Amalia Ercoli Finzi è stata la prima donna in Italia a essersi laureata in ingegneria aeronautica, al Politecnico di Milano nel 1961. «Ci tengo a dirlo, perché il 1961 è l’anno in cui Gagarin è volato nello spazio, uno dei momenti cruciali dell’attività spaziale», spiega a Domani. Il cosmonauta Jurij Gagarin è stato il primo uomo a entrare in orbita e a compiere un’orbita completa attorno alla Terra, il 12 aprile 1961.

Classe 1937, Ercoli Finzi è una delle cinque ragazze su 650 studenti a essersi iscritta al Politecnico di Milano nel 1956. L’unica del suo anno ad aver intrapreso il percorso di ingegneria aeronautica, ha poi aperto la strada ad altre donne. Ma dopo di lei «sono passati 12 anni prima che si laureasse un’altra ragazza», racconta.

Ancora oggi nelle discipline Stem – Science, Technology, Engineering and Mathemathics – in Italia esiste un divario di genere importante. In un paese in cui la media dei laureati in generale è molto più bassa rispetto alla media europea – con una percentuale del 29,2 contro una media europea del 43,2 (dati Eurostat 2022-2023) – quello che colpisce ancora di più è la rappresentanza femminile nelle Stem. In base ai dati Istat, solo il 23,8 per cento dei laureati tra 25 e 29 anni ha un titolo in queste discipline: la quota sale al 34,5 per cento tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 16,6 per cento tra le donne (una laureata su sei).

Questo perché le scelte di studio «sono ancora fortemente influenzate dagli stereotipi di genere», scrive Save the Children in un recente rapporto.

Un divario che rimane importante anche a livello accademico: al Politecnico di Milano tra gli studenti il 34 per cento è donna, tra i docenti la percentuale scende al 30,1, mentre tra il personale tecnico amministrativo le lavoratrici sono il 60,6 per cento. Una disparità ancora più marcata emerge tra il personale docente di prima fascia al Politecnico di Torino: il 18 per cento donne e l’82 per cento uomini.

Ercoli Finzi, tra le poche donne a essere titolari di una cattedra e l’unica ad aver diretto il dipartimento di Ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano, in un mondo di uomini, ha dedicato la sua vita professionale all’insegnamento e alla ricerca. È stata consulente scientifica di agenzie come l’Asi, l’Esa e la Nasa per diverse missioni spaziali, e il suo studio delle comete ha contribuito alla riuscita della celebre missione Rosetta. Ospite lo scorso 6 maggio dell’Università di Pisa nell’ambito del ciclo “Scintille. Donne che fanno scienza”, è ancora impegnata nella divulgazione per accendere la curiosità delle giovani generazioni verso le discipline Stem.

Nei sessant’anni passati da quando lei si è laureata, è cambiato il ruolo delle donne nelle discipline Stem?

Il ruolo delle donne sta cambiando, sempre in meglio per fortuna. Anche se c’è stato un arresto nell’attività femminile, durante il periodo del Covid. Il lockdown è stato un problema per le donne che fanno scienza, ha portato a un rallentamento dei rapporti e nella scienza, il rapporto con gli altri scienziati è fondamentale.

Quali conseguenze ha avuto la sua scelta di studiare ingegneria aeronautica negli anni Cinquanta?

La mia famiglia era già abituata al mio carattere, e hanno solo subito le mie scelte. La scelta di fare ingegneria, sessant’anni fa, era al di fuori dell’immaginario: architettura era considerata un percorso anche da donne, mentre ingegneria una carriera da uomini. Mio padre mi ha posto il vincolo dei cinque anni. Tutti gli studenti impiegavano più tempo, ma, alla fine, sono riuscita a laurearmi in cinque anni.

Fare una scelta del genere però è stato impegnativo, perché dovevo sfidare l’idea che non fosse un percorso da donne. Ma soprattutto dopo gli studi. Sono rimasta all’università per fare ricerca e ho intrapreso subito un progetto in ambito spaziale. Dato che lo spazio stava nascendo allora, ha significato entrare in un ambito assolutamente nuovo, dove però, diciamo la verità, la presenza femminile era praticamente nulla.

Ecco, le cose sono cambiate, adesso ci sono abbastanza donne e alcune ricoprono posizioni decisionali, anche nelle varie agenzie internazionali, ruoli che permettono di prendere le decisioni in grado di influenzare il futuro.

C’è stato un cambiamento nelle posizioni di potere?

