C’è il blackout della televisione, ci sono le zuffe, c’è il fatto che proprio questo mercoledì il presidente della Repubblica polacco presenterà, sotto forma di disegno di legge, la sua trappola per Donald Tusk. Ci sono insomma quei dettagli così coloriti che neppure un fine sceneggiatore avrebbe saputo tratteggiarli in anticipo. Ma per il resto, che il cambio di governo in Polonia sarebbe stato un terremoto politico era chiaro sin dall’inizio di questa storia, cominciata il 15 ottobre scorso con una affluenza record alle urne e con la vittoria dell’opposizione.

Da quel momento, Tusk ha avuto una promessa da compiere: restituire ai polacchi democrazia ed europeismo. Viceversa, gli ultraconservatori del Pis – alleati di Giorgia Meloni in Europa – si sono preparati ad aggrapparsi al potere e a rendere l’alternanza quantomeno difficile.

«No to zapinamy pasy. Bene, adesso allacciamoci le cinture», ha avvertito non a caso Tusk, quando dopo due mesi di attesa e dopo il tentativo fallito di Mateusz Morawiecki di restare premier, a metà dicembre si è finalmente insediato con il suo nuovo governo. Nel giro di pochi giorni è successo di tutto: Viktor Orbán ha preso atto che «il gruppo di Visegrád è su un binario morto», mentre la Polonia è rientrata nel gruppo degli «amici della rule of law» e i fondi europei sono stati sbloccati.

Le femministe che una volta protestavano per il diritto all’aborto, oggi sono al governo. I quadri dirigenti dei media pubblici, che erano diventati una macchina di propaganda, sono stati cambiati nottetempo dall’esecutivo, in un processo di liberazione dal Pis che presenta non pochi paradossi. E altrettanto paradossale è la reazione del Pis, con il presidente della Repubblica Duda che ora blocca la legge di Bilancio di Tusk in nome dei «principi democratici e dello stato di diritto». È in campo anche l’ipotesi che il suo sabotaggio si concluda con la convocazione di nuove elezioni. L’èra Tusk inizia con grandi speranze – su scala europea – e notevoli ostacoli. «Allacciate le cinture».

Duda e la trappola televisiva

«Ho deciso di porre il veto alla legge di Bilancio 2024»: con questo belligerante messaggio, Duda ha lasciato sotto l’albero una grana per Tusk. Il quale ha esibito serenità: «Nemmeno il Grinch è riuscito a rovinare questo Natale». I poteri di veto presidenziali restano il principale freno per un premier che può contare su una chiara maggioranza parlamentare. Secondo Bartosz Wieliński, il vicedirettore di Gazeta Wyborcza, «il piano del Pis per rimuovere Tusk dal potere è questo: convincere Duda a inviare la legge finanziaria alla Corte costituzionale, che dichiarerà non valido il bilancio, consentendo così lo scioglimento delle camere e nuove elezioni».

Duda – che ha conquistato la presidenza a luglio 2020 con una campagna quantomai omofoba e aggressiva, per poi indossare la giacca inamidata del pontiere con Washington – resta un punto di riferimento per il Pis, che non appena Tusk ha vinto le elezioni ha individuato nel presidente il principale intralcio per i nuovi arrivati. «In Polonia un governo guidato da Tusk avrà contro il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e la tv pubblica», aveva pronosticato subito dopo il voto Sławomir Mentzen, il leader dei neofascisti di Konfederacja.

L’occasione per il veto natalizio è tanto formidabile quanto paradossale: Duda, che ha lasciato correre le derive antidemocratiche del Pis, sostiene ora che la legge di Bilancio tuskiana vada fermata perché «prevede tre miliardi di złoty per i media pubblici» ma con Tusk ci sarebbero state «violazioni di Costituzione e stato di diritto» per cui «i media pubblici devono prima essere sistemati in modo affidabile e legale». Il presidente ha perciò annunciato un suo disegno di legge, contrapposto a quello di Tusk ovvero senza lo stanziamento per i media, e che verrà ufficializzato questo mercoledì.

