L’unica cosa da non dimenticare nella valigia per Varsavia è la corda da funambola. L’incontro con Mateusz Morawiecki, il premier polacco del Pis, partner di Fratelli d’Italia nei conservatori europei, rappresenta per Giorgia Meloni un esercizio di equilibrismo.

La premier sa bene che gli ultraconservatori del Pis sono al momento indigeribili per i popolari, coi quali Meloni dialoga da tempo e ancor più ora che le europee si avvicinano. Nel primo test di alleanza tra meloniani e Ppe – le elezioni di metà mandato dell’Europarlamento di gennaio 2022 – il pontiere Raffaele Fitto è riuscito a incassare una vicepresidenza per i conservatori (Ecr) a una condizione: che il nome individuato non fosse polacco. Nel Ppe la Polonia è già rappresentata – cospicuamente – dalla delegazione di Platforma Obywatelska, il partito guidato da Donald Tusk e soprattutto la principale forza di opposizione al Pis.

L’ipotesi che possa essere Fratelli d’Italia a staccarsi da Ecr – ipotesi caldeggiata dagli emissari del leader popolare Manfred Weber – «è semplicemente una fregnaccia» secondo il meloniano d’Europa Nicola Procaccini. Il capogruppo dei conservatori all’Europarlamento dice a Domani che «rimarremo ancorati a Ecr: ma le pare che usciamo dal nostro gruppo? Siamo in ascesa più che mai».

La pantomima degli screzi in tema migranti all’ultimo Consiglio europeo non va letta come una rottura tra Meloni e Morawiecki, ma racconta piuttosto come la premier sta ridisegnando il suo ruolo in Europa: il ruolo è appunto quello – chiave – di interpolazione tra popolari e destra estrema. Il canale privilegiato tra la leader e il Ppe si regge proprio sul restare in bilico.

A febbraio Morawiecki aveva accolto Meloni in un caffè di Varsavia ispirato a Tolkien, con la mappa della terra di mezzo sullo sfondo; scenario quasi profetico: solo finché è nel mezzo, la leader governa i processi.

L’incontro di Varsavia

L’agenda polacca di Meloni comincia con un incontro istituzionale nella sede del governo: lo scambio di saluti con Mateusz Morawiecki è il primo momento di confronto politico tra i due. Che si trasferiscono poi tra gli altri conservatori per pronunciare i loro discorsi ufficiali in occasione degli Ecr study days, ovvero le giornate di studio riservate ai membri della famiglia politica.

Seminari e dibattiti sono iniziati lunedì e durano fino a venerdì; la scelta dei temi riflette anche i cavalli di battaglia elettorali, in vista delle elezioni polacche d’autunno e di quelle europee di giugno. «Si va dalla difesa della famiglia al giusto compromesso tra sviluppo economico, tenuta sociale e protezione dell’ambiente», spiega Procaccini da Varsavia. I voti anti clima sono tra le cose che più accomunano meloniani, conservatori di ogni provenienza e popolari. «E si parlerà di immigrazione».

Durante l’ultimo Consiglio europeo, i governi polacco e ungherese – che si sono sempre spalleggiati a vicenda sullo stato di diritto anche se sono sempre più disallineati sul fronte geopolitico – hanno ostentato la loro opposizione all’accordo già concluso in Lussemburgo, tra ministri competenti, per la riforma del patto di asilo. La verità è che non serviva l’unanimità dei leader europei, per dare il via a un accordo che era già stato approvato a maggioranza in Consiglio Ue.

Le rimostranze di Orbán e Morawiecki sono un teatrino creato ad arte per due ragioni: propagandistica, cioè a uso e consumo della propria opinione pubblica, e strumentale, ovvero per strattonare l’Ue che tiene ancora bloccati i fondi europei.

Meloni la “mediatrice”

In questo teatro, dove le fratture reali e quelle narrate non coincidono, Meloni si è ritagliata – al di là degli esiti – il profilo di mediatrice. Non è la prima volta che ciò accade.

A dicembre 2022 per esempio i governi dovevano trovare un accordo sulla proposta della Commissione europea di congelare parte dei fondi Ue destinati all’Ungheria utilizzando la leva del meccanismo di condizionalità, che vincola l’erogazione al rispetto dello stato di diritto. E fonti del governo tedesco riferivano a Domani proprio di una posizione di interpolazione del governo Meloni: non contro Orbán, ma neppure allineato.

Del resto è proprio stando in bilico che la premier si è guadagnata l’interlocuzione con Weber, che in cambio ha normalizzato la destra estrema. Quando Jarosław Kaczyński, leader del Pis e regista del governo Morawiecki, ha convocato a Varsavia i leader dei partiti di estrema destra – erano i tempi del cantiere per il gruppo unico delle destre – Giorgia Meloni ha boicottato l’evento; e già prima, aveva boicottato il gruppone stesso, lasciando così naufragare i piani orbaniani e salviniani.

Con quest’opera di frantumazione la leader si è aperta una linea di credito con Weber e il Ppe. Non c’è da stupirsi che oggi la sua principale forza negoziale stia proprio nella “terra di mezzo”: è grazie ai rapporti con il Ppe che Fratelli d’Italia ha conquistato in Ue il patentino di governabilità; ma al contempo, se molla gli alleati conservatori per i popolari, perde potere negoziale con il Ppe stesso.

Non a caso Meloni non molla il trono di presidente del partito conservatore europeo, e a fine giugno si è fatta riconfermare, per gestire i passaggi politici in vista delle europee. L’Ecr stesso del resto «è una sorta di camera di decompressione delle destre estreme», come aveva raccontato a Domani l’eurodeputato del Pis Zdzisław Krasnodębski. Da qui Meloni si è presa palazzo Chigi, e da qui Vox si sta prendendo la Spagna di regione in regione, accordandosi coi popolari.

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