A 18 giorni dal Budapest Pride, vietato dalle autorità ungheresi, la Commissione europea sceglie la linea della neutralità. Nessuna condanna ufficiale del divieto imposto dal governo di Viktor Orbán e nessuna garanzia di una presenza istituzionale al corteo previsto per il 28 giugno. È quanto emerge dalla risposta della presidente Ursula von der Leyen a una lettera inviata lo scorso 28 maggio da Alessandro Zan, europarlamentare del Partito democratico, firmata anche da altri 59 deputati europei.

Nella missiva, i parlamentari avevano espresso «profonda delusione e preoccupazione» rispetto alle notizie circolate sulla stampa, secondo cui la Commissione avrebbe sconsigliato ai propri membri di partecipare alla manifestazione. «In Ungheria – si legge – assistiamo a un’intensificazione degli attacchi contro i diritti fondamentali e i principi su cui si fonda l’Unione europea. Il divieto del Budapest Pride viola il diritto europeo e la Carta dei diritti fondamentali. Chiediamo che la Commissione si schieri con chiarezza dalla parte della libertà di manifestazione e dell’uguaglianza».

La risposta di von der Leyen arriva oggi, martedì 10 giugno. Nella lettera, precisa ma glaciale, la presidente della Commissione smentisce qualsiasi indicazione restrittiva ai suoi commissari: «Né io né alcun membro del mio staff ha scoraggiato la partecipazione al Pride. Al contrario, i commissari sono liberi di decidere in autonomia». Von der Leyen ribadisce inoltre il sostegno dell’esecutivo europeo alla comunità Lgbtq: «Difendiamo un’Unione dell’Uguaglianza, dove ognuno è libero di essere sé stesso e amare chi vuole. Il diritto di riunirsi pacificamente è sancito dalla Carta e rappresenta un elemento centrale delle nostre democrazie».

Nessuna condanna

Tuttavia, nella risposta non si fa riferimento diretto al divieto imposto da Orbán, né si annuncia una partecipazione ufficiale della Commissione alla manifestazione di Budapest. A nulla sono serviti neanche gli appelli lanciati dagli organizzatori del Pride come quello lanciato su questo giornale dal portavoce del Budapest Pride Máté Hegedűs: «Non riguarda solo la libertà della comunità Lgbtq, ma la libertà di tutti gli ungheresi di protestare e alzare una voce critica».

La comunità ungherese sfiderà il divieto, ben consapevoli che la nuova normativa voluta da Orbán consente l’uso del riconoscimento facciale per identificare chi organizza o partecipa a eventi non autorizzati. L’Unione europea, invitata a partecipare, non solo non ci sarà, ma non ha neanche espresso parole di condanna.

Ed è proprio questa omissione a suscitare la reazione di Zan: «È grave che la Commissione non condanni il divieto e non garantisca una sua presenza ufficiale. Troppo poco, di fronte a violazioni che si ripetono da anni. L’inazione rischia di essere al limite della complicità».

Secondo l’europarlamentare del Partito democratico la Commissione manca di coerenza: «Non si può denunciare Orbán alla Corte di giustizia per violazioni dei diritti fondamentali e poi restare in silenzio davanti al divieto di una manifestazione pacifica. Se vuole essere alleata delle persone Lgbtqia+, la Commissione deve dimostrarlo anche nei fatti, non solo a parole».

E ha confermato che sarà presente a Budapest il 28 giugno: «Per difendere il diritto di parola, il diritto di manifestazione e il diritto a essere sé stessi. Perché dove si vieta un Pride, si minaccia la democrazia». Secondo alcune fonti interne alla Commissione, la preoccupazione a Palazzo Berlaymont è che il governo ungherese possa strumentalizzare qualsiasi presenza europea come atto di ingerenza morale da parte delle “élite di Bruxelles”. Si teme insomma un’escalation, in contesto già compromesso dai ripetuti scontri istituzionali tra l’Ungheria e gli organi comunitari. Da qui la posizione di cautela.

Budapest: «La marcia è un pericolo per i bambini»

La delibera di divieto della polizia voluta da Orbán si richiama alla legge sulla protezione dei minori e alla recente modifica costituzionale, secondo la quale il diritto alla protezione dei minori precede ogni altro diritto fondamentale, compreso quello di radunarsi. Secondo la polizia la marcia «rappresenta un pericolo per i bambini».

In un parere reso noto il 5 giugno dalla Corte Ue, si stabilisce che la legge ungherese sulla protezione dei minori viola il diritto europeo. Nonostante questo il vicepremier (ministro della presidenza di Consiglio) Gergely Gulyas, rispondendo alle domande dei giornalisti al riguardo del divieto della polizia, ha commentato con un sarcasmo appena celato: «La marcia potrebbe essere fatta liberamente all'ippodromo a porte chiuse».

Adesso la posizione di neutralità della Commissione, arrivata dopo giorni di silenzio, riapre il dibattito sul ruolo politico della Commissione europea nella tutela dei diritti civili negli stati membri. Mentre Budapest continua a restringere lo spazio delle libertà pubbliche con un controllo sul dissenso e sulla società civile, Bruxelles sembra evitare lo scontro diretto.

Ma per una parte crescente del Parlamento europeo non è più tempo di ambiguità.

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