Ma come, già gli eurodeputati guadagnano più di noi, e in più dobbiamo anche pagare i debiti accumulati con il loro fondo pensioni? E dopo tutte le battaglie in aula sul clima, ora scopriamo che quel fondo investiva nei combustibili fossili? Per non parlare delle bombe a grappolo, e di altri settori decisamente poco in linea con il pedigree etico dell’Europarlamento.

Sembra uno scandalo fatto apposta per scatenare l’opinione pubblica europea contro la casta brussellese, questo del fondo pensioni. Ed è una bomba pronta a esplodere sulla reputazione già malconcia dell’istituzione europea, attraversata in questi giorni dalla vicenda di corruzione qatariota e marocchina.

I nomi degli ormai ex eurodeputati iscritti al fondo sono ingombranti – c’è pure l’alto rappresentante Ue Josep Borrell, che dal fondo oggi riceve la pensione – e di ogni colore politico: dalla verde Monica Frassoni al radicale Marco Pannella, passando per il leghista Mario Borghezio e l’euroscetticissimo Nigel Farage, fino all’ex premier laburista maltese Joseph Muscat.

Alcuni, come Frassoni, hanno capito ben presto che in quel fondo qualcosa non tornava, e hanno smesso di versare i loro soldi; molti erano ignari degli investimenti poco etici. Ma se i passi falsi sono stati condotti da pochi, perché a pagarne le spese dovrebbero essere gli europei tutti, con le loro tasse?

C’è poi una questione attualissima. Anche se alcuni degli errori più vistosi risalgono ai tempi in cui il Regno Unito era ancora nell’Unione, e il green deal non era ancora entrato nell’agenda comune, c’è il nodo della trasparenza che l’Europarlamento – nonostante le belle promesse di autoriforma che sono seguite allo scandalo Qatar – tuttora rifiuta di affrontare. Non a caso la difensora civica europea Emily O’Reilly conferma a Domani che sta indagando sulla vicenda. A fare muro è anzitutto il vicepresidente Roberts Zīle, che viene dalla stessa famiglia politica di Giorgia Meloni.

Un fallimento annunciato

Il fondo pensioni al centro dello scandalo è un fondo integrativo al quale si aderiva su base volontaria e che era nato ormai più di trent’anni fa, nel 1990, quando ancora gli introiti degli eurodeputati dipendevano da ciascuno stato membro di provenienza. «Nel 2003 si è scoperto il buco di bilancio in questo fondo: si è capito che era in perdita, che negli investimenti qualcosa non tornava. L’anno dopo – io ero la capogruppo dei Verdi – ho smesso di contribuire al fondo e ho dato indicazione ai miei di fare altrettanto», dice Frassoni.

Chi ha gestito il fondo, e come? Nel 1994 è stata creata a tal fine una società di investimento a capitale variabile. Esiste un board che supervisiona – un ruolo chiave nella creazione e gestione del fondo lo hanno avuto alcuni ormai ex eurodeputati britannici, sia conservatori che laburisti – ma le scelte finanziarie sono state operate da compagnie private. Da un documento ufficiale del 2016 sappiamo che Deloitte era ingaggiata per i suoi servizi come società di consulenza.

EUobserver è riuscita a tracciare almeno in parte gli investimenti operati dal fondo, e sono decisamente incongruenti con gli ideali professati dall’aula: ci sono i titoli azionari nell’industria militare Usa produttrice di bombe a grappolo (Raytheon, Honeywell International, Textron Inc), ci sono le partecipazioni nella Royal Dutch Shell che a inizio anni Duemila era al centro dei riflettori per gli ecodisastri in Nigeria. Ci sono i colossi dei combustibili fossili e dell’energia inquinante.

Che il fondo fosse in perdita, era apparso chiaro già vent’anni fa, ed è anche per questo che è stato eliminato progressivamente dal 2009, l’anno in cui i membri dell’Europarlamento si sono dotati di un proprio statuto e non è stato più possibile accedere al fondo speciale; con lo statuto, stipendi e pensioni degli eurodeputati sono stati armonizzati, diventando una questione di bilancio comune. Ad aprile 2009, nonostante fosse chiaro all’epoca che il fondo era in perdita – quel mese risultava un deficit di 120 milioni – il bureau dell’Europarlamento ha impegnato l’istituzione a farsi carico della «responsabilità legale di garantire i diritti degli eurodeputati aderenti al fondo anche una volta esaurito».

L’Ue si sarebbe fatta carico di oneri e onori. La questione diventa dirimente oggi che il fallimento pare imminente: si parla di 400 milioni di deficit. Gli europei rischiano di dover pagare per il buco di bilancio di un fondo pensionistico privato, un fondo extra su base volontaria, e che ha operato scelte discutibili, non avendo vincoli né supervisione dell’Ue.

La trasparenza che non c’è

Il conservatore Roberts Zile, vicepresidente dell’Europarlamento, non garantisce la massima trasparenza sul caso del fondo pensioni. Foto Europarlamento)

Come se non bastasse lo scandalo Qatar, su quello delle pensioni l’Europarlamento non è trasparente a sufficienza. A fare muro è anzitutto Roberts Zīle, il vicepresidente incaricato, un conservatore lettone nominato vice dell’Europarlamento alle elezioni di metà mandato dell’anno scorso proprio grazie all’alleanza tattica tra i popolari di Weber e i conservatori di Fitto e Meloni.

Quando a Bruxelles i giornalisti hanno iniziato a fare domande sugli investimenti realizzati col fondo pensioni, gli è stato risposto che renderli pubblici avrebbe «messo a rischio gli interessi commerciali della compagnia privata responsabile del fondo». Peccato che in ballo ci siano anche interessi pubblici: non a caso la difensora civica Ue, Emily O’Reilly, sta indagando sul caso.

«Le rivelazioni sugli investimenti sono davvero terribili, viene da chiedersi se la gestione del fondo non abbia vissuto su un altro pianeta negli ultimi dieci anni», commenta l’eurodeputata liberale olandese Sophie in’t Veld.

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