«In una democrazia europea, un primo ministro non reagisce alle critiche intimidendo per vie legali scrittori o giornali come Domani», dice David Diaz-Jogeix di Article 19.

La sintesi della missione urgente di due giorni condotta a Roma dalle organizzazioni internazionali per la libertà di stampa è questa: gli attacchi condotti nell’èra Meloni rappresentano un caso inedito per un paese fondatore dell’Unione europea, e avvicinano l’Italia invece a paesi come l’Ungheria, nei quali si è ormai compiuta una torsione illiberale. Nei processi di autocratizzazione, le libertà di espressione e di stampa sono le prime a essere colpite. La Commissione europea ha aspettato troppo tempo senza intervenire, negli anni in cui Viktor Orbán ha trasformato il suo paese in senso dispotico. L’Europa non può permettersi di fare altrettanto con l’Italia di Meloni.

Una deriva orbaniana

«Non è soltanto la nostra missione a essere urgente, ma è urgente soprattutto fermare le derive in corso in Italia. Sappiamo cosa succederà se non verranno bloccate in tempo», dice Renate Schroeder della Federazione europea dei giornalisti (Efj), che fa parte della missione di Media Freedom Rapid Response.

«Sono di stanza a Bruxelles da trent’anni e non bastano le dita delle mani per contare tutte le volte che in passato ho allertato la Commissione europea sulle derive in corso in Ungheria. Ma per lungo tempo ha chiuso gli occhi, ha trascurato la cosa. Oggi a Bruxelles è chiaro che questo è stato un errore gravissimo, e nel frattempo Orbán ha potuto portare a compimento la sua deriva autoritaria. Gli attacchi alla libertà dei media a cui assisto in Italia con Meloni la allontanano dagli altri paesi fondatori e la avvicinano a Est. È fondamentale agire in tempo. Confido che Bruxelles abbia imparato la lezione».

La rappresentanza della Commissione europea è tra le istituzioni che la missione ha incontrato nella sua due giorni romana, ma già prima, direttamente a Bruxelles, la Federazione europea dei giornalisti aveva allertato più di un commissario.

«Nei processi di autocratizzazione, la libertà di stampa e quella di espressione sono le prime a essere colpite. Perciò ci preoccupa l’elevato numero di allerte che arrivano dall’Italia», dice Sielke Kelner di OBC Transeuropa. Quest’organizzazione, assieme a Efj, Article 19, European Centre for Press and Media Freedom (Ecmpf), Free Press Unlimited (Fpu) e International Press Institute (Ipi), fa parte del consorzio di Media Freedom Rapid Response, il progetto finanziato dalla Commissione europea proprio per monitorare le violazioni della libertà dei media negli stati membri Ue e nei paesi candidati.

«Ci rammarichiamo che nessuno dei rappresentanti della maggioranza abbia voluto incontrarci», prende atto Kelner, che ha spedito decine di inviti, declinati dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, dal suo vice Francesco Paolo Sisto, dalla presidente della commissione Giustizia del Senato Giulia Bongiorno, e da tutti i parlamentari di maggioranza contattati. «Non è mai capitato in altre missioni europee che un governo rifiutasse del tutto di incontrarci», fa presente Schroeder (Efj).

Le raccomandazioni

«In una democrazia europea non è concepibile che quando i giornalisti sollevano il tema di un conflitto di interessi, il ministro interessato si attivi e che si vada a caccia delle fonti dei giornalisti», nota Diaz-Jogeix di Article 19 riferendosi al caso Crosetto-Domani.

Oltre a un report di missione che verrà prodotto nei prossimi mesi, la Media Freedom Rapid Response anticipa alcune raccomandazioni per riportare il paese «in linea con gli standard europei e internazionali». Da esse si può insomma desumere fino a che punto l’Italia di Meloni stia andando nella direzione opposta a quella dell’Ue, che in questa legislatura si è dotata di uno European Media Freedom Act (Emfa) e di una legge europea anti querele bavaglio (“slapp”).

Si comincia dalla Rai, che è tra i dossier che hanno spinto ad anticipare la missione, assieme ai casi Agi e Domani (le organizzazioni che compongono la Media Freedom Rapid Response sono tra i firmatari dell’appello internazionale contro gli attacchi a Domani). «Raccomandiamo – sintetizza Kelner – una riforma esaustiva della legge Renzi che porti l’Italia in linea con l’articolo 5 dell’Emfa, il quadro normativo Ue al quale Roma dovrà adeguarsi entro agosto 2025». Ad esempio «i membri del cda devono essere nominati in modo indipendente».

Roma deve riavvicinarsi a Bruxelles anche per quel che riguarda le querele bavaglio, sulle quali il governo Meloni è campione, non solo per il numero elevato di “slapp” ma anche perché provengono pure da membri dello stesso esecutivo. «Esortiamo a una piena depenalizzazione della diffamazione, e alla previsione di una archiviazione tempestiva delle slapp invertendo l’onere della prova, così come altre misure che allineino alla legge Ue anti slapp».

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