«Fascismo rosso», «censura arcobaleno» e giornaliste di destra discriminate: è questa l’Italia immaginaria che i meloniani raccontano al Parlamento europeo. Mentre crolliamo al 35esimo posto nella Rainbow Map, Nordio e Piantedosi disertano la commissione sullo Stato di diritto dell’Ue e mandano i loro funzionari, che hanno balbettato su libertà di stampa e diritti
Va in scena al Parlamento europeo il mondo di Giorgia Meloni. Una rappresentazione plastica dell’Italia che non c’è. Dove «il fascismo rosso silenzia i giornalisti», «le giornaliste di destra non trovano spazio perché ritenute poco oggettive», «il movimento Lgbt istituzionalizza la censura e promette la galera per chi osa esprimere idee differenti».
Protagonisti nella sala Anna Politkovskaya di Bruxelles sono stati Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo ECR; Alessandro Ciriani, europarlamentare di Fratelli d’Italia; Tommaso Cerno, direttore del quotidiano Il Tempo; Manuela Biancospino, tra le fondatrici dell'associazione Giornaliste italiane e, collegato da remoto, Jacopo Coghe dell’associazione anti-abortista Pro Vita & Famiglia. Tema: “Libertà di stampa”.
La contro-conferenza
Una conferenza nata per fare da contraltare all'audizione a porte chiuse voluta dalla Commissione Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) sul tema dello stato di diritto e libertà di stampa in Italia. Chiamati all’ordine a Bruxelles dall’Ue erano stati il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il suo omologo della Giustizia, Carlo Nordio, che hanno preferito dare forfait e mandare i propri funzionari: Alessandra Giansante per Nordio e Isabella Confortini per Piantedosi.
«Scappano perché sono a corto di argomenti, visto il colpevole accanimento del governo Meloni nei confronti dei giudici, dei giornalisti e delle famiglie arcobaleno», ha commentato Gaetano Pedullà, europarlamentare del Movimento 5 Stelle.
Il meloniano Procaccini li ha difesi: «Mai sono comparsi ministri di nazioni coinvolte nella commissione di monitoraggio». Una fake news, platealmente smentita dall’europarlamentare belga Sophie Wilmès che ha presieduto l’audizione, che prima ha fatto un elenco di primi ministri intervenuti a queste audizioni sullo stato di diritto e poi ha aggiunto: «Chiaramente i ministri italiani vogliono boicottare questa audizione».
«Figura pessima», ha aggiunto un europarlamentare. In effetti, una figura un po’ così per l’Italia con i funzionari che balbettano di fronte alle domande dei vari membri della Commissione su divieto di pubblicazione delle ordinanze, eventuali sanzioni a chi le diffonde e sul silenzio sulla riunione dell’estrema destra a Milano organizzata da un gruppo neonazista.
Le audizioni
Così, nella sala 6B54, l’audizione sullo Stato di diritto in Italia prevista per le 14 è andata avanti con gli eurodeputati attenti alle parole degli auditi: Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, ha raccontato la sua esperienza come vittima di spyware nel caso Paragon, ancora in attesa di una risposta dal Copasir su chi ha autorizzato lo spyware.
Sigfrido Ranucci ha ricordato le difficoltà dopo le querele ricevute dagli esponenti della maggioranza. E, a precisa domanda di uno degli europarlamentari, ha parlato dell’intenzione della Rai di tagliare risorse a Report. Tra gli auditi anche Citizen Lab, il laboratorio canadese che ha indagato sulle operazioni dello spyware Paragon e l’associazione Libera.
Sul fronte dei diritti invece Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, ha ricordato la circolare Piantedosi che blocca le trascrizioni dei figli delle coppie dello stesso sesso e il ddl varchi che criminalizza la gestazione per altri.
Roberta Parigiani, portavoce del Mit (Movimento identità trans), ha denunciato il forte arretramento dell’Italia sui diritti delle persone trans sotto l’attuale governo, accusando ministri e istituzioni di negare l’identità trans, ostacolare i percorsi di affermazione di genere e promuovere politiche discriminatorie, in contrasto con l’evoluzione europea.
«pensiero unico ostile»
Una fotografia dell’Italia che si rovescia alle 16:30, con la conferenza stampa di Fratelli d’Italia. «In Europa le commissioni hanno deciso che verdetto devono dare. È il pensiero unico ostile», ha attaccato l’eurodeputato Alessandro Ciriani. «L’Europa teme noi giornaliste italiane», ha rincarato Biancospino. «Non capisco perché una giornalista che lavora per una testata di destra è di destra mentre se di sinistra è oggettiva. Siamo poco affidabili perché siamo donne?».
E mentre la Rainbow Map 2025 di ILGA-Europe certifica una discesa dell’Italia al 35esimo posto su 49 paesi per tutela dei diritti Lgbt, si è collegato da remoto Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia che nell’annunciare censura, violenza e minacce contro Pro Vita ha annunciato «l’invio di una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, per chiedere se all’interno dell’Unione esistano cittadini di serie A e cittadini di serie B».
«Questo è un tentativo di influenzare il nuovo documento sullo stato di diritto che uscirà a luglio», ha concluso Procaccini, ancora scottato per non essere stato in grado di inserire nella lista degli auditi della Commissione i nomi vicino al governo, facendo infuriare la premier.
«Una censura» dice. In realtà, come già raccontato da Domani, i nomi non sono stati accettati per mancanza di pertinenza e per un errore procedurale da parte di Procaccini, che ha agito troppo tardi. A margine il commento della giornata lo firma il pentastellato Pedullà: «L’Unione europea censura le fake news, mentre è Fratelli d’Italia a essere una fake news vivente».
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