Il modo in cui Uber ha infiltrato le istituzioni europee racconta qualcosa di allarmante sulle istituzioni europee più che su Uber. Da quando i 124mila file interni dell’azienda sono stati rivelati all’opinione pubblica, la friabilità degli argini tra istituzioni pubbliche e interessi privati sta scatenando reazioni anche a Bruxelles e a Strasburgo. A meno che non si decidano a prendere provvedimenti incisivi contro le «porte girevoli», cioè il passaggio di politici all’attività di lobbying per conto di gruppi industriali, e viceversa, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento Ue finiranno per prestare del tutto il fianco agli euroscettici. Il caso della ex commissaria europea al digitale Neelie Kroes, che presta i suoi favori a Uber ancor prima di andarci a lavorare, finisce ora in un’interrogazione della Lega. L’intero Europarlamento è scosso dalle rivelazioni, su Kroes ma pure su Emmanuel Macron, che da ministro favoriva Uber e più di recente, con la presidenza di turno Ue, si è trovato a maneggiare la direttiva europea sui lavoratori delle piattaforme. Le reazioni si moltiplicano, a destra e a sinistra. E la commissione von der Leyen in tutto questo che fa? Ufficialmente «chiede chiarimenti», nella pratica rinvia alcune riforme necessarie per fermare le porte girevoli.

Da Barroso a Uber

L’olandese Neelie Kroes, commissaria europea dal 2004 al 2014, ha attraversato ben due mandati della presidenza Barroso, e ora è anche al suo secondo scandalo sulle porte girevoli. Il tema stesso delle revolving doors esplode in Ue nell’era della crisi finanziaria e di José Barroso, che due anni dopo la fine del suo incarico diventa presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs. Gli scandali non riguardano solo Barroso, ma anche i suoi commissari, come Günther Oettinger, e Kroes, appunto.

«Steelie Neelie», «Tempra di acciaio», come veniva chiamata da commissaria prima alla Concorrenza e poi al Digitale. Finito l’incarico è diventata consulente di una banca, Merrill Lynch, ed è entrata nella famiglia di Uber. Quando era ancora nell’esercizio delle funzioni di commissaria ha spesso preso le difese di Uber, se l’azienda “litigava” con Bruxelles e le sue regole. Si è pure espressa contro il fatto che alcuni paesi volessero metterla al bando e, di fronte a un pronunciamento anti-Uber della Corte di giustizia Ue, si è detta «indignata». Poi uscita da palazzo Berlaymont ha assunto un incarico in Uber.

Tutto questo lo si sapeva già, ma ora gli “Uber file” aggravano il quadro. Dai documenti viene fuori che per esercitare la sua influenza Kroes non ha neppure aspettato che la poltrona di commissaria “si raffreddasse”.

La porta gira due volte

Un commissario è tenuto a mantenere integrità e discrezione dal mandato al resto della sua vita, inoltre i trattati europei lo obbligano alla limpidezza, e un codice etico a notificare le attività per un certo periodo (il cooling-off period) dopo la fine del mandato. Ai tempi di Barroso e Kroes era di 18 mesi, dopo i primi scandali nel 2018 è stato esteso a 24. In questa fase Kroes ha segretamente organizzato per Uber incontri al vertice.

Ma c’è di più. Quando ancora era commissaria, i vertici dell’azienda si scrivevano nelle mail «mega confidenziali», come recita il testo di una di queste, che «stiamo portando Kroes a bordo». Era settembre 2014, il mandato non era terminato.

Gli effetti dello scandalo

Con von der Leyen presidente, l’ipotesi di un comitato etico indipendente che sorvegli questi casi è entrata nel dibattito, ma la Commissione ancora non ha messo sul tavolo una proposta. Sul caso Kroes si limita a «chiederle chiarimenti».

La difensora civica (“ombudsman”) dell’Ue Emily O’Reilly dice che Bruxelles è una delle capitali del lobbismo e «bisogna valutare una direttiva europea sulla trasparenza dell’attività lobbistica». Chi si batte per la salute democratica dell’Ue, come l’eurodeputato verde Daniel Freund, scrive alla presidente dell’Europarlamento pretendendo chiarezza sulla condotta dei lobbisti di Uber.

La sinistra francese ed europea legge le connessioni tra i leak su Macron che, da ministro, aiuta il gigante Usa, e il Macron dei tempi più recenti, che ha avuto la presidenza di turno Ue mentre si discuteva la direttiva sui diritti dei lavoratori delle piattaforme. «La presidenza di turno francese non ha pubblicato i resoconti dei suoi incontri coi lobbisti – nota l’eurodeputata Leïla Chaibi, del partito di Mélenchon – e ora che è emerso il legame tra Macron e Uber mi sono ancor più chiare le dinamiche viste all’Europarlamento quando mi sono battuta contro l’uberizzazione del lavoro».

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