Il veto dell’Ungheria ha reso difficoltosa l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea (Ue) verso la Russia, a seguito dell’aggressione dell’Ucraina. Com’è noto, si è arrivati al varo a seguito di lunghe trattative sull’embargo del petrolio, e comunque dopo aver assolto anche all’ultima delle condizioni poste da Viktor Orbán, vale a dire la cancellazione del patriarca russo Kirill dalla lista delle persone colpite da misure restrittive.

Qualcuno si è chiesto se l’Ungheria, Paese che si pone frequentemente in contrasto con i principi fondanti e l’azione dell’Ue, possa esserne estromesso. Non esiste un meccanismo giuridico per espellere uno Stato membro. Ma vi sono altri rimedi che può essere utile indicare, e sul cui funzionamento può incidere la guerra in corso.

Procedura di infrazione

Negli ultimi anni, in diversi casi, l’Ungheria è stata oggetto di procedura di infrazione per violazione di diritti. Tale procedura – contemplata dal Trattato sul Funzionamento dell’Ue (Tfue, articoli da 258 a 260) - è avviata il più delle volte dalla Commissione Europea «quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati», per non aver attuato una norma europea oppure per aver operato, sul piano normativo o amministrativo, in modo incompatibile con essa.

Tale procedura è tesa a indurre il paese interessato a conformarsi ai principi derivanti dall’appartenenza all’Ue. La Commissione indica un termine entro il quale provvedere. Se il Paese non si adegua, lo può deferire alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (Cgue). Qualora, nonostante il pronunciamento della Corte, il paese continui a non modificare la situazione, la Commissione può nuovamente citarlo in giudizio, e la Corte può imporgli sanzioni economiche. Le sanzioni conseguenti a procedure di infrazione non sono di poco conto. Basti pensare che, secondo quanto risulta dalla relazione annuale della Corte dei Conti per il 2021, tra il 2012 e il 2020 l’Italia ha dovuto provvedere a «cospicui esborsi» a questo titolo, pari a circa 752 milioni.

La procedura da ultimo avviata contro l’Ungheria riguarda la legge, approvata nel giugno 2021, che – tra le altre cose - «vieta o limita l'accesso ai contenuti rivolti a minori di 18 anni in cui siano promossi e descritti “la divergenza tra la propria identità personale e il sesso attribuito alla nascita, il cambiamento di sesso e l'omosessualità”». I rappresentanti di 17 paesi membri dell’UE, tra cui l’Italia, in un documento congiunto definirono la legge ungherese come «una evidente forma di discriminazione». La norma violata dall’Ungheria è l'articolo del Trattato sull'Unione europea (TUE), ai sensi del quale «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini» (art. 2).

Regime di condizionalità

Siccome la procedura di infrazione è lunga e complessa, e soprattutto è difficile che porti all’eliminazione della violazione commessa o del mancato adempimento, l’Unione europea ha elaborato un ulteriore meccanismo, che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte di un paese membro dei principi dello stato di diritto. Come si legge sul sito dell’Ue, si tratta di un «regime generale di condizionalità» (regolamento 2020/2092), che consente all'Unione di adottare «misure come la sospensione dei pagamenti o le rettifiche finanziarie per proteggere il bilancio», qualora la Commissione constati che «le violazioni dei principi dello Stato di diritto incidono direttamente o rischiano seriamente di compromettere la sana gestione finanziaria del bilancio dell'Unione o degli interessi finanziari dell'Unione».

Sulla legittimità del meccanismo si è espressa favorevolmente la Cgue, respingendo i ricorsi di Polonia e Ungheria. I due paesi sostenevano, tra le altre cose, che esso costituisse un’interferenza indebita negli affari interni dei singoli Stati membri. La Corte ha affermato che il rispetto da parte di questi ultimi dei valori fondanti dell’Ue «definisce l'identità stessa dell'Unione quale ordinamento giuridico comune» e «giustifica la fiducia reciproca». Tale rispetto «costituisce quindi una condizione per il godimento di tutti i diritti» spettanti ai Paesi dell’Ue, e rientra nelle competenze dell’Unione difendere i suoi valori anche mediante il meccanismo in discorso.

Dopo la sentenza, la Commissione Ue ha sospeso l’iter di approvazione del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) ungherese, a causa soprattutto dei rischi di corruzione nelle gare di appalto. Si tratta del primo caso di attivazione del meccanismo di condizionalità. Invece, nei giorni scorsi è stato approvato il Pnrr della Polonia, a seguito dell’impegno del Paese a una riforma per l’indipendenza della magistratura. Secondo alcuni commissari Ue, e non solo, tale riforma sarebbe inidonea a conseguire il risultato. Ma forse nell’approvazione ha pesato maggiormente il ruolo di Varsavia nell’accoglienza di chi fugge dalla guerra e nel sostegno militare all’Ucraina.

L’opzione “nucleare”

Un ultimo meccanismo previsto nel Tue (art. 7) permette di «sospendere» alcuni diritti di uno Stato membro, «compresi i diritti di voto (…) in seno al Consiglio», in caso di violazione dei principi e dei valori previsti dal Trattato». Si tratta della cosiddetta opzione “nucleare”, poiché reputata l’alternativa finale, e scatta dopo che venga constatata dal Consiglio Ue, con voto all’unanimità, «l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2», sopra citato. Tale procedura mira a indurre lo Stato interessato a porre fine a tale violazione, e in ciò si differenzia dal meccanismo di condizionalità, che invece mira a proteggere il bilancio dell’Unione, in caso di una violazione che può compromettere il bilancio stesso.

L’opzione “nucleare” avrebbe dovuto tutelare la compattezza dell’Unione, e viceversa. Ma è bastata “l’alleanza” fra due stati membri dell’Ue, com’è accaduto fra Polonia e Ungheria, per neutralizzare l’opzione, che si fonda sul voto all’unanimità, come detto. Entrambi i paesi, a causa di violazioni dello stato di diritto, sono attualmente sottoposti a tale procedura, che tuttavia rimane bloccata poiché essi si “scudano” a vicenda.

Con l’inizio della guerra, l’omogeneità di posizioni tra i due stati sembra essersi alterata. L’atteggiamento dell’Ungheria nei confronti della Russia resta molto ambiguo, dal mancato invio di armi all’Ucraina agli ostacoli posti alle sanzioni europee. Se ciò porterà a uno sgretolamento del blocco, e quindi dell’intesa che, all’interno dell’Ue, tiene congelata l’opzione “nucleare”, è ancora presto per dirlo.

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