Tutto pur di andare alla ricerca del consenso facile, dell’applauso strappato alla platea con un blitz politico, rigorosamente condotto da Giorgia Meloni in solitaria, come avvenuto per l’accordo sui migranti siglato con l’Albania. E proprio come insegna la vecchia strategia di Colle Oppio. Pazienza se gli alleati mormorano il proprio dissenso, aumentando le tensioni nella coalizione, o se i partner europei restano a bocca aperta.

Per la presidente del Consiglio è fondamentale rivendere al pubblico la misura a elevato impatto comunicativo. “First reaction, shock”, si potrebbe dire, citando una celeberrima frase di Matteo Renzi, diventata materiale per i meme. L’accordo stipulato con l’Albania, per la delocalizzazione di appositi centri dei migranti, ha avuto l’effetto coup de théâtre, pur rappresentando solo un altro capitolo che si aggiunge al romanzo propagandistico firmato da Meloni. La foto insieme al premier Edi Rama e le dichiarazioni congiunte sono una perfetta cornice mediatica. E ha fatto presa – almeno inizialmente – sull’elettorato, peraltro su un tema cruciale per la destra: la gestione delle politiche migratorie.

Dilettantismo al potere

La premier ha applicato la lezione, appresa fin dai primi passi mossi in politica, nella sezione del Movimento sociale dove hanno spiccato il volo i Gabbiani, la Colle Oppio all’epoca guidati dall’attuale vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. La spasmodica caccia al consenso è una lezione scolpita bene nella memoria della destra erede della fiamma. E il copione viene oggi recitato da Meloni nell’esperienza di governo, senza badare agli effetti collaterali.

A Bruxelles sono stati colti di sorpresa dall’iniziativa di Palazzo Chigi. Per la logica di Meloni è un fattore positivo. Non a caso è salita sul palcoscenico, da sola, intestandosi l’operazione tenuta coperta fino all’ultimo. Gli alleati ne sapevano poco, almeno sui tempi. Il loro fastidio è stato ignorato.

Il contenuto del protocollo è relativo, lo stesso Rama ha lasciato intendere che non sarà risolutivo per l’Italia. In sintesi, è la riproposizione di qualcosa di già visto. Certo, si potrebbe obiettare un’approssimazione nella stesura delle leggi, una forma di dilettantismo al potere. A Palazzo Chigi la replica è una metaforica alzata di spalle. Sembra già di sentire «gli italiani apprezzano, fatevene una ragione», tanto per menzionare un mantra in voga nella destra.

Il via libera alla tassa sugli extraprofitti sulle banche è stato un caso di scuola. La premier ha portato la misura in consiglio dei ministri, dove solo Giancarlo Giorgetti, da ministro dell’Economia, era a conoscenza dell’intervento. «Questa è una materia molto particolare e delicata su cui mi sono assunta la responsabilità di intervenire», ha ammesso Meloni di fronte ai malumori per il blitz a Palazzo Chigi. Il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, non l’ha presa bene: «La mossa andava concordata prima».

E infatti la cosa è finita in pantomima: le banche hanno potuto impiegare le risorse degli extraprofitti per rafforzare i patrimoni. Arrivederci e grazie. Le casse pubbliche non hanno ricevuto benefici, così come l’accordo con l’Albania non risolverà la questione-migranti.

Ma il risultato mediatico è stato conseguito, Meloni ha fatto passare il messaggio di un governo che colpisce le banche, i potenti per definizione, per finanziare interventi a favore dei ceti più deboli. Un altro esempio è il video del Primo maggio, realizzato dallo staff di Meloni tra gli stucchi di Palazzo Chigi, con l’annuncio di un decreto lavoro, descritto come lo strumento per rilanciare l’occupazione. Il contenuto del provvedimento si è rivelato debole, se non dannoso. Resta, però, il sorriso della leader a favore di telecamera con gli altri ministri relegati a comparse nella grande rappresentazione social di Giorgia Meloni.

Attenzione spostata

A fare il paio con questo meccanismo tipico della destra di Colle Oppio, l’ossessione per il ricorso ai diversivi, alle armi politiche di distrazione di massa. Nelle ultime settimane Meloni sta compiendo tutte le mosse a disposizione per distogliere l’attenzione da una manovra deludente, che ha disatteso le promesse della campagna elettorale, dalle pensioni alle tasse. Fino a provocare l’annuncio dello sciopero, il 5 dicembre, dei medici, colpiti dai tagli agli assegni previdenziali.

Le proteste sono diventate un rumore di sottofondo al tema lanciato nell’arena mediatica: le riforme istituzionali. Il premierato ha monopolizzato il dibattito. Si parla della revisione della Costituzione, stampa e forze politiche non possono voltarsi altrove. Così il tentativo di denunciare la debolezza della legge di Bilancio perde vigore. E quando l'onda mediatica del premierato si affievolisce ecco che Meloni tira fuori dal cilindro l’accordo con Tirana, stipulato da mesi. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ha sostenuto che l’intesa risalisse ad agosto, durante la visita estiva della premier in Albania. Una novità rimasta sottotraccia per mesi.

L’annuncio è arrivato, proprio a pochi giorni dall’avvio della sessione di bilancio al Senato, spostando pure il focus della manifestazione del Pd di sabato prossimo. La segretaria dem, Elly Schlein, immaginava una mobilitazione contro le scelte economiche del governo. Sarà costretta quantomeno a correggere il tiro, parlando di riforme e immigrazione. Territori su cui Meloni si muove maggiormente a proprio agio.

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