Intorno all’80esimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, la destra di governo è rimasta taciturna. L’anno scorso Meloni disse che i 335 innocenti sono stati «massacrati perché italiani», e non perché antifascisti e ebrei. Chiediamo allo storico Luciano Canfora, autore di Il fascismo non è mai morto (Dedalo), titolo che non annuncia mezze misure.

Perché la destra fatica a fare i conti con l’eccidio delle Ardeatine?

La ragione è il tentativo, praticato da sempre, di equiparare la Resistenza armata al terrorismo. Senza sapere che il termine è stato adoperato per esempio da Leo Valiani, nel 1947, quando scrive «dovemmo fare la scelta del terrorismo», per smuovere la palude degli attendisti. E “terrorista” era anche Francesco Crispi, che portò la bomba per far saltare in aria Napoleone III. O Carlo Pisacane, che con trecento uomini tenta di invadere il Regno di Napoli.

Dopodiché sappiamo che il terrorismo del tempo nostro ha compiuto atti insensati e criminali: e la destra cerca il cortocircuito per chiamare “terrorismo” la Resistenza. Così, senza dirlo apertamente, la feroce rappresaglia tedesca all’attentato di via Rasella viene quasi giustificata. Ma la destra si arrabatta: prima i partigiani come terroristi, poi le Ss una banda musicale. La verità è che non hanno deglutito la Resistenza armata contro la Repubblica sociale italiana.

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Il suo libro si intitola Il fascismo non è mai morto. Il fascismo vive?

Non si è mai estinto. Finita la Repubblica sociale italiana, dopo un anno e mezzo, nel dicembre del ‘46, è sorto un partito che si richiamava alla Rsi, il Movimento sociale italiano. Le persone che lo dirigevano erano le stesse che avevano operato nella Rsi, che a sua volta era uno stato satellite del Terzo Reich. Quanto poi ad altri paesi europei, come Spagna e Portogallo, il fascismo ha continuato a vivere e governare. E questo solo per parlare alla buona di fenomeni macroscopici.

C’è un ulteriore aspetto: il ruolo che le formazioni esplicitamente neofascistiche in Italia e in Germania hanno svolto nel dopo guerra. Abbiamo avuto il governo Tambroni, con la stampella del Msi; e figure del Terzo Reich al vertice della Repubblica federale tedesca, ai tempi di Adenauer, come Globke, uno degli autori delle leggi razziali. Possiamo seguitare ricordando che Ordine nuovo di Pino Rauti, anche messo fuori legge, ha potuto vegetare collegandosi ai servizi deviati con sponda Oltreatlantico.

In Italia al governo ci sono "i fascisti"?

Il presidente del senato, appena eletto, ha detto al Corriere della Sera: «Ho lungamente militato nel Msi e non rinnego nulla». Se lo ha detto lui, non c’è bisogno che lo dica io.

Ci sono gli ex comunisti. I missini invece sono inemendabili?

Interessante paragone. Il movimento comunista nell’Europa occidentale, ridotto alla Francia e l’Italia e un poco in Spagna, si era venuto trasformando molto prima che Occhetto gli cambiasse il nome. Agli inizi degli anni 70 scrissi a Alfredo Reichlin, direttore di Rinascita, una lettera che diceva: “l’eurocomunismo è la socialdemocrazia di oggi”. Lui mi rispose: “Lo so, ma non lo possiamo ancora dire”. La mutazione di coloro che continuavano a chiamarsi comunisti, era avvenuta molto prima.

Invece nel movimento fascistico che ha mantenuto un legame sentimentale ed operativo con quel che rimaneva del fascismo repubblichino, non c’è stata mutazione, solo abilità nell’infilarsi nella vita della Repubblica, dal parlamento alle amministrazioni. Nel 1988 Almirante, segretario Msi, disse «Repubblica bastarda»: al di là della finezza dell’epiteto, intendeva dire “figlia della Resistenza e dei Cln”, che a lui facevano venire l’orticaria. Ma hanno cercato di fare quello che potevano negli spazi offerti dalla Repubblica...bastarda.

Di tutto questo cosa ha ereditato Fratelli d’Italia?

Gianfranco Fini a un certo momento è riuscito a dire che il fascismo è stato il male assoluto. Ma è stata una conversione solitaria che non ha prodotto un movimento politico. Fdi invece non ha mai accettato di definirsi antifascista. A chi fa la domanda, rispondono “e lei è anticomunista?”, che non è una risposta, è un escamotage. Quindi prendiamo atto.