Ambire ai ruoli di potere non è per il gusto di avere il potere in mano, il potere è una responsabilità. Non è semplice ricoprire posti di comando. Ma soltanto se si è in queste posizioni, che io chiamo decisionali, si ha in mano il futuro.Portare un proprio parere, un proprio modo di vedere le cose, in un contesto in cui si prendono le decisioni è fondamentale, perché le donne possono portare un punto di vista diverso. Diverso da quello di uomini, e questo arricchisce le decisioni prese.

Perché è importante portare uno sguardo diverso da quello dell’uomo, bianco, occidentale?

È fondamentale. Lo stiamo vedendo adesso nello spazio, con il successo che hanno paesi non occidentali, come l’India, il Giappone, la Cina.

Hanno portato conquiste e risultati interessanti per il loro paese, ma soprattutto per quella parte di umanità che è un mondo diverso, altrettanto interessante e interessato ai problemi dello spazio. Noi costruiamo un mondo di inclusione, di pace, in cui tutti dovrebbero poter realizzare quelli che sono i loro sogni.

Perché è così importante che si raggiunga la parità nelle Stem?

Noi donne siamo capaci, possiamo entrare in questo mondo delle tecnologie, delle matematiche e delle scienze, che è sempre stata l’ultima roccaforte degli uomini. Le donne devono sapere che se vogliono fare ingegneria o fare le scienziate possono farlo perché ne hanno le capacità.

È una questione culturale...

Assolutamente. Una questione culturale che riguarda sia uomini che donne. Gli uomini non devono stare a guardare che si arrivi alla parità di genere. La parità si realizzerà solo se tutti – uomini, donne e persone di ogni provenienza – daranno una mano perché succeda.

La disparità può avere conseguenze anche nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale?

Prima di tutto, bisogna dire che l’intelligenza artificiale si avvale dell’enorme banca dati rappresentata da immagini, scritture, parole prodotte dall’umanità in tutti questi anni. Un’enorme serie di dati elaborati con strumenti prodotti dagli uomini. Anche gli algoritmi sono elaborati dalla mente umana. Questo avrà un grande riflesso sulle donne, perché l’Ia usa le banche dati disponibili. Per esempio, se si chiede all’Ia l’immagine di un ingegnere, il risultato che si ottiene è quello di un uomo bianco di una certa età.

Da questo enorme numero di dati, le donne in gran parte sono escluse. Ecco perché ci sono attività in tutto il mondo con cui si cerca di arricchire le banche dati in modo equilibrato, perché non sia sempre l’uomo bianco di mezza età e ci siano anche donne, nere, anziane.

In Italia, meno di 3 donne su 10 sono titolari di una cattedra. Nel mondo accademico qual è la situazione?

È una situazione imbarazzante. Non solo le cattedre sono poche, ma anche quelle che potrebbero essere intese come femminili sono spesso occupate da uomini.

Le posizioni di comando nel mondo della ricerca sono in mano agli uomini. Le ricercatrici giovani sono oltre la metà dei ricercatori. Questo significa che i numeri ci sono ma quando si arriva ai vertici le donne scompaiono.

Scompaiono in tutta la carriera: è come se ci fosse una scala in cui, man mano, i pioli si rompono e non ci sono più posizioni per le donne. Per questo si arriva a non avere una rappresentanza femminile, ad esempio, nelle cattedre di chirurgia, quelle più prestigiose tra le cattedre mediche.

Gli stereotipi di genere hanno influito nel suo lungo percorso professionale?

Certo, non solo nel mio, ma in quello di tutte le donne che lavorano in un mondo così maschile. Quando c’è la necessità di scegliere una persona e chi compie quella scelta è un uomo, istintivamente – il bias sono i pregiudizi di cui tutti noi siamo vittime – sceglie un altro uomo. Quando sono stata nominata direttrice di dipartimento, prima e unica volta in cui c’è stata una donna, sa chi mi ha votato? Mi hanno votato i segretari, i tecnici, non i colleghi.

Cosa vuole dire alle giovani che vogliono intraprendere una carriera Stem?

Avere coscienza delle proprie capacità. Il problema è creare fiducia in sé stesse nei primi anni di vita. È necessario anche per gli uomini, ma nelle donne viene soffocata. Sostanzialmente, è nei primi tre anni di vita che si dice alle bambine di giocare solo con le bambole e le macchine vengono riservate ai maschi.

Ecco, se noi creiamo fiducia nei bambini e nelle bambine, poi si trasformerà in consapevolezza per le ragazze di poter fare tutto quello che vogliono, purché si impegnino e si preparino. E, aggiungo, abbiano anche un pizzico di fortuna.

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