Mercoledì scorso, mentre la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock rientrava in Germania, lo staff del cancelliere Olaf Scholz limava gli ultimi dettagli del viaggio che il capo del governo avrebbe affrontato solo due giorni dopo. Ma mentre lui era diretto a Pechino e aveva ricevuto critiche da alleati e avversari, la sua ministra era di ritorno da Astana e Tashkent, che aveva visitato per proporre a Kazakistan e Uzbekistan una collaborazione economica più stretta con Berlino.

La verde Baerbock è da tempo in rotta di collisione con il suo capo. I Verdi sono riusciti a inserire nel contratto di governo siglato dopo le elezioni tra i partner della maggioranza l’impegno per un cambio di linea nei rapporti con la Cina. Il viaggio a Pechino di Scholz, primo capo di governo a visitare Xi Jinping dopo la pandemia, e le sue decisioni economiche delle ultime settimane sembravano andare in tutt’altra direzione, verso il più classico dei “Weiter so”, “continuiamo così”, una delle parole d’ordine più ricorrenti nella politica tedesca. 

La linea di Scholz

Scholz con il viaggio ha scontentato i partner europei, ma gli alleati di governo sono rimasti forse ancora più irritati dal via libera del cancelliere all’acquisto del 24,9 per cento di uno dei quattro terminal del porto di Amburgo da parte di Cosco, la controllata statale di Pechino che domina nel settore dei trasporti marittimi. Resta sul tavolo anche la vicenda Elmos: la controllata di un’azienda cinese è interessata ad acquistare produttore di chip di Dortmund, ma anche in questo caso, nonostante i consigli di ministeri e servizi segreti, Scholz sembra intenzionato a non volersi mettere di traverso. 

Baerbock non ha risparmiato critiche, anche piuttosto esplicite, alle decisioni del cancelliere, ma il suo ultimo viaggio fa seguire i fatti alle parole, in attesa di volare lei stessa in Cina: in valigia vuole avere una strategia inattaccabile, su cui secondo la stampa tedesca stanno lavorando i suoi collaboratori più fidati.

Oltre a ricordare l’accordo inserito nel contratto di governo, la ministra ha risposto in maniera molto diretta a una domanda sulla trasferta di Scholz a Pechino proprio mentre era a Tashkent. Il cancelliere in Cina avrebbe dovuto riportare i messaggi comuni del governo federale e rendere chiaro che «le condizioni di concorrenza, i diritti umani e il riconoscimento del diritto internazionale sono le nostre basi per la cooperazione internazionale, in Asia centrale e nel resto del mondo». 
 

La strategia di Baerbock

Che Baerbock non apprezzi la linea del cancelliere è evidente, ma con il suo viaggio ha fatto seguire i fatti alle parole. Attraverso un’attenzione mai vista di Berlino per i due paesi dell’Asia centrale la ministra vuole offrire alla politica e all’economia tedesca anche un’alternativa agli investimenti in Cina. Non a caso è stato il primo viaggio in cui Baerbock si sia fatta accompagnare da una delegazione di imprenditori tedeschi interessati al ricchissimo sottosuolo dei due paesi, che abbonda di oro, argento, rame e altri metalli rari. 

La dinamica speculare al viaggio di Scholz, che è volato a Pechino in compagnia di una rappresentanza economica, è spezzata però dall’aspirazione di Baerbock di ottenere dai paesi della regione anche un patto per quanto riguarda rispetto dei diritti umani, concorrenza e sviluppo sostenibile. Per dare anche prova tangibile del suo impegno, la ministra ha visitato un ex campo di lavoro sovietico, conversato con le alunne di una scuola che riceve fondi da Berlino e incontrato attivisti per i diritti umani.

L’ospite non ha ricevuto risposte chiare sui temi che più le interessano nella sua filosofia della politica estera femminista, ma lei stessa riconosce che il cambiamento «non è un passo immediato». Il messaggio è comunque chiaro: affari e diritti non si escludono. Né in Asia centrale, né in Cina. 

Sfera d’influenza

La sua versione personale di “Wandel durch Handel” (la dottrina di politica estera inaugurata da Willy Brandt per ricostruire un legame con l’Europa dell’est dopo la guerra attraverso i rapporti economici) non le ha per il momento garantito certezze non sono arrivate sui diritti. Le rassicurazioni sono mancate però anche sulla seconda missione che Baerbock si era prefissata.

Il suo obiettivo coincide con quello di Washington, che ha raccomandato ripetutamente all’occidente di investire su altre regioni dell’Asia che possano creare un contrappeso economico e politico alla potenza cinese.

L’amministrazione Biden ha puntato sui Verdi nelle elezioni del 2021 e ora sta raccogliendo i frutti. Jürgen Trittin, ex ministro e volto storico della politica estera verde, oggi responsabile Esteri del partito in un recente comunicato è andato dritto al punto: «La via che può rafforzare sovranità e resilienza europee nei confronti della Cina è quella dell’ulteriore diversificazione dei rapporti europei nell’area asiatica».

La ministra ha dedicato tre giorni all’Asia centrale anche per allontanare Kazakistan e Uzbekistan dalla sfera d’influenza di Cina e Russia. «Ci tengo al fatto che il vostro futuro non sia solo la scelta tra la stretta camicia di forza nel cortile russo e la dipendenza dalla Cina», dice Baerbock, che ci ha anche tenuto a elogiare la decisione di Astana di smarcarsi dalla linea russa dall’inizio del conflitto ucraino e di non riconoscere le repubbliche autoproclamate su territorio ucraino. 

Dopo questa prima visita i due paesi sembrano ancora restii a uscire dall’ambiguità, anche perché sono legati a Mosca dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. Nelle conferenze stampa che sono seguite agli incontri gli interlocutori di Baerbock hanno preferito parlare dei progetti comuni che Berlino contribuirà a finanziare, come la produzione di idrogeno verde nel mar Caspio e dei 300 miliardi di euro che l’Unione europea stanzierà per il programma che sfida la Nuova via della Seta, Global Gateway. Una parte dei soldi destinati a paesi in via di sviluppo potrebbe finire nelle loro tasche. 

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