Dopo oltre 15 mesi, Ilaria Salis ha lasciato nella mattina di giovedì 23 maggio il carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi utca di Budapest ed è stata trasferita ai domiciliari, in un appartamento della capitale ungherese, dove continuerà a scontare la misura cautelare in attesa della fine del processo, nel quale rischia fino a 11 anni di carcere. 

«Finalmente l’abbiamo riabbracciata – ha commentato il padre Roberto Salis – Speriamo che questa sia una tappa temporanea prima di vederla finalmente in Italia».

Lo scorso 15 maggio il tribunale del riesame di Budapest aveva concesso i domiciliari all’attivista milanese ora candidata alle europee con AVS, accogliendo l’istanza dei legali dopo che, all’udienza del 28 marzo, la richiesta era stata rigettata. Il provvedimento è diventato esecutivo dopo che è stata pagata la cauzione di 16 milioni di fiorini ungheresi (poco più di 41mila euro), in parte raccolti con un crowdfunding e in parte messi a disposizione dalla famiglia.

Cosa succede adesso

Intanto il processo va avanti e per il 24 maggio è attesa una nuova udienza. Ma questa volta, a differenza delle altre, Salis non entrerà in aula con catene a mani e piedi.

Ora le questioni sul tavolo sono due. La prima riguarda la richiesta di trasferimento in Italia per scontare i domiciliari, già negati una volta, in base a una legge quadro europea del 2009 che consente a un cittadino europeo di scontare le misure cautelari disposte da un paese Ue nel proprio paese d’origine.

C’è poi la questione del diritto di voto alle elezioni europee, perché Salis non è residente all’estero e quindi non è iscritta all’Aire, l’anagrafe degli italiani che vivono fuori dal paese. E per questo non potrebbe votare alle elezioni in cui è candidata.

L’idea avanzata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è iscriverla all’Aire: peccato che proprio questo potrebbe rivelarsi un passo falso in vista dell’ottenimento dei domiciliari in Italia.

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