C’è una fila di grattacieli gemelli, in Lussemburgo, che consente di vedere il panorama dall’alto. Mentre la Commissione Ue, i governi, compreso il nostro, e ora anche gli eurodeputati, fanno finta di non vedere la crisi climatica, l’ultima speranza di giustizia risiede ora nelle torri della Corte di giustizia Ue. Questo mercoledì ogni argine politico si è rotto: gli eurodeputati avrebbero potuto respingere la “tassonomia”, cioè l’atto delegato con il quale la Commissione europea ha etichettato gas e nucleare come «investimenti verdi», ma il numero di voti non è stato sufficiente a fermare il greenwashing. Adesso solo i giudici potranno riuscirci.

Il clima è cambiato

I parlamentari europei hanno avuto l’occasione di far saltare la tassonomia proposta da Bruxelles ma non l’hanno fatto. Il clima è cambiato anche a Strasburgo, nel palazzo dell’Europarlamento che fino a qualche tempo fa era considerato la roccaforte e il contraltare progressista in un’Ue trainata dai governi. Il voto sulla tassonomia fotografa un’aula che vira a destra e ci intrappola nel passato: in 328 appoggiano nucleare e gas «verdi». Non è un caso inedito; dalle elezioni di metà mandato di gennaio il centrodestra ha siglato un’alleanza tattica con la destra più oltranzista. Ma ormai la tendenza è ineludibile: non regge più la «maggioranza Ursula», che teneva uniti in una “Große Koalition” i moderati di destra e sinistra. Sul clima – che sia il pacchetto “Fit for 55” o la tassonomia – si stagliano due opposti campi politici. I socialdemocratici (per l’Italia il Pd), con verdi e sinistra, portano avanti le istanze del clima. Ma il più ampio gruppo politico in Ue, e cioè il centrodestra popolare che ha espresso von der Leyen come presidente di Commissione, abbraccia l’estrema destra pur di difendere le posizioni di lobby e governi. Il Ppe, salvo eccezioni, vota assieme ai sovranisti (per noi la Lega) e ai conservatori di Giorgia Meloni, oltre che coi liberali che difendono una creatura politica di Macron. Ecco quindi che non si arriva ai 353 voti necessari per rispedire al mittente l’«atto delegato» della Commissione Ue, quella tassonomia fatta filtrare alla stampa a capodanno.

La pressione dei governi

La tassonomia nasce per orientare gli investimenti verso attività economiche sostenibili, seguendo criteri scientifici e imponendo standard climatici di rilievo globale. La versione ufficiale presentata da Bruxelles a inizio febbraio si dimostra invece squisitamente politica. L’etichetta verde a gas e nucleare è un’opera di equilibrismo tra gli interessi dei governi, come ha implicitamente riconosciuto il premier ceco Petr Fiala, che ha la presidenza di turno al Consiglio Ue: «Chiedo a voi eurodeputati di non respingere questo fragile compromesso tra i diversi paesi».

Il nucleare di Parigi

Il deus ex machina del «fragile compromesso» si chiama Emmanuel Macron, anche se senza il supporto delle altre capitali, Roma inclusa, avrebbe combinato ben poco. Questo mercoledì la prima ministra francese Élisabeth Borne ha annunciato il piano per nazionalizzare la società elettrica francese Edf: «Il futuro passa per il nucleare», ha dichiarato poco dopo il voto degli eurodeputati. Edf attraversa da tempo traversie finanziarie e giudiziarie, sia per vicende legate alla sicurezza delle centrali nucleari che per problemi in borsa e buchi di bilancio. Macron ha chiesto nuovi reattori, e ora l’etichetta «green» sugli investimenti nel nucleare è perfetta per il suo piano. Eventuali obbligazioni emesse da governi e imprese per progetti sul nucleare, grazie all’operazione di greenwashing europeo, potranno risultare come «green bond».

Roma e gli alleati del gas

«Persino i nostri fondi pensione finiranno inquinati dalle operazioni figlie della tassonomia. Edf o Eni potranno emettere green bond per finanziare progetti su nucleare o gas. Durante il dibattito dell’Europarlamento sulla tassonomia, ho visto il lobbista dell’Eni in zona plenaria, presente e attivo», racconta Luca Bonaccorsi. Fa parte del gruppo di esperti sulla tassonomia della Commissione. Esperti che però Bruxelles ha scelto di non ascoltare. La “Piattaforma sulla finanza sostenibile”, di cui fa parte una quota di società civile come Bonaccorsi, ma anche mondo della scienza e degli investimenti, ha dato parere negativo all’atto delegato di von der Leyen. Che aveva alle spalle un’alleanza di governi, con il pro nucleare Macron che ha saldato la coalizione coi pro gas, tra i quali Berlino e Roma. Il parere del nostro ministero dell’Economia non solo è favorevole, ma auspicava criteri ancor più laschi per il gas. Come per il pacchetto verde “Fit for 55”, anche sulla tassonomia il governo italiano sta col fronte anti clima.

Soldi e guerra

Eppure stando a Bonaccorsi «in Ue saranno soprattutto Francia e Germania, al 53 e al 23 per cento, a trarre profitto da questa tassonomia». L’attività lobbistica delle industrie di gas e nucleare – pure quelle russe – sulla Commissione per influenzare la tassonomia è stata intensa, ma non basta a rendere la portata della miopia europea. Il verde Bas Eickhout, che ha animato la «alleanza trans-partiti» all’Europarlamento sperando di fermare l’atto di Bruxelles, ha provato invano a evidenziare che la guerra di Putin rende ancor più controintuitivo ancorarci al gas. Anche la deputata ucraina Inna Sovsun, e la società civile ucraina, si sono mobilitati contro la tassonomia. Ma alla vigilia del voto c’è stato un coup de théâtre. Nel pieno di una conferenza sul Recovery per l’Ucraina che si teneva a Lugano, dove la Commissione Ue, governi e investitori congegnavano i finanziamenti per ricostruire il paese, il ministro dell’Energia di Kiev ha mandato una lettera agli eurodeputati per sostenere la tassonomia di Bruxelles: «Sennò mettete in difficoltà la nostra ricostruzione».

Ora paesi come l’Austria e ambientalisti come Greenpeace annunciano battaglia legale su questa tassonomia, che non scontenta solo i green ma pure la finanza. Persino la più grande società di investimento, BlackRock, e banche come Goldman Sachs e JP Morgan, hanno giudicato inadeguata la tassonomia Ue, perché degrada gli standard per gli investimenti in una fase dove bisognerebbe proiettarsi sul clima.

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