Un tempo di paradossi

Prima di Natale, la nuova maggioranza parlamentare ha approvato una risoluzione nella quale sollecitava «il ripristino di un imparziale accesso alle informazioni». A farsene carico è stato poi Bartłomiej Sienkiewicz. Attualmente ricopre l’incarico di ministro della Cultura, probabilmente proprio perché Tusk aveva previsto che dovesse gestire queste manovre: Sienkiewicz non è uomo di lettere, ma semmai uomo avvezzo a manovre delicate, esperto di intelligence ed ex ministro degli Interni di un precedente governo Tusk, dal quale aveva dovuto dimettersi per uno scandalo. Sfruttando un codice relativo alle società commerciali, l’attuale ministro della Cultura ha scavalcato il Consiglio nazionale dei media (organo creato dal Pis) e si è arrogato il diritto di rimpiazzare i vertici di tv (Tvp), radio (Polskie Radio) e agenzia di stampa (Pap) statali.

Il repulisti è stato talmente vertiginoso da comportare pure la perdita di segnale e il temporaneo blackout della tv. Come spiega bene Piotr Pacewicz, che negli anni Ottanta si occupava della rivista clandestina di Solidarność e oggi è caporedattore di Oko Press, «ci attende un tempo di paradossi»: il modus operandi del nuovo governo suscita perplessità pure in chi auspica un ripristino degli equilibri nei media. Per alterare quegli equilibri, «il Pis aveva modificato la legge, mentre la nuova coalizione non lo ha fatto probabilmente temendo il veto presidenziale». Ma Duda ha trovato il modo di innescare comunque il veto. Nel frattempo – e a proposito del «tempo di paradossi» – i grandi smantellatori dello stato di diritto, e cioè gli esponenti del Pis con in testa il leader Jarosław Kaczyński, sono corsi a presidiare le sedi dei media statali urlando «wolne media» («media liberi»).

In loro supporto è accorso anche Robert Bąkiewicz, il neofascista picchiatore amico di Forza nuova che a ottobre è stato inserito nelle liste del Pis. Antoni Macierewicz, che da parlamentare Pis ha trasformato la sede dell’agenzia Pap nel suo presidio, è arrivato a fare a cazzotti con un dipendente perché voleva controllare lui gli ingressi. Mentre in Spagna i post franchisti di Vox accusano il premier socialista di «dittatura», in Polonia gli ultraconservatori – che avevano cambiato dna al paese – invocano «lo stato di diritto».

Una nuova Polonia in Ue

In realtà sul versante della rule of law il nuovo governo è a dir poco celere. Protagonista del ripristino dello stato di diritto è Adam Bodnar, il giurista popolarissimo anche tra i più giovani, che in qualità di ombudsman si era distinto per la sua difesa dei diritti durante l’èra Pis, e che da candidato al Senato con Tusk ha sfondato le 600mila preferenze. Appena nominato ministro della Giustizia, Bodnar ha avviato l’adesione della Polonia alla procura europea e ha dato segno di voler attuare le sentenze della Corte di giustizia Ue. Con il Pis, invece, la primazia del diritto europeo era stata scardinata (è il caso noto come “Polexit”).

Ripristinare anche l’indipendenza della magistratura – il vero tallone d’Achille della Polonia ereditata dal Pis – sarà più complesso che cambiare un board di una tv, ma rientra tra gli obiettivi di Bodnar. Orbán non potrà più spalleggiarsi con il governo polacco quando Bruxelles gli contesterà gli attacchi allo stato di diritto. L’inizio dell’èra Tusk è legato alla fine dell’èra precedente, e ciò spiega l’urgenza di cambiare vertici, o l’avvio di commissioni di indagine per indagare i misfatti del Pis. Non tutti i cambiamenti potranno essere radicali: ad esempio, la coalizione vuole eliminare le restrizioni all’aborto sopraggiunte con la sentenza del 2020, ma il piano di legalizzarlo fino a 12 settimane trova la resistenza dei centristi di Terza via.

La presenza di femministe di sinistra nei dicasteri degli Affari sociali (Agnieszka Dziemianowicz-Bąk), dell’Uguaglianza (Katarzyna Kotula) e dell’Educazione (Barbara Nowacka) segna comunque già una distanza abissale rispetto all’omofobia e misoginia del Pis, della sua propaganda e dei suoi ministri come Przemysław Czarnek.

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