Domenico Lacerenza, il medico oculista candidato presidente della Basilicata a sua insaputa, si ritira o non si ritira? La voce circola in mattinata, a corredo di un appello con cinquecento firme di dirigenti del Pd locali che chiedono «azzerare» tutto e cercare un altro candidato – un altro ancora – altrimenti, minacciano, nascerà il «polo dell’orgoglio lucano» contro «il centrosinistra romanocentrico formato bonsai». Il pasticciaccio lucano è intrigatissimo e dalla Capitale Elly Schlein e Giuseppe Conte anziché sbrogliarlo lo hanno imbrogliato anche peggio: le due segreterie romane, su suggerimento dell’ex candidato Angelo Chiorazzo, hanno imposto al Pd lucano il nome di Lacerenza, e a Lacerenza hanno imposto il veto verso Azione, alias l’ex presidente Marcello Pittella: ed è imploso tutto.

A Roma si è imbizzarrita la minoranza dei riformisti del Pd, che chiede di non escludere Azione. Carlo Calenda si è fatto esplodere e per tutto il giorno ha previsto disastri generali prossimi e futuri: «Conte vuole comandare nel campo cosiddetto progressista», «Schlein accetta i suoi diktat», «alla fine il centrosinistra indicherà Conte premier».

Se Roma piange, Potenza non ride. Il segretario del Pd regionale Gianni Lettieri per due volte aveva fatto votare dalla direzione il nome di Chiorazzo e ora non sa più che pesci prendere: fa fatica a trovare i nomi per le sue liste, fa fatica persino a non dimettersi: tutti sanno che la decisione del nuovo candidato presidente gli è passata come sopra la testa, come un razzo.

Schlein ci ha messo la faccia

Al Nazareno dalla mattina si intima calma e gesso. Ma in realtà è allarme rosso: subito parte la smentita sul ritiro di Lacerenza. Curiosamente il Pd smentisce anche a nome del candidato, che invece ci mette qualche ora a assicurare che resisterà.

Ma si capisce la paura di parlare e dunque il ritardo: il suo primo impatto con i cronisti è stato devastante, una gaffe dopo l’altra (non ho mai «avuto l’onore» di parlare con Conte e Schlein, anzi sì, ci ho parlato, ha detto nelle prime ore). Dal loro ufficio Igor Taruffi e Davide Baruffi, responsabili di organizzazione e enti locali nazionali – l’ormai temibile coppia degli sherpa che tratta con i territori a nome della segretaria – appaiono sullo schermo della sede del partito regionale, di fronte a sei facce affrante.

C’è anche Roberto Speranza, il potente potentino che ha indicato il primo candidato, Chiorazzo (prima di sapere che Conte lo avrebbe impallinato). Da Roma il messaggio è chiaro: «Il nome di Lacerenza lo avete fatto voi», «Ora la segretaria ci ha messo la faccia, non esiste nessun passo indietro». Fine della discussione.

A Roma, nel pomeriggio, a due passi dal Nazareno si ricordano le Idi di Marzo, l’uccisione di Giulio Cesare. Sfila un corteo storico con il cadavere (finto) del tiranno, senatori e centurioni recitano la parte dei disperati a favore dei turisti. Ma la storia è nota: è tutto finto, erano tutti congiurati. A Potenza invece non ci sono congiurati: però sono tutti imbufaliti e isterici. Ma alla fine sono tutti paralizzati: rullano tamburi di rivolta, ma non c’è nessuna aria di tirannicidio.

Si accettano le decisioni di Roma. Qualche contraccolpo nei Cinque stelle, ma rientra subito: per il movimento è venuta a trattare Paola Taverna, donna di polso dell’ex premier, è la senatrice che alla buvette del senato brindò con uno spritz alla caduta del governo Draghi.

Avanti Lacerenza, così Schlein e Conte potranno andare avanti a braccetto per il loro campo stretto e «coeso» (copy Conte) verso la più che probabile sconfitta. Il presidente uscente Vito Bardi, Forza Italia, con tutta la destra se la ride. Non ha bisogno di inventarsi nulla contro gli avversari: il centrosinistra fa tutto da solo per autoaffondarsi.

