«Finalmente una buona notizia!», esclama Sophie in’t Veld, la pasionaria dello stato di diritto in Ue. «Un sospiro di sollievo si è sentito a Bruxelles e in molte capitali, quando l’Europa è stata tirata indietro dall’orlo del baratro grazie a una vittoria elettorale dell’opposizione democratica in Polonia».

Gli effetti della vittoria di Donald Tusk sull’Europa sono già tangibili. C’è «il vero grande sconfitto delle elezioni polacche» – cioè Viktor Orbán, nella definizione che ne dà l’analista Daniel Hegedüs a Domani – che risponde all’isolamento a modo suo, ovvero facendosi fotografare accanto a Vladimir Putin. C’è, viceversa, l’opposizione ungherese galvanizzata dal successo «dei miei amici dell’opposizione polacca». «Non potrei essere più felice!», dice l’eurodeputata liberale ungherese Katalin Cseh.

È molto probabile che anche tra i polacchi ci sia entusiasmo – questo trasversale, al di là delle preferenze di schieramento – per il fatto che un ripristino dello stato di diritto nel paese favorirà anche lo sblocco dei fondi europei in sospeso per la Polonia.

Donald Tusk non potrà non riorientare l’intero asse politico europeo in una direzione più liberale.

L’operazione di riposizionamento avverrà a tre livelli. Il primo è il ripristino dello stato di diritto in Polonia, con gli effetti che ciò comporterà per la qualità della democrazia europea. Poi ci sarà un riequilibrio degli indirizzi dentro la famiglia politica popolare alla quale la Piattaforma civica di Tusk appartiene, e che però negli ultimi tempi si era spostata verso le destre estreme. Inoltre è da prevedere un riassetto delle alleanze fra governi europei. Tutto ciò influenzerà le dinamiche politiche sia prima che durante la fase chiave delle elezioni europee 2024.

Un ricatto disinnescato

Non si può neppure immaginare che cosa è possibile fare con 248 seggi.

La Coalizione civica – quindi la Piattaforma di Donald Tusk ibridata di movimenti vari, di verdi, di agricoltori – aggregandosi assieme al terzo polo polacco, Trzecia droga, e a Lewica, la sinistra, supera la maggioranza assoluta (231 seggi) al Sejm, la camera bassa polacca, e inoltre ha un’amplissima maggioranza al Senato: 66 seggi su cento.

Questo martedì Tusk si è appellato al presidente della Repubblica, Andrzej Duda, uomo del Pis, perché non tergiversi. C’è il rischio che si debba aspettare l’inizio del 2024 per vedere un venturo governo di opposizione, che gli ultraconservatori ostacoleranno come possono.

Ma una volta insediato, il governo Tusk potrà liberare l’Ue dai ricatti della coppia polacco-ungherese Morawiecki-Orbán.

Ecco cosa si può fare, ad esempio, con 248 seggi. Spezzare il patto di ferro tra Pis e governo ungherese, entrambi responsabili di violazioni dello stato di diritto ed entrambi abituati a spalleggiarsi, sfruttando il criterio decisionale dell’unanimità come leva per ricattare l’Ue e ottenere concessioni. La coalizione Tusk ha tra gli obiettivi unificanti il ripristino della rule of law, e nella lista delle 100 azioni concrete da realizzare nei primi 100 giorni di governo inserisce «la liberazione dei tribunali dall’influenza della politica, il rispetto delle sentenze della Corte di giustizia Ue sull’indipendenza dei giudici». Oltre che «ricevere i fondi Ue» e «tornare nel club dove si decide».

Nuovi equilibri di potere

Dice a Domani Timothy Garton Ash, che insegna a Oxford ma era a Varsavia a seguire il voto, che «con Tusk al governo la Polonia tornerà pro europea e il centro di gravità in Europa si riallineerà verso il centro». Significa anzitutto un diverso equilibrio fra governi europei: come spiega Garton Ash, «adesso Macron e Scholz avranno un partner in un altro grande paese europeo». Mentre questa foto di famiglia fra leader si arricchisce di un componente, perde invece sodali Viktor Orbán.

E il già filorusso premier compensa le perdite a modo suo: si è fatto fotografare al fianco di Vladimir Putin, questo martedì, mentre si trovava – unico leader dell’Ue – a Pechino per il forum sulla Via della seta. Ha anche usato le stesse espressioni putiniane sulla guerra, e ha inveito contro le sanzioni alla Russia.

Certamente il viaggio era già previsto prima delle elezioni polacche, ma il nervosismo del premier ungherese è attribuibile anche a queste. Già due anni fa Orbán aveva divorziato dai Popolari europei e Fidesz si era ritrovato solo all’Europarlamento; quantomeno il Pis gli aveva sotto traccia ventilato un ingresso fra i conservatori da ridiscutere dopo il voto di domenica; ma questi attori oggi perdono influenza. Il despota ungherese inoltre si vede più solo in Consiglio europeo.

Daniel Hegedüs, l’analista ungherese che si occupa di Europa centrale per il German Marshall Fund, dice a Domani che «il regime ungherese ha perso il suo principale alleato strategico. Anche se Orbán non resta da solo al freddo, e può contare su una certa solidarietà dei governi di Giorgia Meloni e Robert Fico, questo supporto sarà più limitato di quello polacco, col quale i due governi si proteggevano reciprocamente da sanzioni Ue».

Sarà più complicato per la Commissione europea scongelare i fondi all’Ungheria, prevede Hegedüs. Inoltre «il risultato più importante della rottura dell’alleanza tra Ungheria e Polonia è che uno dei critici più accesi del despota ungherese siederà ora a Varsavia e guiderà il più potente paese dell’Europa centrale, eliminando di fatto la spaccatura est-ovest nelle critiche a Orbán».

Anche le dinamiche nella famiglia popolare europea cambieranno. Il governo Tusk tiene dentro ambientalisti e sinistra e sarà guidato da un leader di centrodestra con attitudini liberali; non a caso c’è chi nel Pis sperava se ne andasse nel gruppo Renew sciogliendo così l’incompatibilità tra popolari e conservatori.

Ma ora che Tusk è in forze, sarà Manfred Weber, il plenipotenziario del Ppe che lo ha portato alle derive di estrema destra, a dover rivedere le sue posizioni. «C’è aria pulita e fresca, ora, a Varsavia», ha detto questo martedì Tusk. E anche in Ue la ventata arriva.

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