A prima vista, la nuova udienza del caso Ilaria Salis che si è tenuta questo venerdì a Budapest avrebbe potuto sembrare diversa da quelle precedenti: la 39enne, ora anche candidata alle europee, aveva stavolta fianchi liberi da guinzagli, piedi e braccia senza catene. E soprattutto è arrivata al tribunale della capitale ungherese non da una cella ma da una casa, visto che da poco le erano stati concessi i domiciliari in Ungheria.

Ma sotto l’apparenza più soft, tornano sùbito le anomalie. È anzitutto la mossa del giudice ungherese di rivelare pubblicamente l’indirizzo di Ilaria Salis ad aver suscitato le reazioni sia della famiglia – che torna quindi a chiedere i domiciliari in Italia – che dell’ambasciatore italiano a Budapest.

Le anomalie e gli sviluppi

Ma anche il processo in sé, e il racconto che ne fa la stampa orbaniana, sono indicativi di quanto il governo ungherese amico di Giorgia Meloni stia trattando la vicenda in modo non neutrale. «Vuol trasformarsi da disoccupata a milionaria»: è così che i giornali filogovernativi trattano Salis, oltre a catalogarla come «estrema sinistra».

Anche il fatto che l’uomo aggredito a febbraio 2023 chieda 26mila euro a Salis ma al contempo ammetta – pure questo venerdì in udienza – di non avere elementi per accusare proprio lei, renderebbe tutta la vicenda a tratti farsesca, se non avesse effetti concreti per l’accusata.

Ulteriori sviluppi sono attesi per il 6 settembre – la data nella quale il processo è stato aggiornato – sempre che il reclamo presentato dall’ambasciatore, e altri tipi di interventi diplomatici, non sblocchino la situazione prima. Questo venerdì il giudice ha prorogato di mezzo anno la custodia cautelare. Il verdetto vero e proprio è atteso per novembre.

Prima di tutti questi snodi processuali, ci sono comunque le elezioni europee di giugno: Ilaria Salis partecipa come candidata all’Europarlamento di Alleanza Verdi e Sinistra.

Testimonianza monca

Questo venerdì all’udienza è stato ascoltato Zoltán Tóth, l’uomo aggredito nel giorno della marcia neonazista del 10 febbraio 2023, che spiega gli abiti militari indossati quel giorno «mentre uscivo dall’ufficio postale e andavo a lavoro» con la sua appartenenza a una «associazione che preserva la tradizione».

Nella sua testimonianza riferisce che «hanno iniziato a colpirmi in testa da dietro, non capivo nemmeno cosa stesse succedendo, e subito dopo ero sdraiato sulla schiena cercando di proteggermi petto e viso con le mani. Sono rimasto cosciente, ho visto sei volti mascherati sopra di me. Avevano i volti coperti: non ho avuto la possibilità di riconoscerne nessuno. Poi mi hanno anche spruzzato spray in faccia».

Tóth chiede a Salis di risarcirlo – e riferisce di portare tuttora i segni dei colpi alle costole – ma anche questo venerdì ha confermato di non aver potuto riconoscere specificamente in lei l’aggressore, anche perché il gruppo indossava maschere che ne occultavano il volto. «Non ho potuto riconoscere nessuno di loro».

Secondo l’accusa si tratta di Salis, mentre la difesa ha sottolineato che questo venerdì «due testimoni e una presunta vittima, convocati dal giudice, non hanno riconosciuto Salis».

Indirizzo e leva diplomatica

I legali di Salis contestano anche il fatto che «divulgare l’indirizzo del domicilio della nostra assistita, vittima di minacce da tempo, è una gravissima violazione della privacy alla quale ora bisogna rimediare perché è a rischio la sua sicurezza».

Questo venerdì, non appena il giudice ungherese József Sós ha reso pubblica quell’informazione, Roberto Salis, il padre di Ilaria, ha protestato; si è girato verso l’ambasciatore italiano a Budapest, Manuel Jacoangeli, dicendo che «bisogna fare qualcosa».

La richiesta ha avuto un seguito, perché a fine udienza Jacoangeli ha reso noto che «a seguito della divulgazione dell’indirizzo da parte del giudice abbiamo fatto sùbito una nota alle autorità ungheresi segnalando quanto avvenuto e chiedendo l’adozione di tutte le misure necessarie per garantirle la sicurezza».

Il caso dell’indirizzo svelato diventa una importante leva per riportare Salis in Italia. I legali della donna fanno presente che «deve muoversi la diplomazia, noi insisteremo con la richiesta di libertà o per riportarla comunque in Italia».

Trattamento orbaniano

«La violazione della privacy è una delle violazioni in un processo non equo», dicono gli avvocati di Salis, mentre il padre pure insiste: «Non mi pare un processo giusto».

È un dato di fatto che il governo Orbán abbia dato Salis per colpevole a processo in corso, e che i ministri megafono del premier ungherese come Zoltán Kovács e lo stesso ministro degli Esteri abbiano politicizzato il caso, accendendo il clima e mettendo il peso dell’esecutivo sulle accuse contro l’italiana.

La stampa filogovernativa ha proseguito negli scorsi giorni l’opera: «L’attivista italiana di estrema sinistra che ha fatto la caccia all’uomo ha quarant’anni e non ha mai avuto un lavoro fisso, ora potrebbe trasformarsi da disoccupata a milionaria», ha scritto Magyar Nemzet riferendosi alla candidatura da eurodeputata.

La macchina del fango rientra in una più ampia campagna d’odio orbaniana contro la sinistra, come ha già denunciato in un’intervista a Domani il deputato András Jámbor.

© Riproduzione riservata