La riunione senza il candidato

Va detto che prima del veto di Conte su Pittella, cioè su Calenda, c’era anche il veto, sostanziale e non formale, di Chiorazzo: che con la sua Basilicata casa comune sta costruendo un’area centrista e cattolica con l’idea di esportare il progetto anche in altre regioni; e domani chissà alle politiche. Per sostituire il centro di Azione e Renzi che non ha intenzione di intrupparsi al campo del centrosinistra.

Obiettivo ambizioso, ma non velleitario: Chiorazzo, imprenditore delle coop bianche, vanta un rapporto molto affettuoso con Demos (il piccolo partito nato da una costola della Comunità Sant’Egidio) e con papa Francesco in persona. Chiorazzo, peraltro, l’ex presidente della Regione Basilicata Pittella, ha una vecchia ruggine. Pittella, dal canto suo aveva contestato «non il suo nome ma il metodo della scelta del candidato».

Nel primo pomeriggio a Potenza si riunisce un altro tavolo, questa volta è quello del centrosinistra lucano, e qui – altro capolavoro – c’è ancora Pittella ma non c’è Lacerenza. Che, altra cosa che va detta, di Pittella è collega – hanno lavorato insieme nella stessa clinica, la Geomedical – ed è persona cortese e urbana: insomma non muore dalla voglia di mandare al diavolo un collega.

Base Luna chiama Terra

«Sono al tavolo del centrosinistra, per provare a dargli una raddrizzata, ma non ci resterò per molto tempo, il tempo scade stasera». Nel pomeriggio Pittella risponde al telefono direttamente dalla riunione con i suoi ormai ex alleati.

«Noi contestiamo il metodo, quello con cui è stato scelto Chiorazzo e poi Lacerenza. Che è: tre persone a Roma si chiudono in una stanza e decidono», ce l’ha con Schlein, Conte e lo stesso Chiorazzo. Poi si collega con una radio locale: «Lacerenza è una persona per bene. Io mi onoro di essere suo grande amico. È un grande chirurgo interventista oculista, ma non un politico e in questo momento il centrosinistra avrebbe bisogno di mettere in campo un pezzo di classe dirigente, che ha, e che non mette in campo solo per una serie di veti contrapposti».

La trasmissione ha un titolo perfetto per il film del centrosinistra romano-lucano: Base Luna Chiama Terra.

Oggi in città arriva Carlo Calenda per decidere il destino di Azione: andare da sola o buttarsi a destra? Bardi li aspetta a braccia aperte, ma la storia della famiglia Pittella è tutta dal lato del centrosinistra.

Di là infatti i Fratelli d’Italia lo vedono come fumo negli occhi, come un avversario storico: l’attuale senatore Gianni Rosa negli anni passati è stato il consigliere regionale ha fatto fuoco e fiamme contro l’allora presidente. E visto che Bardi ormai si sente sicuro di vincere, perché dovrebbe caricarsi un conflitto nella sua coalizione?

Dopo la Basilicata, il Piemonte

La vittoria sarda è stata considerata una spinta per il tridente Pd-M5s più sinistra. Poi però c’è stato il tonfo abruzzese, dove Conte ha capito – o creduto di capire – che i suoi non lo votano se nella coalizione ci sono anche renziani e calendiani.

Da qui il veto lucano, che rischia però di condurre dritto alla sconfitta. Ma la vertigine dell’avvitamento è partita e non si ferma. Oggi a Torino c’è il voto dell’assemblea Pd per il candidato presidente della regione, si vota il 9 giugno insieme alle europee.

In ballo ci sono Chiara Gribaudo, area Schlein, e Daniele Valle, area Bonaccini. Qui i Cinque stelle non hanno intenzione di stringere accordi: la più alta in grado è Chiara Appendino, e con il Pd torinese, cioè con l’attuale sindaco Stefano Lo Russo, ha una lunga storia di conflitti, finiti persino a colpi di carte bollate.

Ma una parola chiara non è mai arrivata, «e ci hanno fatto perdere un sacco di tempo», sbuffano i dem. Alle 11 si vota, si sceglie il candidato di una regione a perdere: l’uscente presidente Cirio ha un consenso molto solido.

Andrà così, tutto lineare? Ancora non si sa: è annunciata la coppia Taruffi-Baruffi e chissà se, anche stavolta, i due hanno il mandato di Roma di fare l’accordo con M5s. Con i conseguenti veti contro i centristi e tutto il film che ne consegue. Chissà se, partito per esportare il modello Sardegna, ora il centrosinistra ha deciso di esportare il modello Basilicata.

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