«Lo dobbiamo a chi resiste a Bolsonaro, a Trump, a Orbán, a Milei, a Putin», dice la senatrice socialista Laurence Rossignol. Ma è quando aggiunge «A Giorgia Meloni» che la sala affrescata di Versailles, gremita di parlamentari, esplode in un lungo applauso.

In Europa c’è la destra del governo Meloni, che vota contro il diritto all’aborto. E poi c’è la Francia: questo lunedì ha messo in cassaforte il diritto per le donne di interrompere la gravidanza. Lo ha inserito in Costituzione, che è patrimonio comune, e lo ha fatto con 780 favorevoli e solo 72 contrari, dunque ci è riuscita anche con voti da destra.

A fare la differenza è stata anzitutto la società civile, perché, sondaggio dopo sondaggio e spinta dopo spinta, anche Marine Le Pen ha dovuto intenderlo: sui diritti delle donne indietro non si torna.

Liberté, égalité, sororité!

I tentativi francesi di sigillare nella carta il diritto all’aborto sono cominciati quando nel resto del mondo le pedine dei diritti oscillavano come un domino. È in particolare la retromarcia della Corte suprema Usa ad aver innescato la mobilitazione.

Nel 1973 una giovane avvocata, Sarah Weddington, era riuscita a ottenere l’aborto legale con la sentenza Roe contro Wade. Nel 2017, quando Donald Trump ha iniziato a inclinare a destra gli equilibri della Corte, Weddington ha avvertito: «Ragazze, non date nessun diritto per scontato. Push back barriers for women. Spingete i diritti più in là». L’avvocata che aveva fatto la storia è morta a dicembre 2021; sei mesi dopo, i suoi timori si sono concretizzati. A giugno 2022 la Corte suprema ha cestinato la Roe contro Wade.

Anche l’Ue ha sperimentato negli ultimi anni un attacco frontale alle donne. In Polonia, con il governo ultraconservatore del Pis, alleato di Meloni, i tentativi di restringere ulteriormente il diritto all’aborto si sono intensificati nel 2016 e nell’ottobre 2020, quando una sentenza ha stabilito che l’aborto è illegale pure in caso di malformazioni del feto. Solo dopo massicce proteste e dopo tre anni – con le elezioni di ottobre e la vittoria di Donald Tusk – la Polonia può iniziare a ricucire quello strappo.

«Il nostro voto riparerà una pagina nera della storia», ha detto Rossignol nell’aula di Versailles. «La Francia riprende il filo dei diritti umani. Restituisce colore a quel motto – liberté, égalité, fraternité, libertà, uguaglianza e fratellanza – e anzi lo rilancia: liberté, égalité, sororité!». Libertà, uguaglianza e sorellanza.

Nonostante la destra estrema

Mezzo secolo fa, Simone Veil aveva già cambiato la Francia con il progetto di legge per depenalizzare l’aborto, la “legge Veil”. «Lo dico a un parlamento composto quasi esclusivamente da uomini: nessuna donna interromperebbe una gravidanza a cuor leggero. Ascoltate le donne», chiedeva all’epoca da ministra e da conoscitrice degli equilibri della politica.

Sono seguite altre leggi; molte le ha citate questo lunedì il premier macroniano Gabriel Attal, per dire due cose: che non basta un diritto, servono strumenti per renderlo esigibile da tutte; e che «i più grandi progressi si sono fatti con l’unità». Alludeva anche alla costruzione di un fronte ampio che ha consentito questo lunedì alla seduta congiunta di Senato e Assemblea nazionale – 925 parlamentari – di sigillare il diritto in Costituzione. Quel fronte è cresciuto col tempo.

Nel 2022, lo choc della retromarcia americana aveva scatenato in Francia ben sei proposte di legge per la costituzionalizzazione. Renaissance, il partito macroniano, aveva colto l’occasione: Aurore Bergé, l’allora capogruppo all’Assemblea, era stata la prima a depositare un testo. Pure Mathilde Panot della France Insoumise, la sinistra mélenchoniana, ha promosso una iniziativa. Al Senato, dove gli equilibri erano più ostici, ha avuto un ruolo di apripista Mélanie Vogel, che è pure presidente del Partito verde europeo.

Se la scorsa settimana anche in Senato è arrivato a un via libera, e se questo lunedì il piano è stato sancito, lo si deve anzitutto a un’opinione pubblica largamente favorevole e matura in materia: pure Le Pen ha dovuto farci i conti.

Le Pen vs Meloni

«Voteremo per la costituzionalizzazione dell’aborto», ha detto questo lunedì la leader del Rassemblement, precisando che «nessuno in Francia ne metterà in pericolo l’accesso». Come a dire: se volete blindare quel diritto perché pensate che l’estrema destra lo metta a rischio, sia chiaro che non oserò farlo.

Una mossa che rientra nella strategia di normalizzazione lepeniana. Ma che comunque tra le destre europee è tutt’altro che scontata: i partiti che compongono la coalizione Meloni, ad esempio, continuano a mostrarsi allergici al tema.

Nell’estate 2022, a seguito della sentenza Usa, l’Europarlamento ha votato una risoluzione nella quale si propone «di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali». Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si sono espressi contro. Sono contrari pure quando si tratta – sempre in Europarlamento – di votare perché gli stati nazionali garantiscano l’esigibilità di quel dirito. Il primo report Ue per i diritti riproduttivi chiedeva agli stati membri di assicurare l’accesso sicuro e universale all’aborto; ma la destra del governo Meloni ha votato contro.

In Francia sui diritti delle donne non si scherza, e ciò nonostante l’avanzata del Rassemblement o le derive di un Macron che lascia passare leggi sull’immigrazione copincollate dall’estrema destra. Una buona fetta di parlamentari di destra – si tratti di quella classica repubblicana, o estrema lepeniana – ha dovuto dotarsi di una coscienza femminista.

«La legge determina le condizioni in base alle quali si esercita la libertà, garantita alla donna, di ricorrere all’aborto»: unendosi attorno a questa frase, la République mostra un altro volto; ed è lo stesso con il quale eravamo abituati ad ammirarla una volta.

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