L’embargo del gas russo va «considerato» al tavolo dei ministri europei: le parole che hanno causato scalpore in Germania sono di Christine Lambrecht, ministra socialdemocratica della Difesa. La ministra non è nuova a gaffe: qualche settimana fa aveva annunciato che la Germania avrebbe fornito nel giro di tre anni 5.000 soldati alla nuova truppa europea, provocando stupore tra i capi della Bundeswehr. Anche oggi, le sue parole sono state smentite a stretto giro: a spiegare che per l’embargo per il momento non c’è niente da fare sono stati sia il ministro verde dell’Economia Robert Habeck che il liberale a capo delle Finanze, Christian Lindner. 

I primi cento giorni del governo Scholz non sono stati facili per nessun partito della coalizione semaforo. Il partito che però ha dovuto affrontare la sfida più grande sono stati senza dubbio i Verdi. Partiti nei due ministeri di punta, gli Esteri e l’Economia, per decarbonizzare la Germania e lavorare a un ampio pacchetto per la transizione energetica, hanno dovuto ribaltare i principi che stanno loro più a cuore. 

Annalena Baerbock, ex candidata cancelliera e oggi a capo della diplomazia tedesca, ha dovuto accettare che la Germania diventasse il secondo o terzo fornitore del mondo di armi per Kiev, il suo collega Habeck si è messo in viaggio per contrattare anche con i partner meno desiderabili le  nuove forniture di gas di cui Berlino ha grande bisogno per sostituire quelle russe. 

L’espressione più azzeccata per descrivere i primi tre mesi di governo nel post Merkel è di Lambrecht: nel suo primo viaggio a Washington ha spiegato che «la Germania è arrivata nella realtà contemporanea». E, ad aver fatto i conti con la realtà più di altri, forse sono proprio i Verdi, che nelle ultime settimane hanno detto addio al pacifismo che li aveva portati sull’orlo della rottura durante la guerra nei Balcani, ma anche alla speranza che alla politica estera energetica si potesse dare un indirizzo legato ai valori, come predicava Baerbock in campagna elettorale. 

Proprio la ministra degli Esteri sta tentando di vendere politicamente il cambio di linea come punto di forza, ed effettivamente sia l’opinione pubblica che l’opposizione hanno espresso apprezzamento per il modo in cui Baerbock e Habeck stanno gestendo la crisi: i Verdi hanno guadagnato 4-5 punti nei sondaggi rispetto al loro risultato elettorale.

La fornitura del gas

Non è riuscito a intaccare la nuova fiducia neanche il viaggio in Qatar di Habeck. L’accordo «straordinario» concluso con un governo autoritario per il rifornimento di gas a lungo termine sarebbe stato impensabile per i Verdi fino a poco tempo fa, ma Berlino ha bisogno di un’alternativa per sostituire il 55 per cento della fornitura di gas che oggi arriva dalla Russia. Habeck può fare però leva sulla sua sincerità.

A Doha ha registrato un video in cui spiega i termini dell’accordo: la comunicazione sembra improvvisata, Habeck parla a braccio, il video è ripreso a mano libera e il ministro è in piedi in maniche di camicia sotto il sole davanti alla skyline qatariota. Lo stile di Habeck piace: racconta l’incontro come è avvenuto, spiega che ha provato anche a toccare “in your face” il tema dei diritti umani con l’emiro, e appare molto autentico.

Stesso discorso per quanto riguarda l’indipendenza dal gas russo, che oggi copre il 55 per cento del fabbisogno tedesco. Il gas garantisce un quarto dell’energia che consuma la Germania. Il ministro ha spiegato in conferenza stampa che difficilmente arriverà prima del 2024. Un’ammissione che ha fatto con difficoltà, rivolgendosi anche direttamente ai cittadini per chiedere loro di risparmiare il più possibile il gas. 

Effetto collaterale inaspettato della guerra per i Verdi è però il nuovo slancio con cui il paese lavora alla transizione energetica: il governo ha già deciso lo stanziamento di un pacchetto da 200 miliardi di euro per accelerare sul potenziamento delle rinnovabili. 

Oltre a raccogliere l’entusiasmo per le rinnovabili, però, i Verdi si sono ritrovati ad accettare di sostenere il gas ottenuto dal fracking, più dannoso per l’ambiente del gas naturale tradizionale. Ma con il conflitto va bene tutto, pur di sottrarsi al ricatto di Putin.

Anche i terminali per il gas liquido e le navi rigassificatori opzionati per conto del governo, un altro investimento su cui i Verdi di sei mesi fa avrebbero tentennato.

Il legame con Washington

Servono però per ottenere il gas qatariota, ma anche quello norvegese e soprattutto quello americano. Non è un caso che il primo viaggio di Habeck negli Stati Uniti sia stato un successo: è stato accolto come rappresentante di un governo che finalmente si prende la responsabilità geopolitica che Washington auspicava da tempo assumesse.

A darne prova è prima di tutto l’investimento da 100 miliardi in spese militari, ma anche l’impegno per tagliare i legami energetici tra Berlino e Mosca: proprio l’ostilità originaria dei Verdi per il gasdotto Nord Stream 2 aveva attratto già in campagna elettorale l’attenzione della Casa bianca.

La furba manovra burocratica con cui proprio il ministero di Habeck ha sospeso l’ultima autorizzazione necessaria per la messa in funzione della pipeline ha confermato a Washington che aveva puntato sul cavallo giusto.

Il naufragio definitivo del progetto non ha fatto che migliorare i rapporti con Berlino, che ora si sta rivelando un ottimo alleato nella strategia incrementale che la Casa bianca sta tenendo nel conflitto ucraino. Una linea che torna utile anche in patria, considerato che motivare posizioni anche molto lontane dal programma di partito è più facile se si riescono a proporre come soluzioni adeguate all’inasprimento graduale della guerra.

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