Questo lunedì in Assia palestre e scuole hanno chiuso i rubinetti dell’acqua calda. Nelle stesse ore in Austria le forniture di gas da Gazprom si sono ridotte del 70 per cento. Lo stop della Russia al gasdotto Nord Stream 1 colpisce prima di tutto la Germania, punto di approdo del più lungo tubo sottomarino del mondo, ma ha riverberi per tutti, piccoli e grandi: le conseguenze del taglio del gas iniziano a vedersi nelle scelte quotidiane dei piccoli comuni, e arrivano a condizionare economia e politica di tutta Europa. Sono tanti gli obiettivi che Vladimir Putin intende raggiungere con la chiusura di Nord Stream. Non è altrettanta però la determinazione europea nel resistergli.

Blocco al cuore d’Europa

Esiste un calendario ufficiale, e poi c’è il bollettino di guerra. Il calendario ufficiale è quello che indica in rosso i giorni dall’11 al 21 luglio e che recita così: «Gasdotto chiuso per manutenzione di routine». È la versione della compagnia russa che nella mattina di lunedì ha chiuso i rubinetti. Ma oltre alla spiegazione ufficiale, che è tecnica, c’è la lettura politica: arriva dal governo tedesco e considera la faccenda uno stratagemma di guerra. È da settimane che la Russia ha sforbiciato le forniture ai paesi europei, tanto che il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, aveva già parlato di «militarizzazione del gas» da parte di Mosca e aveva alzato il livello di allerta. Ora che Nord Stream è ko, a Berlino nessuno è pronto a scommettere che il 21 i rubinetti riaprano. Questa incertezza è già un successo per Putin. Ma non è l’unico.

Stress test sulle sanzioni

Più che uno stress test sui macchinari, la Russia è riuscita a mettere alla prova la tenuta delle sanzioni occidentali. Tra i fantomatici problemi che Gazprom ha annoverato – problemi tecnici che «io e la Germania pensiamo siano bugie», le parole di Mario Draghi a giugno a Kiev – c’è anche il caso di una turbina spedita in Canada da Siemens e rimasta inizialmente bloccata lì per le misure contro Mosca. Alla fine la breccia sulle sanzioni si è aperta.

L’argomento col quale Berlino è riuscita a sbloccare il pezzo da Ottawa è che «le sanzioni Ue non riguardano il transito del gas e nel caso delle sanzioni contro la Russia un criterio decisivo è che non danneggino noi più di quanto devono danneggiare la Russia». La Commissione Ue accredita questa interpretazione: Bruxelles ha inquadrato lo sblocco della turbina come un modo per disinnescare gli alibi di Mosca e ha dato il suo benestare. Stessa cosa ha fatto la Casa Bianca. Il Canada ha dovuto comunque chiarire che il permesso sulla turbina «è revocabile», che il rilascio è dovuto all’accordo coi partner, e che intende irrobustire le sanzioni future.

Un inverno costoso

L’episodio della turbina è solo un dettaglio del quadro di messa alla prova dell’Europa. La Russia ha già ottenuto con le forniture ridotte delle scorse settimane prezzi che si impennano a fronte di forniture che si riducono. Ma è soprattutto al futuro prossimo che Putin sta lavorando: renderci complicato l’inverno, e utilizzare il blocco di Nord Stream 1 come strumento di pressione per sbloccare Nord Stream 2 la cui inaugurazione è stata congelata con l’invasione dell’Ucraina.

L’Ue è stata perentoria su un punto: accumulare riserve di gas in vista del freddo. Tra le poche iniziative tempestive e vincolanti c’è il regolamento sugli stoccaggi, e dice che entro l’1 novembre i depositi di gas europei devono essere pieni almeno fino all’80 per cento. La Germania e l’Italia questo lunedì erano al 64 per cento, ma tanti paesi – dall’Austria all’Ungheria – non raggiungono il 50. Visti i tagli delle forniture, il piano europeo di accumulo di riserve per il freddo può uscirne compromesso ed è in ogni caso più costoso. Intanto sul prezzo al quale compriamo gas da Putin non c’è alcun tetto, perché alcuni governi europei – la stessa Germania – e di riflesso Bruxelles tergiversano.

Troppo tardi

L’istituto Bruegel da tempo avverte che bisogna ridurre i consumi: «I governi devono avere il coraggio di dire ai loro cittadini che siamo nel pieno di quella che potrebbe essere la più grande crisi energetica e che questo richiede sforzi straordinari». Ma le iniziative spontanee prese alla spicciolata da alcuni enti locali in Germania non equivalgono certo a un’azione stringente coordinata, e anche gli inviti che da mesi lancia Bruxelles, sull’utilità di ridurre i consumi individuali, sono per ora aleatori. «Se solo alzassimo di due gradi l’aria condizionata, avremmo rimpiazzato Nord Stream 1», le parole di von der Leyen a fine giugno.

Il 20 luglio la Commissione Ue dovrebbe annunciare nuovi piani. È la vigilia di un giorno cruciale: per il 21 luglio è prevista, sulla carta, la ripresa delle attività di Nord Stream; alla quale il governo tedesco stesso non crede. Sempre il 21 luglio, ma del 2021, l’allora cancelliera Angela Merkel veniva a patti con gli Usa per l’inaugurazione del gasdotto Nord Stream 2, progetto avviato nel 2005 dal socialdemocratico Gerhard Schröder, passato poi al soldo di Gazprom. Un’estate fa, Merkel aveva rifiutato la richiesta Usa di inserire una clausola “kill-switch”, «spegni tutto», da attivare per bloccare i flussi in caso di mosse aggressive russe. Oggi non solo è fermo Nord Stream 2, ma pure Nord Stream 1, ed è Putin a spingere il bottone «spegni tutto».

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