Se il governo decidesse di richiedere una buona educazione per ogni bambino, potrebbe farlo senza assumersi direttamente il compito di fornirla. Potrebbe lasciare ai genitori di procurarla dove e come preferiscono, limitandosi ad aiutare a pagare le rette scolastiche delle classi più povere». Questa è una citazione di John Stuart Mill, da On liberty, il suo testo-manifesto del 1869, diventato un classico del liberalismo. È il riferimento che viene ricordato più volte da chi vuole opporsi a un’idea della scuola pubblica in purezza, quella che Nicolas de Condorcet aveva elaborato nel suo Cinq mémoires sur l’instruction publique, del 1791: «L’istruzione deve essere universale, cioè estendersi a tutti i cittadini. Deve essere anche la stessa per tutti; deve essere pubblica, e affidata a istituzioni che solo l’autorità pubblica possa creare, dirigere e vigilare».

Con chi siamo d’accordo?

Il governo e le scuole cattoliche

Il ministro Giuseppe Valditara, il governo, e anche una parte maggioritaria delle classi politiche oggi sta sicuramente dalla parte di Mill. Tra le proposte prioritarie in discussione per la legge di bilancio c’è quella del senatore di Forza Italia, Claudio Lotito: un bonus fino a 1.500 euro per ogni studente che sceglie la scuola paritaria. Il buono sarebbe rivolto soltanto alle famiglie con Isee inferiore ai 30mila euro. In particolare, per gli «studenti frequentanti una scuola paritaria, secondaria di primo grado o il primo biennio di una scuola paritaria di secondo grado, predisponendo una griglia di intervento per scaglioni inversamente proporzionali al reddito Isee». Il finanziamento sarebbe di venti milioni. Alle reazioni di chi ha contestato questa proposta, Suor Anna Monia Alfieri – consiglio nazionale superiore della Cei, una delle voci più accreditate della formazione cattolica – ha rivendicato questa scelta: «Con grande amarezza devo constatare, ancora una volta, come le narrazioni ideologiche dominano il dibattito politico e di riflesso alcuni media». E poi ha fatto i conti: «La scuola paritaria conta 770.130 allievi, la statale 7.067.453. Il pluralismo educativo è compromesso». E sempre secondo Alfieri e secondo chi difende il buono scuola, lo stato risparmia a finanziare le private, perché il costo per studente sostenuto è di quasi 8mila euro all’anno.

Un’idea che viene da lontano

La proposta di mettere il buono scuola in manovra non è nuova. Anche l’anno scorso era circolata, a firma di Lorenzo Malagola di FdI, con la sola differenza del limite Isee di 40mila euro; a conferma di quanto l’antistatalismo di destra sia trasversale in destra sociale e liberali, anche quando si parla di homeschooling, scuole nel bosco, e altre forme familistiche di istruzione. Di questa proposta e di questa tendenza ne aveva scritto su Domani Michele Dal Lago. Che aveva anche citato il padre poco nobile dell’idea del buono scuola, il neoliberista Milton Friedman, che nel 1955 pubblica il saggio The Role of Government in Education, in cui argomenta: «Un sistema uniforme e obbligatorio di istruzione, in cui il governo controlla sia il finanziamento sia la gestione delle scuole, è un metodo molto inefficiente per raggiungere l’obiettivo di un’educazione universale. Un’alternativa sarebbe quella di dare a ogni genitore un buono (voucher) da spendere nella scuola di sua scelta».

La stessa idea la tira fuori nel 1962, in uno dei testi basilari del neoliberismo, Capitalismo e libertà, articolandola per bene: «Lo Stato dovrebbe istituire un sistema di voucher scolastici: a ogni genitore dovrebbe essere dato un buono riscattabile presso la scuola di sua scelta, pubblica o privata. L’importo del voucher dovrebbe coprire il costo dell’istruzione del bambino».

Accelerare le disuguaglianze

Il ministro Valditara non ha mai fatto mistero che lo spirito del suo mandato non solo soffia verso questo orizzonte politico ma è l’anima del suo programma. In un incontro presso Agidae, la rete delle scuole paritarie cattoliche, nel settembre 2024 ha voluto intestarsi questa proposta: «Per garantire la libertà di scelta anche alle famiglie meno abbienti, la politica deve avere il coraggio di mettere all’ordine del giorno il buono scuola».

Ma Valditara non è il primo ministro a incensare i benefici di questa misura. Prima di lui, Letizia Moratti, Maria Stella Gelmini, Francesco Profumo e Marco Bussetti, che hanno fatto in vari modi riferimento a un buono scuola nazionale. Nel frattempo però venivano varate norme che introducevano voucher regionali. Oggi esistono in Piemonte, Lombardia e Veneto (tutte e tre regioni governate dal centrodestra) e consistono in contributi per le paritarie che possono arrivare anche a 2mila euro a studente.

Chi crede nell’efficacia dei voucher ricorda le libertà d’istruzione garantite dalla Costituzione, come antidoto alla crisi educativa. Ma un incentivo alla scelta delle paritarie alimenta anche forme di classismo e di separazione sociale e culturale. Come mostrano diverse ricerche internazionali, l’antistatalismo rischia di peggiorare il complesso dell’istruzione. È piuttosto la mixité, il mescolamento nella scuola pubblica, l’elemento più prezioso per l’educazione degli studenti. Può essere evidente, ma oggi sappiamo anche come esito di ricerca, che nei sistemi educativi in cui le scuole sono socialmente meno diversificate, il legame tra il rendimento scolastico degli studenti e il loro stato socioeconomico è più forte. Ossia, una minore diversità nelle scuole tende a favorire gli studenti avvantaggiati. Ecco, come si sviluppa il classismo tra i banchi. Come se non ce ne fosse già molto, opporsi all’introduzione dei buoni scuola, serve a non aggredire di più un sistema già fragile.

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