È il summit delle ritirate e dei passi indietro, quello dei capi di stato e di governo Ue che si conclude questa settimana. L’episodio di Ursula von der Leyen e Charles Michel, presidenti di Commissione e Consiglio europei, che venerdì mattina dopo il crollo in borsa di Deutsche Bank annullano il loro secondo intervento stampa e si negano quindi ai cronisti, rende bene il clima. Anche il governo Meloni non fa passi avanti.

L’ininfluente Meloni

Partendo dall’Italia, il bilancio è negativo per quel che riguarda tutti i temi caldeggiati da Giorgia Meloni. Sulla riforma del patto di stabilità, la premier ha avvertito che «l’Ue deve imparare dai suoi errori». Ma al momento arrivano dai falchi le spinte più incisive per influenzare i piani della Commissione, che già di suo non rivoluzionava il patto, ma dava un piccolo respiro di sollievo ai paesi più indebitati spostando le scadenze su un piano di medio termine.

Si può pensare che alla premier restino almeno le battaglie di propaganda, ma non è così perché il dossier migranti viene di fatto rinviato all’estate: le resta semmai la propaganda da fare per le europee 2024.

Il contromotore tedesco

Meloni si ritrova beffata anche sul dossier motori. E per ragioni diverse, vengono beffati anche europei ed eurodeputati.

Il cuore della questione è il ruolo della Germania di Olaf Scholz: quando la coalizione semaforo si è formata, la promessa, soprattutto su spinta dei verdi, era quella di un rinnovato impegno federalista e ambientalista.

Il cancelliere sta facendo tutt’altro: niente slanci per l’integrazione politica europea, e fianco esposto ai liberali che boicottano i piani green.

Proprio per le spinte del partito liberale, dopo che le istituzioni europee avevano già trovato un accordo sullo stop ai motori a combustione interna entro il 2035 (pacchetto Fit for 55 del Green Deal Ue), Scholz ha preso a spintoni quell’accordo, per ottenere deroghe sugli e-fuel.

Il tema non era nell’agenda di questo vertice, ma la Germania lo ha imposto al centro del dibattito; con l’Italia che si è prestata a comporre il fronte degli avversari dell’accordo, ma che ha fatto il gioco di Berlino mentre negoziava per sé le esenzioni a lei comode.

«Ricordo che l’Europarlamento nutre forti preoccupazioni per una mossa inaspettata: la riapertura dell’accordo è una linea rossa», ha ricordato questo venerdì mattina l’eurodeputato liberale Pascal Canfin, che presiede la commissione Ambiente.

È andata a finire che Germania e Commissione europea si sono affrettate per chiudere un accordo che accontentasse Berlino sulle deroghe. Scholz ha trattato con Bruxelles per gli e-fuel; Meloni sperava invece in deroghe sui biocarburanti, che interessano anche Eni.

Palazzo Chigi è rimasto tagliato fuori, dopo essersi pure esposto tra i nemici del clima.

La crisi di Macron

Meloni sperava di poter esibire almeno un avvenuto disgelo con Emmanuel Macron. Ma la verità è che il faccia a faccia di giovedì sera tra i due cade proprio nel momento di massima fragilità del presidente francese. Le proteste nel suo paese non sono più ormai solo contro la riforma delle pensioni, ma anche e soprattutto contro la cosiddetta “Macronie” e cioè il regime macroniano.

Macron non ha offerto alcuna reale via di uscita istituzionale alla crisi, e i sindacati hanno indetto un nuovo sciopero generale per martedì.

In questo contesto, e con la visita di re Carlo annullata, i cronisti a Bruxelles hanno chiesto conto a Macron della «umiliazione internazionale» e in sostanza della sua situazione di debolezza.

Il presidente francese può sventolare solo una mezza vittoria sul nucleare per il quale tanto spinge: come ha chiarito von der Leyen, «il nucleare può avere un ruolo nella decarbonizzazione ma avrà solo alcuni vantaggi e benefici, mentre i pannelli solari e altre tecnologie strategiche li avranno pieni».

L’immagine dell’Ue

Macron si prepara in tutto questo ad andare in Cina. E anche qui si intravede un’Europa senza spinta univoca: il cancelliere tedesco ha già fatto lo stesso tragitto a inizio novembre, rifiutando la proposta del presidente francese di andare insieme.

«Quando avevo organizzato io in Francia questo tipo di incontri al vertice, avevo coinvolto anche Merkel e Juncker». Era il 2019 ed era Xi Jinping a venire a Parigi.

Ora Macron fa il percorso inverso «senza mandato europeo» come lui stesso riconosce, ma portandosi dietro von der Leyen.

La presidente della Commissione europea venerdì mattina ha annullato assieme a Charles Michel il punto stampa, proprio nel giorno dell’eurogruppo, e mentre piombava sul vertice la notizia del crollo in borsa di Deutsche Bank.

Dopo l’incontro in mattinata con Christine Lagarde, la presidente della Bce, i leader europei hanno mandato un messaggio rassicurante. Oltre a Macron, anche il cancelliere tedesco ha ribadito che «il sistema bancario è stabile».

A parte queste rassicurazioni, il Consiglio europeo non lancia segnali incoraggianti: non solo all’Europa manca un motore, ma quello tedesco sta diventando un contromotore; dopo aver tenuto in ostaggio per mesi il tetto al prezzo del gas, Berlino ha minato l’accordo sulle auto.

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