Se date retta alla propaganda orbaniana vi convincerete che il governo ungherese stia stringendo sempre più affari con la Russia sull’energia, e che stia andando allo scontro frontale con Ue e Usa. Questa è la finzione creata ad arte da Viktor Orbán e dal suo entourage.

La vera storia è un’altra, ed è una notizia bomba: in realtà il governo ungherese, sotto la pressione di Washington che minacciava sanzioni, si è diretto al Cremlino questo mese proprio per gestire un divorzio: quello di Rosatom dal progetto di ampliamento della centrale nucleare ungherese. Rosatom si prepara a lasciare il controverso progetto Paks 2, e la Francia viceversa si attrezza per subentrare. Orbán è andato apposta all’Eliseo a preparare questo scenario.

Le notizie filtrate già qualche giorno fa da fonti ungheresi a Domani iniziano ora a trovare anche i primi riscontri pubblici, in alcune affermazioni del ministro dell’Ufficio del premier, Gergely Gulyás, fedelissimo di Orbán.

Il progetto Paks 2

Una centrale nucleare Paks esiste già, nel sud dell’Ungheria, nella zona di Tolna; è stata costruita in cooperazione con l’allora Unione sovietica e inaugurata negli anni Ottanta.

Nel 2009, l’anno prima che Orbán tornasse al governo, c’è stato un incontro tra lui e Putin, momento chiave dell’avvicinamento tra i due; e sempre nel 2009 il parlamento ungherese ha approvato il piano di ampliamento della centrale Paks. La spinta alla cooperazione con Mosca è intervenuta poi con Orbán al governo, e in condizioni di grande opacità.

All’inizio del 2014 gli ungheresi hanno appreso che è stato siglato un accordo con la Russia per due nuovi reattori; l’accordo era stato però già definito l’anno prima, in segretezza, dal premier con la compagnia russa Rosatom, ignorando il lavoro di documentazione dei tecnici ungheresi e lasciando a Mosca condizioni favorevoli. Il progetto Paks 2 comporta per i contribuenti ungheresi oltre 12 miliardi di esborso.

La realtà parallela di Orbán

In apparenza, l’aggressione della Russia contro l’Ucraina non ha in alcun modo alterato i piani di cooperazione tra Budapest e Mosca.

A febbraio 2022 – pochi giorni prima che la guerra deflagrasse – Orbán è andato al Cremlino. Ad aprile di quello stesso anno, subito dopo la sua rielezione, il premier ha confermato che i progetti con Mosca sarebbero andati avanti, condendo il tutto con dichiarazioni come: «Se dobbiamo pagare in rubli, pagheremo in rubli».

Ad agosto il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, lo stesso che era stato insignito della medaglia dell’amicizia dal Cremlino, e che è la punta filorussa del governo Orbán, ha rilanciato il progetto. «Entra in una fase nuova», ha detto dopo essersi recato a Mosca e aver poi ottenuto dalla authority ungherese per l’energia atomica che sbloccasse la costruzione dei nuovi reattori.

L’ultimo coup de théâtre del ministro risale a questo mese: l’11 aprile Péter Szijjártó era a Mosca. E ha annunciato: «Ce la faremo! Paks 2 dev’essere costruito il prima possibile». Dal Cremlino ha poi dichiarato che «dopo lunghe trattative è stato appena raggiunto l’accordo sulla modifica del contratto di costruzione e finanziamento per l’espansione di Paks».

Il ministro ha affermato che l’aggiornamento del patto era necessario per le tecnologie in evoluzione, non per la guerra né per le sanzioni. Il messaggio che ha fatto passare all’esterno è che la cooperazione russo-ungherese sull’energia fosse persino in aumento. Ma la certezza è un’altra: l’11 aprile al Cremlino l'accordo iniziale è stato emendato.

Il vero dietro le quinte

Nelle stesse ore l’Ungheria era sotto pressione: gli Stati Uniti tramite la loro ambasciata a Budapest facevano filtrare la notizia di sanzioni contro l’establishment ungherese, e il 12 aprile hanno concretizzato misure contro la Banca di investimenti russa a Budapest. Nel giro di pochi giorni, la Russia ha annunciato che l’istituto bancario sarebbe rientrato a Mosca.

Da Budapest fonti ben informate indicano a Domani che in realtà la visita di Szijjártó a Mosca è servita proprio per gestire un divorzio sul progetto. Il 20 aprile sono arrivati i primi segnali ufficiali, guarda caso ripresi da agenzie di stampa russe: Gergely Gulyás, il ministro dell’Ufficio del premier ungherese, ha ammesso che nella cornice attuale «Rosatom potrebbe non lavorare come general contractor» e che «una società può rilevare l'investimento».

La Francia che subentra

Sia Szijjártó che Gulyás, i due ministri del governo Orbán, si parano dietro il vaglio del nuovo accordo da parte della Commissione Ue, e non intendono renderlo pubblico prima.

Ma la verità è che il premier in persona è già alacremente al lavoro sul dossier. Fonti ungheresi fanno risalire un passaggio fondamentale al 13 marzo, quando Orbán ha cenato all’Eliseo con Emmanuel Macron, formalmente per parlare della guerra in Ucraina e di «altri dossier». Uno dei dossier in verità è Paks 2, e il subentro della Francia alla Russia.

La francese Framatome era già stata coinvolta anni fa, con la Germania, anche per sbloccare il via libera di Bruxelles sul dossier. Dopo la guerra, Berlino ha storto il naso per la partecipazione di Siemens al progetto, ed è filtrata l’interpretazione che Framatome dovesse quindi supplirle. Ma la verità è che il premier ungherese sta lavorando perché possa subentrare a Rosatom.

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