Dopo una serie di conferme e smentite, Ilaria Salis sarà candidata alle prossime elezioni europee tra le liste dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Salis è detenuta a Budapest da oltre 13 mesi ed è stata portata in aula più volte con catene a mani e piedi. Ma può candidarsi con un procedimento penale in corso? Cosa succede se dovesse essere eletta? L’Ungheria è obbligata a scarcerarla? E quali sono i precedenti?

Può essere candidata?

Anche se quelle che si terranno l’8 e il 9 giugno prossimo sono elezioni europee, i criteri che regolano le candidature rispondono all’ordinamento italiano. Nel nostro paese vige il principio della presunzione d’innocenza, ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che è parte integrale dei trattati), in base al quale un cittadino è ritenuto innocente fino alla conclusione del procedimento penale. Per questo, qualsiasi tipo di esclusione o preclusione sarebbe incompatibile con questo principio. Nel caso di Ilaria Salis, quindi, non esistono cause di ineleggibilità o incompatibilità che vietino una sua candidatura.

Basta la candidatura per essere scarcerata?

In Ungheria l’immunità scatta con la presentazione delle liste, come ha spiegato il suo avvocato difensore, Gyorgy Magyar. Ma considerato che Salis verrà candidata in Italia, nella circoscrizione nord-ovest, va applicata la norma italiana che prevede che l’immunità scatti solo dopo un’eventuale elezione. Quindi la candidatura in sé non cambia la situazione.

Cosa succede se viene eletta?

Il quadro cambia se l’insegnante di Monza in carcere a Budapest venisse eletta. Come per i parlamentari nazionali, anche i rappresentanti europei godono dell’immunità. In base al protocollo 7 sui “privilegi e sull’immunità” dell’Unione europea, parte integrante del trattato di Lisbona, i membri dell’europarlamento beneficiano, «sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del parlamento del loro paese» e, «sul territorio di ogni altro Stato membro, dell’esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario».

Inoltre, non possono essere posti ostacoli amministrativi amministrativi o alla libertà di movimento. Tradotto: Ilaria Salis dovrebbe essere scarcerata, se eletta (se non eletta non cambierebbe niente). Anche se i suoi legali, a partire da Magyar, rimangono dubbiosi perché non certi della reazione della Corte di Budapest sulla sua ipotetica immunità, considerato che i fatti contestati sono avvenuti in un momento precedente a una sua eventuale elezione.

Cosa può fare Budapest?

Per continuare a trattenere Salis in carcere, sulla falsariga di quanto previsto dalle norme italiane, i giudici ungheresi devono chiederne l’autorizzazione al parlamento europeo. La richiesta di revoca dell’immunità va avanzata direttamente al presidente per poi passare alla commissione competente (la “commissione giuridica”) che esprime un proprio parere, non vincolante. 

È il parlamento poi che adotta la decisione a maggioranza semplice. Nel caso in cui le venisse revocata l’immunità, Salis continuerebbe a rimanere in carica perché l’eventuale decisione consisterebbe solo in un’autorizzazione a giudicare il rappresentante e non a una sua condanna, che continua a spettare alle autorità giudiziarie del paese in questione.

Ci sono precedenti simili?

Il precedente giurisprudenziale parte dalla vicenda dell’ex eurodeputato Oriol Junquera i Vies, indipendentista catalano indagato per la sua partecipazione alla proclamazione e realizzazione del referendum del novembre 2017 sull’indipendenza della Catalogna, dichiarato illegale dalle autorità spagnole.

In una sentenza del 19 dicembre del 2019, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che lo Stato non può impedire al deputato eletto di partecipare alle sessioni del parlamento europeo, proprio perché beneficia dell’immunità. Solo dopo la sua condanna definitiva in Spagna, l’allora presidente dell’europarlamento David Sassoli ha optato per la fine del suo mandato.

La vicenda di Vies è intrecciata con quella di altri due indipendentisti catalani poi eletti al parlamento europeo, Carles Puigdemont e Toni Comin, riparati in Belgio per non essere arrestati. 

Ma in Italia il precedente più noto è quello di Enzo Tortora, l’ex conduttore televisivo vittima di uno dei più famosi casi di malagiustizia. Detenuto agli arresti domiciliari in attesa di giudizio, nel giugno 1984 il partito radicale lo ha candidato alle elezioni europee e, una volta eletto, Tortora è stato liberato grazie proprio all’immunità parlamentare. Poi è stato lo stesso Tortora a chiedere all’assemblea di Strasburgo di concedere l’autorizzazione a procedere, che lo ha portato all’assoluzione in appello dopo la condanna in primo grado. 

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