dall’altro è in realtà il frutto di anni di sviluppo di un'industria bellica nazionale portato avanti da Teheran per poter far fronte a risorse economiche limitate e alle sanzioni occidentali, soprattutto nel settore aeronautico e missilistico.

Pertanto, il programma di droni iraniano, sviluppatosi a ritmi incalzanti nell’ultimo periodo, è servito proprio per compensare i deficit e l’obsolescenza della propria aviazione convenzionale e include oggi una grande varietà di sistemi. Sebbene ci siano informazioni frammentarie circa le effettive capacità dei droni iraniani, il loro uso da parte di gruppi e milizie filo-iraniane in diversi teatri bellici del medio oriente – dallo Yemen all’Iraq, dalla Siria a Gaza – si è dimostrato complessivamente efficace e non dovrebbe essere sottovalutato.

Ma cosa ha ricevuto di preciso la Russia da Teheran, e quale impatto stanno avendo i sistemi iraniani sul conflitto? Ad oggi, le prove emerse in Ucraina dimostrano che le forze russe stanno utilizzando droni da attacco e ricognizione Mohajer-6, una classe di Uav MALE (medium altitude long endurance) grosso modo equiparabile al TB2 turco, con un raggio di 200 chilometri e capace di lanciare piccole bombe teleguidate o a infrarossi della serie Qaem aventi tra i 6 e i 20 km di portata.

Seppur inferiore al TB2 in termini di capacità ottiche e autonomia, il Mohajer-6 rimane comunque un’ottima soluzione per la Russia, che può usarlo per individuare e colpire obiettivi ucraini in profondità come sistemi antiaerei e pezzi di artiglieria semovente forniti dall’occidente, finora rimasti al sicuro dalle inefficaci e spesso imprecise sortite dell’aviazione di Mosca. L’autonomia di tutto rispetto di questo sistema, pari a 12 ore, consente inoltre di monitorare i movimenti nemici e individuare i centri di comando e controllo, oltre alle aree di raduno dei militari ucraini, fornendo le loro coordinate per l’artiglieria o l’aviazione russa.

Le munizioni circuitanti

Il secondo sistema ricevuto dall’Iran è noto come Shahed-136, ma rinominato Geranium-II dai russi, e contrariamente a quanto riferito dai media non è un drone bensì una munizione circuitante. Questo sistema è sostanzialmente una sorta di missile con le ali dotato di una testata esplosiva di circa 30kg che può viaggiare per lunghissime distanze mantenendo però una bassa velocità e orbitando, all’occorrenza, per lungo tempo su una specifica area in cerca di obiettivi. Potendo contare su sistemi di puntamento intercambiabili, a guida satellitare/inerziale, infrarossi, o anti-radar (ARM), questa munizione circuitante è particolarmente duttile e può essere usata per colpire obiettivi statici, infrastrutture, radar e sistemi di comunicazione, pur avendo maggiori difficoltà nel colpire bersagli mobili.

Gli iraniani e le milizie degli Houthi in Yemen, ad esempio, le hanno ripetutamente usate con successo contro installazioni militari ed energetiche in Arabia Saudita situate anche a 1.000 chilometri di distanza. La bassa velocità (quella massima è stimata intorno ai 185 km/h) e la ridotta visibilità radar grazie alla forma liscia e affusolata nonché al materiale composito rendono il Geranium-II più difficile da identificare per i radar delle difese antiaeree ucraine. Inoltre, il costo di produzione relativamente basso, stimato intorno ai 20.000 dollari, ne permette l’uso su vasta scala e con decine di sistemi contemporaneamente, saturando così le difese antiaeree nemiche. Questo spiega la relativa facilità con cui, almeno inizialmente, questi sistemi hanno penetrato le linee ucraine e colpito edifici e sistemi di artiglieria nell’area di Odessa e Mykolayiv, mentre proprio pochi giorni fa hanno seminato terrore e distruzione anche nella capitale Kiev.

Al contempo, però, la velocità ridotta e i componenti economici come i sistemi a guida Gps commerciali, reperibili sul mercato civile, rappresentano una lama a doppio taglio, dato che rendono questa munizione circuitante facilmente individuabile da parte delle forze a terra, le quali possono contrastarla con missili antiaereo spalleggiabili o cannoni antiaerei, e più vulnerabile nei confronti di specifici sistemi anti-Uav e di guerra elettronica.

Sebbene sia difficile quantificare l’impatto operativo di queste munizioni circuitanti per via delle informazioni ancora frammentarie, nel complesso questo appare al momento limitato. Una delle ragioni è la scelta dei bersagli, finora evidentemente sbilanciata verso edifici – spesso civili - e infrastrutture, anziché contro raggruppamenti di personale e mezzi.

Questo potrebbe dipendere da difese aeree più dense intorno agli obiettivi militari, motivo che spiega, tra l’altro, i numerosi abbattimenti. L’alto livello di sicurezza operativa e informativa mantenuto dagli ucraini rende peraltro difficile valutare i danni subiti dalle forze di Kiev, che comunque ci sono stati, come ammesso sommariamente da alcune fonti militari. Ciò non si è però tradotto in un miglioramento della situazione per la Russia, che continua a fare i conti con personale insufficiente, spesso poco motivato e mal addestrato.

Gli Uav non risolvono problemi strutturali

Se le munizioni circuitanti o i droni possono colmare – almeno in parte – alcuni gap capacitivi, soprattutto in termini di capacità di attacco ad alta precisione e a lunga gittata, non possono però risolvere problemi strutturali che richiedono investimenti pluriennali sulla creazione di forze armate efficienti, coese e costantemente addestrate.

Da una prospettiva di difesa europea, infine, il continuo sviluppo e l’ormai incontrollata proliferazione di questi sistemi, nonché il loro ruolo sempre più rilevante, rendono urgente un impegno maggiore affinché i paesi membri si dotino non solo di adeguate contromisure e sistemi di difesa anti-drone di varia natura e facile dispiegamento, ma anche di sistemi equivalenti, integrandoli capillarmente nelle rispettive forze armate attraverso nuove tattiche, tecniche e procedure (TTPs) che abbiano altresì un alto livello di standardizzazione e interoperabilità.

Questo sforzo, inoltre, dovrebbe esplicarsi anche in ambito industriale, incentivando una maggiore collaborazione tra i paesi europei per sviluppare tecnologie comuni nel campo delle munizioni circuitanti, con un occhio di riguardo alla facilità di produzione, ai costi contenuti, e alla resilienza delle catene produttive. Questi aspetti sono cruciali per garantire all’Europa adeguate e moderne capacità di difesa in un contesto geopolitico sempre più complesso e competitivo.

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