L’attivista rom e gay ha organizzato a Pécs il primo Pride rurale, sfidando il divieto del governo Orbán. Licenziato dalle istituzioni pubbliche, racconta la sua battaglia per i diritti umani e la libertà in un paese dove manifestare diventa resistenza civile: «Sempre meno persone osano attivarsi per le conseguenze che ne derivano». Per la prima volta nella storia dell’Ue una persona rischia fino a un anno per aver difeso i diritti umani
Géza Buzás-Hábel, attivista per i diritti umani e docente ungherese, è il promotore del primo Pride rurale in Ungheria, a Pécs. Rom e gay, rischia fino a un anno di reclusione per aver organizzato una manifestazione considerata illegale dal governo di Viktor Orbàn. Per questo suo atto di disobbedienza, sorvegliato dai servizi segreti, ha perso il lavoro in scuole e centri culturali pubblici.
A Domani racconta la sua vita, la battaglia per i diritti civili e la difficoltà di essere sé stessi in un paese dove anche la libertà di riunione può diventare un atto di coraggio.
Lei rischia il carcere per aver organizzato il Pride a Pécs, sfidando il divieto imposto da Orbán e portando in piazza 5.000 persone. Il suo è il primo caso nella storia dell’Unione europea in cui chi difende i diritti civili viene perseguito penalmente per aver organizzato un Pride. Quando ha capito che la sua vita stava per cambiare?
A dicembre scorso, poco prima di Natale, ho capito che ero politicamente scomodo: sono stato licenziato dal liceo dove insegnavo da otto anni e da altri incarichi pubblici, per ordini superiori. I servizi di intelligence avevano monitorato la mia attività e riferito ai miei datori di lavoro. Ma non posso entrare nei dettagli per i procedimenti legali in corso. Ma sapevo che questo sarebbe stato un anno difficile.
Com’è la vita quotidiana di un attivista Lgbtq in Ungheria?
Non mi considero un attivista Lgbtq in senso stretto. Lavoro con minoranze e comunità marginalizzate; la comunità rurale Lgbtq è solo uno dei nostri obiettivi. In Ungheria, dire “difensore dei diritti umani” è quasi un insulto: sempre meno persone osano attivarsi per le conseguenze che ne derivano. Due anni fa gli insegnanti hanno scioperato per un aumento salariale, e sono stati legalmente vietati gli scioperi. Chi ha disobbedito ha perso il lavoro. Quest’anno, a un attivista gay è stato negato il permesso di parlare a una protesta proprio per la sua identità.
Ha paura?
Non ho paura. La società ungherese non è il governo. Le leggi ingiuste non rispondono alla volontà dei cittadini, ma alla propaganda e ai soldi di chi governa. Spesso chiamiamo queste leggi “saláta törvények” (leggi insalata), perché vengono presentate di notte e approvate subito, senza alcun processo o consultazione pubblica. Nessun consenso sociale, nulla. Ciò che pesa è che da quasi un anno nessuno mi assume perché sono politicamente scomodo.
Ha perso il lavoro per il Pride?
Sì, il licenziamento dal Gandhi Gymnasium e dallo Snétberger Music Talent Center è stato devastante: luoghi creati dalla società civile, poi controllati dallo stato. Da allora vivo di risparmi. Ho insegnato lingua e cultura rom, ma ora sono senza lavoro.
Perché ha organizzato il Pride nonostante il divieto?
Principio, rabbia e necessità. Per cinque anni siamo stati sotto attacco: organizzare un Pride fuori dalla capitale sembrava impossibile, eppure ce l’abbiamo fatta. Non accettare questa legge inumana significava non abbandonare la comunità. Credo che l’Ungheria sia un vero paese europeo, anche se ora la porta è spalancata verso est e solo socchiusa verso ovest. Lottiamo perché l’Ungheria diventi un paese vivibile, genuinamente europeo per tutti.
Cosa significa essere giovani e Lgbtq a Pécs?
Pécs è una bolla di libertà: multiculturale, inclusiva, culla dei movimenti per le minoranze. La comunità queer è viva e solidale. Le politiche nazionali pesano emotivamente, ma l’effetto bolla è ancora forte.
Quali reazioni hai ricevuto dall’estero e dagli ungheresi non-lgbtq?
La solidarietà internazionale è enorme. Anche molti non-lgbtq aiutano a organizzare il Pride, come a Budapest, dove quasi mezzo milione di persone ha partecipato.
Lei tra poco dovrà presentarsi davanti a un giudice, quale messaggio vorrebbe trasmettere?
La libertà non può essere fermata, e non mi piegherò alla paura. Il Pride di Pécs ci sarà anche se mi imprigionano, accadrà comunque.
Che cosa si aspetta dall’Europa e dall’Italia?
Spero che Commissione e stati membri, come l’Italia, mettano pressione sull’Ungheria per garantire il diritto di riunione.
Qual è il futuro del movimento arcobaleno in Ungheria?
Purtroppo gli sviluppi politici globali stanno diventando sempre più sfavorevoli per le comunità Lgbtq, ma credo ancora che l’Ungheria tornerà almeno allo stato del 2010. E anche se non subito, spero che il matrimonio egualitario sarà introdotto. Accolgo con favore la Strategia Lgbt dell’Ue e resto fiducioso che ogni stato membro, compresa l’Ungheria, adempia agli obblighi previsti.
Cosa succederà concretamente con il processo?
Penso che il caso arriverà in tribunale, tutto si è mosso a velocità record, anche la proposta di incriminazione è stata presentata molto rapidamente. Il Pride di Pécs si è svolto il 4 ottobre, sono stato interrogato il 28, e all’inizio di novembre il caso era già in procura con raccomandazione di incriminazione. Ci saranno le elezioni in aprile e credo che la sentenza arrivi prima. Non so esattamente quando, ma non escluderei nemmeno una sospensione di un anno*.
* (In Ungheria, una “sospensione di un anno” significa che Hábel non andrà subito in prigione, ma resterà sotto condizione: se commette un altro reato o viola le regole stabilite dal giudice, dovrà scontare la pena. Un modo per intimidire senza incarcerare immediatamente, mantenendo il controllo e la pressione sugli attivisti, ndr).
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