Qual è il problema concreto: arrivati al governo, dal punto di vista pratico, cioè per la politica estera ed economica, devono dire signorsì alla Nato e alla Ue. Quindi il 90 per cento della politica, non la decidono, la subiscono, allineati e in fila per due. Si sfogano sui migranti, sull’ordine pubblico, con le querele, i manganelli. Ma è solo il 10 per cento. E lo fanno mimando i vecchi tempi: per esempio tentano di sciogliere amministrazioni che danno fastidio, come Bari. Come fece il governo Mussolini nel ‘23, appena arrivato al potere: in pochi mesi sciolse una serie di comuni socialisti. Appunto, un vezzo antico.

Ma dunque, al 90 per cento, la destra si sta trasformando?

I limiti operativi per il vecchio modus operandi sono quel 10 per cento. Ma la riforma che vuol dare più poteri al presidente del consiglio attraverso l’elezione diretta, togliendone al presidente della Repubblica, mi fa venire in mente quando il Cavaliere Mussolini diventa primo ministro, il 28 ottobre 1922. Fa un governo abile, di coalizione, con soli tre ministri fascisti.

Aveva il re dalla sua, ma era imbrigliato dallo statuto Albertino, che dava un enorme potere al sovrano e faceva del primo ministro non dico un inserviente, ma un subalterno: e cosa fa il Cavaliere Mussolini? Accresce per via legislativa i poteri del presidente del Consiglio, che limitano i poteri del sovrano. È un precedente storico interessante. Le vie sono molto diverse, però l’obiettivo è simile.

Il fascismo può tornare?

Come disse una volta Paolo Mieli, è come un virus che si trasforma. Brecht, poeta tedesco memorabile, esule in America nel 41, scrive nei diari: un fascismo americano sarebbe democratico.

Negli Usa può tornare Trump, che toglie gli aiuti all’Ucraina e rimpicciolisce la Nato.

La seconda non la so, so che nella storia novecentesca le amministrazioni democratiche Usa aprono le guerre e quelle repubblicane le chiudono, dalla Corea al Vietnam.

In questo caso la guerra l’ha aperta Putin, nel febbraio del ‘22.

Questo lo dicono i portavoce del pensiero unico. La guerra è cominciata almeno nel 2014 con la repressione del Donbass da parte del governo ucraino. Se si dimentica il pregresso resta, la litania aggressore-aggredito, un canto per menti superficiali.

Niente armi agli aggrediti, l’Ucraina deve dunque arrendersi?

Questa è propaganda. Qualche giorno fa Romano Prodi fa ha risposto: questo è un conflitto che viene deciso dalle vere grandi potenze, Cina e Usa. Prodi non mi pare un putiniano trinariciuto. È un uomo di buonsenso.

Parliamo di un altro ritorno: l’antisemitismo. O anche l’antisemitismo non è mai morto?

Tutt’e due. Poco prima dell’aggressione del 7 ottobre il giornale Haaretz attaccava Netanhyau e gli dava del fascista, anche se la parola veniva usata per metafora. Oggi, con con questo modo di procedere che ha portato a decine di migliaia di morti civili, Israele sta rovinando la propria reputazione.

Ed è doloroso, perché il mondo ebraico che ha sofferto in modo inenarrabile durante il dominio nazista, con una mano del fascismo italiano, non si rende conto che adottare metodi così indiscriminatamente feroci è un autogol. Dopodiché il peggio viene fuori, e persino Casapound si avventa con parole antisemite. Ma se Blinken si mette in ginocchio per implorare Israele di smetterla, vorrà pur dire qualche cosa.

Ma non è un tema solo per la destra: nelle proteste studentesche spunta la parola «ebreo», e slogan che negano il diritto di Israele a esistere.

Uno studio dello storico Leonid Mlecin, Perché Stalin creò Israele, ricorda quando all’Onu, nel novembre 1947, si votò per la nascita dello stato di Israele e dello stato di Palestina. I cinque voti controllati dai sovietici – Russia, Bielorussa, Ucraina, Polonia e Cecoslovacchia – furono decisivi, contro l’astensione della Gran Bretagna. E quando nel ‘48 Israele viene aggredita dai re sovrani lecchini dell’Inghilterra, Stalin arma Israele attraverso la Cecoslovacchia. Quindi questi giovanotti di cui parla lei non sanno la storia.

Il presidente del senato teme che tornino le Br, e Meloni i «tempi cupi». Anche le Br non sono mai morte, dunque possono tornare?

Parliamo di cose serie.

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