La socialdemocrazia è a terra. I Genossen tedeschi hanno rispedito in gara il cancelliere uscente Olaf Scholz, che pur raccogliendo alla fine del suo mandato una certa simpatia da parte dell’elettorato, ispirato anche dalla brutta fine della sua coalizione di governo, condannata a morte dal liberale Christian Lindner, ha portato a casa il peggior risultato della storia di un partito dalla storia ultracentenaria come la Spd. Mai nella storia della Bundesrepublik, la formazione attiva dal 1863 era giunta così in basso. Nel 2017 Martin Schulz aveva consegnato alla storia una performance del 20,5 per cento, ma Scholz (dopo aver raggiunto di nuovo il 25 per cento dei consensi) ha saputo fare di peggio. Ora, un po’ suo malgrado, la Spd siede di nuovo al tavolo delle trattative. Con un peso sulle spalle di tutto rispetto, la consapevolezza del fatto che se falliscono le trattative, il primo partito a beneficiarne sarebbe l’estrema destra, già pronta a chiamarsi Volkspartei, quel titolo di “partito del popolo” di cui prima si fregiavano soltanto la Cdu e, appunto, la Spd. 

Il nuovo leader

Il partito è entrato nelle trattative con un leader che si propone come nuovo ma tanto nuovo non è. Si tratta di Lars Klingbeil, capo del partito dal 2021 insieme a Saskia Esken, ma da sempre frontman dei socialdemocratici: dopo il voto è stato anche eletto capogruppo al Bundestag. Il risultato non è stato indimenticabile (ha votato a favore l’85,6 per cento dei parlamentari) ma è sufficiente. 

«Decente», l’ha chiamato la giovane (mica tanto, è classe ’78) promessa della Bassa Sassonia che sfiora i due metri e ha iniziato la sua carriera politica nell’ufficio sul territorio nientemeno che di Gerhard Schröder, che poi di quel Land era diventato governatore, prima di conquistare all’inizio degli anni Duemila tutto il paese. Ora, questo suo erede nello spirito – dopo l’elezione a capogruppo ha inserito nel suo vestiario una cravatta d’ordinanza che prima non aveva mai portato e oltre ad accettare il suo incarico si è detto pronto «anche a qualcosa di più» – ha il compito non facilissimo di rilanciare la socialdemocrazia. Ambizioso, al Bundestag dal 2005, conosce il partito come le sue tasche grazie anche ai quattro anni da segretario generale – quel ruolo un po’ “b-side” del leader che gestisce la macchina – e può già vantare un successo. Quello, non banale, di aver agevolato la scelta di Friedrich Merz di prendere le distanze dal feticcio della Schwarze null, lo zero nero del pareggio di bilancio che la sua Cdu ha addirittura scelto di ancorare in Costituzione. 

«È una medaglia che, così come il fondo speciale per le infrastrutture, la Spd potrà appuntarsi sul petto» dice Wolfgang Schroeder a Domani. Il politologo dell’università di Kassel con un passato da sottosegretario per il Lavoro del Brandeburgo vede più possibilità di lasciare un segno in una coalizione con la Cdu che nel governo della coalizione Semaforo zavorrato a suo parere dalla Fdp. «Se alla fine si riesce a intervenire sulle ragioni che nella vita di tutti i giorni scontentano i cittadini, alla fine il partito sarà in una posizione migliore di prima». 

Questioni di merito

La questione, a parte la presenza sempiterna della Spd in troppi governi (soprattutto le tante grandi coalizioni dell’epoca Merkel) è anche di facce. Dopo la sconfitta al voto, Scholz si è fatto da parte, rinunciando a partecipare alle trattative per la formazione del governo. In tanti hanno chiesto un cambiamento del personale di punta: tra i più aggressivi, gli Jusos, i membri dell’organizzazione giovanile, che non hanno apprezzato la scelta di Klingbeil di non assumersi la responsabilità, almeno parziale, della sconfitta. Il segretario Philipp Türmer, in un’intervista allo Spiegel, ha spiegato che la scelta del candidato cancelliere è stata sbagliata: sullo sfondo rimane la strada non presa della candidatura di Boris Pistorius, il popolare ministro della Difesa che ambisce alla riconferma.

Resta da capire anche il suo ruolo nel futuro del partito, dove finora è stato lasciato sullo sfondo. «Pistorius è anche una superficie di proiezione dei desideri. È chiaro nella sua linea, sta in giro da poco tempo» dice ancora Schroeder. Ma non provare nemmeno a candidarlo perché, è il ragionamento che circola nel partito, Scholz e lo stesso Klingbeil non avevano intenzione di dare luce a un potenziale concorrente non è stata una buona mossa: «Avrebbe dato un altro respiro alla campagna elettorale e stimolato la curiosità nei confronti del partito». Secondo il professore, però, per ottenere un vero ricambio generazionale mancano anche i profili adatti: «Nella scorsa legislatura il gruppo parlamentare della Spd si è ringiovanito parecchio, ma nessuno se n’è accorto, perché non si è segnalato nessun vero astro nascente».

Il problema, secondo il politologo, è il fatto che, nonostante i temi su cui si fonda la Spd siano di rilevanza per l’elettorato – lo dimostra il grande successo elettorale della Linke, che ha spinto su questioni “di sinistra” come il tetto agli affitti e l’attenzione al welfare – gli interpreti che li rappresentano non sono credibili. «È dalla fine degli anni ‘00 che il partito è in una crisi di rappresentazione. L’elettorato originario, le persone comuni, si sono allontanate col tempo mentre il partito si imborghesiva sempre di più: oggi la Spd è diventata un partito di funzionari, avrebbe bisogno di riportare dentro più operai e dovrebbe scegliere vie più difficili, riprendendo a confrontarsi con chi non lo vota più». 

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