In un editoriale su Domani il professor Gianfranco Pellegrino, docente di Filosofia politica, ha sostenuto la necessità impellente ed ineludibile dell’ingresso nel già affollato codice penale italiano di un nuovo reato: il negazionismo ambientale.

Non se ne sentirebbe il bisogno a dire il vero: il moderno diritto penale italiano, improntato di suo ad una feroce visione giustizialista conosce già decine e decine di reati a tutela dell’ambiente, della salute, dell’ecosistema e degli animali. Si va da modeste fattispecie contravvenzionali ad ipotesi apocalittiche: inondazione, frana, valanga, crollo di costruzioni o altri disastri (434 c.p.), avvelenamento di acque e di sostanze alimentari ad ipotesi catastrofistiche come il disastro ambientale con pene fino a 15 anni. E siccome al legislatore italiano tutto ciò non sembrava abbastanza egli ha pensato anche di mantenere l’ipotesi di disastro innominato.

Insomma in caso di disastro, di qualsiasi tipo di disastro ( espressione volutamente vaga e di ampio respiro criminale) al supermercato dei delitti c’è vasta scelta per cui immaginare che si debba perseguire il professor Giovanni Orsina o Giuliano Ferrara semplicemente perché hanno dichiarato di trovare noiosi certi temi del catastrofismo ambientalista sembrerebbe eccessivo.

Eppure sarebbe un errore sottovalutare il segnale che Pellegrino ci lancia: egli è un autorevole, colto studioso e docente di filosofia politica. Come è mai possibile che un mite cultore di Karl Popper, John Stuart Mill, John Rawls e Thomas Khun possa auspicare parossisticamente che «si dovrebbe cominciare ad ammettere che il negazionismo climatico non è differente rispetto ad altri tipi di negazionismo, per esempio quello storico. Chi nega l’Olocausto può essere difeso in nome della libertà di opinione?». È un segno dei tempi.

Il paradosso insostenibile di una tale affermazione è del tutto evidente: Pellegrino nega il principio di proporzionalità, uno dei pilastri della nostra Costituzione per arrivare ad equiparare un tragico e documentato evento storico alla legittima confutazione di tesi scientifiche. Karl Popper e Thomas Khun hanno fissati i confini della moderna epistemologia predicando che la scientificità di una dottrina è legata alla possibilità di obiettarla tramite la falsificazione e che nessun paradigma scientifico è insuperabile ma anzi destinato fatalmente ad essere soppiantato da un’altro.

Stiamo parlando semplicemente dei fondamentali del pensiero liberale e della democrazia.

Ovviamente Pellegrino lo sa perfettamente ed allora non vi può essere altra spiegazione alla paradossalità del suo ragionamento se non ipotizzare che il suo fine ultimo sia proprio quello di contestare la «società aperta» di Popper, quella basata sul dibattito delle idee ed il libero confronto. Egli come altri esponenti dell’ambientalismo ipotizza che il progresso sia la causa vera del disastro ecologico e dunque esso va arrestato, la società deve chiudersi in poche inespugnabili roccaforti fieramente anti-moderne, in una parola perseguire l’idea della “decrescita felice”.

Ebbene, va detto che una tale visione millenaristica non spiega i fenomeni climatici distruttivi, ma anzi è contrastata dall’elementare considerazione che il mondo migliaia di anni fa ha conosciuto disastri climatici ancora peggiori come le glaciazioni che distrussero l’ambiente naturale per cui come minimo dobbiamo ipotizzare che possano esistere non dico cause alternative, ma semplici fattori concorrenti con le indubbie malefatte dell’uomo contro l’ambiente.

Sentenze sull’Ilva

In ogni caso l’idea di un reato di “negazionismo ambientale” (sic) avrebbe vita corta alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale che con due sentenze sul caso del disastro ambientale dell’ILVA ha avuto modo di ribadire il già citato principio di proporzionalità: se ci sono sulla bilancia beni fondamentali come il diritto alla salute, il lavoro e la libertà d’opinione, essi vanno bilanciati e si devono autolimitare per rispettare gli altri. Si chiama società democratica.

Eppure non va sottovalutato l’inquietante segnale che ci arriva da una crescente intolleranza verso principi e libertà individuali che credevamo definitivamente acquisite.

La stampa ed i media, la cultura riformista e di sinistra debbono interrogarsi come questa ondata debba essere combattuta, a cominciare dalla necessità di coltivare non già la strizzatina d’occhio al dissenso squadristico ma la confutazione scientifica e la ragione.

 

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